tratto da una storia di Piero Chiara, è il ritratto della provincia italiana, negli anni '50 e '60, di tutte le province italiane.
un funzionario dell'Amministrazione statale finanziaria (Ugo Tognazzi interpreta Emerenziano Paronzini) decide che può sposarsi, per sistemarsi, seguendo i consigli del suo guru Mantegazza.
dopo un'attenta valutazione, dopo aver pesato le tre sorelle Tettamanzi, zitelle, decide di fare il gran passo, ne sceglie una, viaggio di nozze e tutto per benino.
poi ci passano tutte e la fine è terribile, ma necessaria, con la passeggiata lungolago.
Alberto Lattuada gira un gran bel film, con un SuperTognazzi, da non perdere.
buona (Tettamanzi) visione - Ismaele
QUI il film completo, su Raiplay
Un ritratto graffiante della borghesia perbenista dell'operoso Nord che si avvale di un Tognazzi veramente strepitoso nei panni viscidi del funzionario statale Emerenziano Paronzini (un nome un programma) che riesce a crearsi un vero e proprio harem nella casa delle tre sorelle Tettamanzi (una piu' brutta dell'altra),dopo averne sposata una. Si ride ma si ride amaro e il finale è di un beffardo che sfiora l'atrocita'.
Il placido lago prealpino nasconde i bollenti spiriti di tre
sorelle zitelle, presto appagati dal "gallo" che ha capito come dare
una svolta alla propria vita. E così questa piacevole commedia ci diverte non
solo con le pennellate satiriche sulla sessuofobia ipocrita, ma anche con
deliziose annotazioni psicologiche al limite del caricaturale che Lattuada
destina a tutti i protagonisti di questo girotondo erotico-grottesco.
Magistrale Tognazzi nella sua maschera da macho calcolatore, impagabili le tre
grazie, pudiche e assatanate.
L’Italia non è più fascista e l’epilogo meno drastico, ma
l’adattamento di Lattuada rispetta la garbata licenziosità del romanzo di
Chiara e la sua rappresentazione di una provincia immobile e perbenista. Nel
superlativo Tognazzi si ritrovano – ora accennati, ora enfatizzati – gesti,
sguardi e manie del trigamo e taciturno Paronzini, così come il terzetto
“gambe” Coluzzi-“capelli” Goodwin-“mani” Vukotic è l’ideale ritratto
cinematografico delle represse sorelle Tettamanzi. L’ottimo risultato è altresì
favorito dalle musiche di Bongusto, che catturano al volo lo spirito della
commedia.
Acuminata satira di costume che è una piccola summa degli umori
della provincia e del provincialismo; diretta con rigore classico, soda
caustica e imperturbabilità da Lattuada; magnificamente tradotta in maschere
grottesche dagli interpreti. Perfette le tre sorelle (Goodwin, Coluzzi,
Vukotic): caratterizzano con trasporto l'erotismo incubante, represso e poi
deragliante; magnifico e indimenticabile Tognazzi, di matematica espressività
nel restituire un personaggio di piccolo borghese meschinamente calcolatore,
onnivoro se si tratta di godere.
Il merito di Lattuada è parlare per quasi 2 ore di pruriti
sessuali e istinti carnali (mostrandoci anche qualcosina) senza mai risultare
volgare. Il filoconduttore è tutto qui: la ricerca dello "star bene"
in tutti i sensi, senza farsi troppi scrupoli morali, il tutto calato nella
sana provincia italiana di allora, qui ben fotografata, una sorta di "do
ut des" che soddisfa tutti. Domina Tognazzi, bravissimo nell'interpretare
con raffinatezza un uomo piccolo ed egoista. Tra le sorelle spicca una Coluzzi
quasi irriconoscibile. Tante le scelte registiche azzeccate.
«È un personaggio che mi è piaciuto molto
perché il clima, l’atmosfera, il modello di questo personaggio, è la
mediocrità. Io riconosco a me stesso molte caratteristiche della mediocrità,
non tutte naturalmente: così le mie, unite a quelle due o tre che
caratterizzano in permanenza il personaggio, hanno dato come risultato un
annuario, un glossario della mediocrità umana. […] Nel film di Lattuada sono
stato affascinato dalla possibilità di costruire un campione di mediocrità, una
mediocrità che qui, per di più, è sublimata dal fatto che il personaggio è
anche presuntuoso. Quest’uomo non conta niente, è meno che niente, ha solo un
progetto mediocre, un comportamento mediocre; tuttavia crede che il suo
comportamento sia quello di un personaggio importante» (Tognazzi).
Un impiegato statale di mezza età vuole sistemarsi; sposa così una
zitella ricca, bigotta e brutta con due sorelle nella stessa situazione;
troverà un morboso equilibrio andando a letto con tutte e tre.
Uno splendico, cinico e lucido Lattuada, dirige una commedia d'una
cattiveria geniale, che critica (anzi fa a pezzi) il provincialismo bigotto.
Uno dei migliori risultati della commedia all'italiana. Ugo Tognazzi, ancora
una volta, è straordinario.
Un intelligente film provocatorio. Il ’68 ha portato effetti benefici
(oltre ad altri meno benefici), se si considerano opere d’arte come questa:
infatti qui la contestazione è serrata e assolutamente realistica contro
l’educazione bigotta della provincia italiana. Da lombardo posso garantire la
verosimiglianza di luoghi, situazioni, caratteri.
Al pubblico femminile può anche urtare questa pellicola. Ma essa non è un
inno al maschilismo, come potrebbe peraltro essere fraintesa, dato che
effettivamente le donne sono prone al servizio di un uomo che le usa, e
implicitamente le umilia. Qui c’è una denuncia della maleducazione cattolica:
tutte le tre sorelle, represse sessualmente e sotto ogni punto di vista, non
possono fare altro che voler uscire da questa situazione di cattività. Ma,
essendo state torturate in precedenza dall’erronea, in quanto eccessiva,
ossessione del peccato (peccato che è stato fatto ricondurre integralmente a
quello carnale), non possono poi che volerne uscire in modi insicuri, con
eccessi di segno opposto. Proprio perché educate alla psicopatologia, non
possono che restarne dentro anche quando cercano alternative ad essa.
Tecnicamente il film è squisito; evidentemente lo sarà anche il romanzo
(che non ho letto) da cui è tratto, di Chiara che è tra i curatori della
sceneggiatura. Tognazzi è strepitoso, in un ruolo che pare proprio tagliato sui
misura per lui: quello del borghese laido e amorale, il tipo squallido alla
Moravia, insomma.
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