domenica 13 agosto 2023

Venga a prendere il caffè da noi – Alberto Lattuada

tratto da una storia di Piero Chiara, è il ritratto della provincia italiana, negli anni '50 e '60, di tutte le province italiane.

un funzionario dell'Amministrazione statale finanziaria (Ugo Tognazzi interpreta Emerenziano Paronzini) decide che può sposarsi, per sistemarsi, seguendo i consigli del suo guru Mantegazza.

dopo un'attenta valutazione, dopo aver pesato le tre sorelle Tettamanzi, zitelle, decide di fare il gran passo, ne sceglie una, viaggio di nozze e tutto per benino.

poi ci passano tutte e la fine è terribile, ma necessaria, con la passeggiata lungolago.

Alberto Lattuada gira un gran bel film, con un SuperTognazzi, da non perdere.

buona (Tettamanzi) visione - Ismaele



 

QUI il film completo, su Raiplay

 

 

Un ritratto graffiante della borghesia perbenista dell'operoso Nord che si avvale di un Tognazzi veramente strepitoso nei panni viscidi del funzionario statale Emerenziano Paronzini (un nome un programma) che riesce a crearsi un vero e proprio harem nella casa delle tre sorelle Tettamanzi (una piu' brutta dell'altra),dopo averne sposata una. Si ride ma si ride amaro e il finale è di un beffardo che sfiora l'atrocita'.

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Il placido lago prealpino nasconde i bollenti spiriti di tre sorelle zitelle, presto appagati dal "gallo" che ha capito come dare una svolta alla propria vita. E così questa piacevole commedia ci diverte non solo con le pennellate satiriche sulla sessuofobia ipocrita, ma anche con deliziose annotazioni psicologiche al limite del caricaturale che Lattuada destina a tutti i protagonisti di questo girotondo erotico-grottesco. Magistrale Tognazzi nella sua maschera da macho calcolatore, impagabili le tre grazie, pudiche e assatanate.

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L’Italia non è più fascista e l’epilogo meno drastico, ma l’adattamento di Lattuada rispetta la garbata licenziosità del romanzo di Chiara e la sua rappresentazione di una provincia immobile e perbenista. Nel superlativo Tognazzi si ritrovano – ora accennati, ora enfatizzati – gesti, sguardi e manie del trigamo e taciturno Paronzini, così come il terzetto “gambe” Coluzzi-“capelli” Goodwin-“mani” Vukotic è l’ideale ritratto cinematografico delle represse sorelle Tettamanzi. L’ottimo risultato è altresì favorito dalle musiche di Bongusto, che catturano al volo lo spirito della commedia.

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Acuminata satira di costume che è una piccola summa degli umori della provincia e del provincialismo; diretta con rigore classico, soda caustica e imperturbabilità da Lattuada; magnificamente tradotta in maschere grottesche dagli interpreti. Perfette le tre sorelle (Goodwin, Coluzzi, Vukotic): caratterizzano con trasporto l'erotismo incubante, represso e poi deragliante; magnifico e indimenticabile Tognazzi, di matematica espressività nel restituire un personaggio di piccolo borghese meschinamente calcolatore, onnivoro se si tratta di godere.

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Il merito di Lattuada è parlare per quasi 2 ore di pruriti sessuali e istinti carnali (mostrandoci anche qualcosina) senza mai risultare volgare. Il filoconduttore è tutto qui: la ricerca dello "star bene" in tutti i sensi, senza farsi troppi scrupoli morali, il tutto calato nella sana provincia italiana di allora, qui ben fotografata, una sorta di "do ut des" che soddisfa tutti. Domina Tognazzi, bravissimo nell'interpretare con raffinatezza un uomo piccolo ed egoista. Tra le sorelle spicca una Coluzzi quasi irriconoscibile. Tante le scelte registiche azzeccate.

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«È un personaggio che mi è piaciuto molto perché il clima, l’atmosfera, il modello di questo personaggio, è la mediocrità. Io riconosco a me stesso molte caratteristiche della mediocrità, non tutte naturalmente: così le mie, unite a quelle due o tre che caratterizzano in permanenza il personaggio, hanno dato come risultato un annuario, un glossario della mediocrità umana. […] Nel film di Lattuada sono stato affascinato dalla possibilità di costruire un campione di mediocrità, una mediocrità che qui, per di più, è sublimata dal fatto che il personaggio è anche presuntuoso. Quest’uomo non conta niente, è meno che niente, ha solo un progetto mediocre, un comportamento mediocre; tuttavia crede che il suo comportamento sia quello di un personaggio importante» (Tognazzi).

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Un impiegato statale di mezza età vuole sistemarsi; sposa così una zitella ricca, bigotta e brutta con due sorelle nella stessa situazione; troverà un morboso equilibrio andando a letto con tutte e tre.

Uno splendico, cinico e lucido Lattuada, dirige una commedia d'una cattiveria geniale, che critica (anzi fa a pezzi) il provincialismo bigotto. Uno dei migliori risultati della commedia all'italiana. Ugo Tognazzi, ancora una volta, è straordinario.

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Un intelligente film provocatorio. Il ’68 ha portato effetti benefici (oltre ad altri meno benefici), se si considerano opere d’arte come questa: infatti qui la contestazione è serrata e assolutamente realistica contro l’educazione bigotta della provincia italiana. Da lombardo posso garantire la verosimiglianza di luoghi, situazioni, caratteri.

Al pubblico femminile può anche urtare questa pellicola. Ma essa non è un inno al maschilismo, come potrebbe peraltro essere fraintesa, dato che effettivamente le donne sono prone al servizio di un uomo che le usa, e implicitamente le umilia. Qui c’è una denuncia della maleducazione cattolica: tutte le tre sorelle, represse sessualmente e sotto ogni punto di vista, non possono fare altro che voler uscire da questa situazione di cattività. Ma, essendo state torturate in precedenza dall’erronea, in quanto eccessiva, ossessione del peccato (peccato che è stato fatto ricondurre integralmente a quello carnale), non possono poi che volerne uscire in modi insicuri, con eccessi di segno opposto. Proprio perché educate alla psicopatologia, non possono che restarne dentro anche quando cercano alternative ad essa. 

Tecnicamente il film è squisito; evidentemente lo sarà anche il romanzo (che non ho letto) da cui è tratto, di Chiara che è tra i curatori della sceneggiatura. Tognazzi è strepitoso, in un ruolo che pare proprio tagliato sui misura per lui: quello del borghese laido e amorale, il tipo squallido alla Moravia, insomma.

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