una storia piccola, tre ragazzi contro tutti, per trovare un posto nel mondo.
la musica è la loro passione e vita, suonano in compagnia, per stare bene.
ciascuno ha una vita, genitori, mogli, compagne, in una realtà di provincia che più provincia sembra impossibile.
e poi tentano il gran colpo, far venire a Grosseto un gruppo musicale di livello mondiale, e ci provano con tutte le forze e anche più.
"È un mondo difficile
E vita intensa
Felicità a momenti
E futuro incerto"
canta Tonino Carotone, parole che si adattano alla perfezione ai protagonisti del film.
non perdetevelo, è un film al quale non si può non voler bene, sarete d'accordo.
buona (musicale e provinciale) visione - Ismaele
…Margini diffonde
le sensazioni di un passato non troppo lontano e non troppo recente, smarrito
nelle profondità di paesi ancorati alle tradizioni, che vivacchiano tra il
lento sonnecchiare dei vecchi giocatori di carte e il tempo che sembra
immutabile e invece fugge implacabile. Trasmette l’eccitazione e la
frustrazione di sapere che a due ore da casa arriva finalmente il gruppo tanto
atteso e si deve trovare il modo di andare e, soprattutto, quello di tornare a
notte fonda, che i mezzi pubblici sono in letargo e le macchine, soprattutto in
adolescenza, scarseggiano. Perché la provincia è una voragine, dalla quale non
si esce. Quasi impossibile sfuggirgli, tanto ti si appiccica addosso,
inzuppandoti della sua essenza. Tanto difficile raggiungerla quando le stelle
non si vedono e nessuno va nella tua direzione, ma si ferma sempre un po’
prima. Che è molto, molto, lontano da casa tua. E se trovi un
semisconosciuto con un’auto sgangherata e il buon cuore di riportarti a casa
dopo il concerto, sudato e maleodorante di birra, hai fatto bingo.
Dentro Margini c’è tutto.
C’è la cocciutaggine di provare ad invertire i ruoli prestabiliti del sistema,
c’è la chimera di riuscirci, c’è l’ottusità entusiasta di pensare di poter
dominare qualsiasi elemento. C’è la storia vera e perpetua dell’amico che in
qualche modo tradisce l’idea, in contrasto con chi invece si sacrifica
pesantemente, rischiando anche ciò che non ha, per portarla avanti. C’è la
balera di paese, i drammi familiari che si consumano, la supponenza di una
generazione decadente. C’è l’ignavia delle istituzioni e il loro ineluttabile
potere, dal quale non si può uscire e che, in un diabolico contrappasso, si
rivela invece necessario. C’è lo sbigottimento di una sonnacchiosa Grosseto che
reagisce ad una situazione inedita nella maniera più classica, con l’intervento
della questura. C’è la crudeltà della provincia, che ti seduce con uno sguardo
rubicondo da nonna sovrappeso e poi ti sbrana come un’arpia spietata. C’è
l’urlo di ribellione verso questo mondo apparentemente cordiale e accomodante
ma in realtà coriaceo, impietoso verso qualcosa che avverte minaccioso per la
sopravvivenza del proprio stantio status quo.
Ma c’è soprattutto il punk.
L’idea di punk che nella contemporaneità sentiamo quasi come trapassata; non è
un caso che la trama si ambienti nel 2008. Punk primitivo, quasi rozzo,
ingenuo. Il punk delle sale prove, del pogo, del prendersi ciò che si vuole,
del suonare ad ogni costo in ogni luogo. Il punk vero, reale: attitudine, idea,
o, semplicemente, musica che non segue nessuna logica economica o pratica.
Segue solo ciò che sente e la voglia di esistere.
… Che ritmo, che spasso che è questo
Margini. Uno scambio serratissimo il cui polo schizza di continuo negli angoli
del triangolo formato dalle personalità di questi buffi individui, una stangata
in contrapposizione alle quinte di una città ai limiti del rurale che tagliano
in due a bordo delle loro sgangherate automobili.
La fatica di rimediare una serata in
qualche sagra semideserta è vissuta sempre con ironia, tanto a loro basta
suonare, o di correre da un’altra parte per accaparrarsi un amplificatore da
usare il giorno di questo fantomatico grande evento. Un trio che la
sceneggiatura degli stessi Falsetti e Turbanti, con l’aiuto del co-autore
Tommaso Renzoni, non scoraggia mai e che coccola anche nei momenti più cupi.
Uno script che si muove sempre sul confine
dell’agrodolce, sotto al quale stanno il saluto per un’epoca e l’imminente
presa di responsabilità che attende dietro l’angolo. Una sensazione di
precarietà che segue come un’ombra tutto Margini, che lo tallona quasi a mo’ di
memento mori e vertigine per il futuro.
Un cast affiatato per un agrodolce
coming of age
Di notevole bravura è senza dubbio anche
il cast, arricchito anche di comprimari come l’esilarante Melis di Nicola
Rignanese, affiatato e capace di tenere il passo di questa corsa contro lo
spietato passare dei giorni e contro la paura di crescere. Perché Margini di
fondo non è altro che una sorta di attardato coming of age, declinato nelle
diverse misure a cui le vite dei suoi protagonisti sono chiamati a rapportarsi.
Apprezzabile per la maniera in cui tiene
in equilibrio ironia e crepa ai margini della bocca, lodevole per come
accompagna con delicatezza il cambiamento dal quale a un certo punto non ci si
può più sottrarre. Una più che piacevole scoperta.
…Con un tono genuino da commedia e un’energia
contagiosa, Falsetti mette in scena un’avventura scapestrata, piena di
imprevisti, emozioni e inconvenienti. Non si può non voler bene a questi tre
ragazzi scapestrati, che mettono in secondo piano qualsiasi cosa, anche affetti
e famiglia, pur di perseguire il loro obbiettivo. Si scontrano contro la
burocrazia, la pubblica amministrazione, la mancanza di immaginazione, la poca
ispirazione, il gretto realismo e l’ostilità verso il nuovo, ma affrontano
tutto con grande fatica ed energia, proprio perché mossi da una voglia di
rivalsa che alla fine li lascerà ammaccati eppure con ancora l’energia di
cantare e di sognare…
… Lo definireste un film politico?
Francesco Turbanti: “Mi viene da definirlo politico nel
senso più bello del termine, anche originario, perché parla a una comunità che
vive determinate situazioni che hanno a che fare con lo stare insieme, con la
socialità, con il mettersi in connessione con gli altri e decidere di fare
qualcosa, è questo che fanno i nostri personaggi. Non credo che possa essere un
film di protesta, noi ci limitiamo a raccontare una condizione, accendiamo la
luce sui margini”.
Niccolò Falsetti: “La politica dovrebbe avere il ruolo di
promuovere un’idea di futuro. Il cinema fotografa, ritrae, racconta, e ha un
superpotere in più, infatti è un’esperienza collettiva, è una cosa che si fa
insieme e gioca con l’immaginazione, con il sistema cognitivo delle persone, è
la lingua con cui si sogna non quella con cui si parla, penso che sia anche
questo il suo superpotere politico, perché consente di fruire di un certo tipo
di esperienze attraverso una storia, facendoci vivere cose che non faremmo mai.
Siamo stati biograficamente molto vicini ai personaggi ma non faremmo mai
alcune delle scelte che hanno fatto loro, però in quelle esperienze, in quelle
scelte che io magari non farei, vedo la condizione dell’umano, perché scatenano
delle domande e mi fanno venire voglia di suggerire delle risposte, delle
proposte. Questa immaginazione è quella che probabilmente manca alla nostra
generazione, non sappiamo immaginarci un futuro, la nostra immaginazione si è
un po’ atrofizzata. Se qualcuno guardando il film si trova in questo stato
propositivo, il potenziale politico del film è super esploso”.
La provincia sta molto stretta ai personaggi.
Una speranza per chi vive in provincia la date? La soluzione può
esser soltanto la fuga?
Francesco Turbanti: “Forse dalla provincia non se ne esce mai. Provo a rispondere con una immagine che è quella della palude. Grosseto storicamente era una palude. Nella palude se non fai niente affoghi, perché ti impaludi così tanto che finisci per andare a fondo, e allora ti devi muovere, devi battere i piedi il più possibile. La palude stagna, è tutto fermo, immobile, se non fai nulla vai a fondo senza neanche rendertene conto. L’augurio che posso fare di più a chi vive in provincia è quello del movimento, la spinta all’azione, agire, muoversi. Abbiamo tanti amici che sono rimasti in palude, molti sono impaludati, ma ci sono anche altri che combattono tutti i giorni, per loro abbiamo tanta stima, stanno lì e si muovono in continuazione, non capiamo neanche dove trovano l’energia, sono dei veri e propri agitatori culturali”…
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