lunedì 14 agosto 2023

Il sospetto – Francesco Maselli

Gian Maria Volontè è un militante del partito comunista che viene scelto per una missione a Torino, durante il fascismo più buio.

lai sta in Francia e viene riammesso nel partito e poi incaricato di quella missione.

ha molti dubbi, sul come e il perché, vorrebbe discutere le startegie, le alleanze, ne discute con una compagna, ma al partito ci si adegua. 

si tratta di ricostituire una cellula del partito, in realtà c'è da capire chi è la spia dentro il partito.

non dico altro, a volte un po' verboso, ma le cose sono anche da spiegare, sfocia nel thriller, con i bastardi dell'Ovra fascista che aspettano un passo falso.

il dialogo, se così lo possiamo chiamare, fra il poliziotto dell'Ovra e il comunista è da antologia, Gian Maria Volontè è un mostro di bravura e di immedesimazione nel personaggio, come sempre.

alla sceneggiatura Francesco Maselli e Franco Solinas.

buona (clandestina) visione - Ismaele

 

 

QUI il film completo

 

 

Gian Maria Volontè è qualcosa che noi umani possiamo solo apprezzare a bocca aperta. in questo film è un comunista torinese durante il ventennio fascista, costretto a lavorare in gran segreto per scoprire chi lo abbia tradito, sacrificandosi per il partito.
la storia è raccontata in un modo forse eccessivamente complesso ma appassiona. quello che interessa al regista è raccontare l'organizzazione del partito, il dominio della dialettica e del confronto e come l'IDEA del partito debba essere anteposta a tutto e tutti.
maselli ci parla degli anni trenta ma il suo è un ritratto sempre verde e valido.
il risultato è influenzato dalla presenza di Volontè e dai suoi monologhi o dialoghi...vorrei sapere se con un altro attore il risultato sarebbe stato comunque buono...ma non si può..

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La strumentalità del rapporto tra militante e partito è raccontata con quella dose “inopportuna” di realismo che, ovviamente, non poteva essere accettata dal Pci, che infatti lo criticò. Una critica dura, con in prima fila, guarda caso, Ingrao.

I “panni sporchi” dovevano essere lavati in casa. Vecchio ritornello. Tutto sta nel capire perché una vicenda simile veniva giudicata come un “panno sporco”. La lotta rivoluzionaria, clandestina, comporta asprezze difficili da decifrare in tempi di quiete. Comporta, tra le altre cose, una ragione di partito superiore agli interessi dei singoli militanti. È giusto? Complicato rispondere, di questi tempi. In una scena del film, un commissario politico del centro estero ricorda a Emilio: il primo dovere di ogni militante è di non farsi catturare. Questa è la regola per salvaguardare l’organizzazione. Ma se la cattura di un militante consente all’organizzazione di sopravvivere? L’eccezione conferma la regola, a patto che di questa eccezione si possa servire. Rigidità organizzativa ed eccezionalità convivono quotidianamente nel partito rivoluzionario. Emilio lo capisce e non se ne rammarica.

Alla fine, davanti al funzionario dell’Ovra che gli ripete che “il partito ti ha usato”, invitandolo a tradire, Emilio ripete ostinatamente: “sono un militante del partito comunista italiano, non altro da aggiungere”. E di fronte alle insistenze, alla fine, “cede”, ma in modo inaspettato: “ma questo io l’ho sempre saputo. Eravamo d’accordo”. Il rapporto è di disciplina, senza retoriche estetizzanti ed “eroizzanti”. Volonté, in questo, è come sempre molto bravo. È il partito a fare la parte del “cattivo” in questo caso, coi suoi “grigi burocrati” e le sue logiche perverse. Un cattivo necessario però. Necessario e, ancora peggio, consapevole. Un manovratore di destini altrui. Brutta storia, eppure inevitabile.

Alla fine è ciò che restituisce un film “impegnato” come questo: l’intreccio tra una vicenda necessaria, ma non per questo meno dura da sopportare, e l’umanità “tradita” o, per meglio dire: sospesa.

Non potemmo essere gentili, ci ricorda Brecht. Solo in tal senso è possibile perdonare la disumanità della lotta clandestina.

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Probabilmente, il film più politico partorito dal nostro cinema; tanto da suscitare, al momento della sua uscita, un vivace dibattito nella sinistra italiana. Proprio questa sua prerogativa lo rende, al giorno d'oggi, di difficile digeribilità: il ritmo è troppo lento e la verbosa sceneggiatura (di Franco Solinas e del regista) convince solo a tratti. Ineccepibili, invece, la ricostruzione ambientale e la prova del cast: Volonté bravissimo e mai sopra le righe, la Girardot comprimaria di lusso, Salvatori guida il gruppetto di caratteristi.

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E' un capolavoro assoluto che, oltre all'impegno sociale, mescola anche un pizzico di thriller.

Negli anni del fascismo, Volonté è un comunista incaricato di trovare una spia nel suo partito...

E' un film che andrebbe assolutamente riscoperto e rivalutato. E' un capolavoro assoluto che, oltre all'impegno sociale, mescola anche un pizzico di thriller. La costruzione della tensione è esemplare, il finale da applausi. Inoltre non è una vuota denuncia degli anni del regime fascista, ma anche un'interessante critica alla linea massimalista e di non dialogo con gli altri partiti seguita dal Pcd'I durante la dittatura.

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Formalmente lo ritengo un grande esempio di cinema. Fotografia curata e che interagisce sempre con il tema del film, notevoli movimenti della m.d.p., interpretazioni ottime, figlie di una regia ispirata, senza dimenticare una appropriata colonna sonora e dialoghi ben costruiti. La storia poi è esemplare di un periodo politico storico, datata sì ma in senso positivo e vista oggi, nella realtà politica attuale, sollecita riflessioni nuove su questi ottant'anni di percorso della sinistra italiana ma soprattutto europea.

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Un film di Maselli riuscito, si perché le idee del regista sono spesso poi deviate in fase di realizzazione, ed in più la politica fa annebbiare tutte le regole cinematografiche che ci sono, venendo fuori8 un prodotto improponibile ed indigeribile. Qui, pur avendo un attore schierato come Volontè, riesce a tenere giusta la guida e la storia naviga benissimo in equilibrio costante di racconto e politica; la fede politica diventa vincolante ed il partito è un credo a cui Maselli crede fermamente, ma ripeto, il film è salvato da equilibri che fanno eccezione nel suo cinema. Il titolo del film fu “arricchito”, perché era un titolo già esistente ed è per questo che si presenta il nome del regista. Un bel cast anche in ruoli di partecipazione arricchisce tutta l'operazione ed in più parte con il piede giusto avendo in collaborazione nella sceneggiatura Franco Solinas la fede politica.

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Forse il corso del tempo non ha giovato al film del “valoroso compagno” Maselli (cit. Gassman ne La terrazza). Quel che trasmette oggi Il sospetto è probabilmente un altro messaggio rispetto all’intento originario. Se allora c’era la strenua esigenza di rivendicare l’operato clandestino del Partito Comunista nel terribile periodo fascista, oggi si percepisce maggiormente l’atmosfera cupa e subdola degna del miglior thriller politico. Ovviamente le motivazioni di questa metamorfosi di visione non sono dettate dalla svalutazione progressiva che il miglior opus della carriera di Citto, piuttosto da un imbarbarimento retrograde che gestisce gli uomini nostalgici di questo Paese: è la percezione del lato buono del ventennio che ormai ha tremendamente fatto breccia nel patrimonio collettivo. Lasciando perdere queste letture socio-politiche del film, bisogna riconoscere la tensione palpabile che si respira nell’angusta messinscena del compagno Maselli: uomini che si ingannano e sfuggono al destino, ai margini del conformismo alla ricerca della concretizzazione di un’utopia, fregati dal sistema che si impossessa di tutto e non lascia scampo…

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Confonderti tra la folla, eppure non essere come gli altri, perché gravato di una consapevolezza che, se da un lato di avvantaggia, dall’altro ti isola e ti mette in pericolo. Accorgerti che i tuoi stessi compagni di lotta non ti stimano, e sembrano volerti semplicemente usare per i loro scopi. Sentirti, nei fatti, ridotto a nessuno, mentre ti devi esporre in prima persona al servizio di un’idea. Queste sono le drammatiche contraddizioni che il protagonista vive sulla propria pelle. Le rigide regole della rivoluzione armata non ammettono deroghe, discussioni, coloriture emotive o interpretazioni critiche individuali. Sono teorie astratte, unicamente funzionali all’azione, indifferenti alle delicate sfumature della natura umana. La grande macchina deve andare avanti, e l’insano sentimento del sospetto è il suo unico meccanismo di difesa. Il film nella prima e nell’ultima parte è eccessivamente verboso – è vero – ma il “verbo” qui è dura e perentoria razionalità, che, nella fase esecutiva, diventa un meccanismo che macina e che stritola. I rapporti personali sono regolati da un’impietosa logica a due valori, amico/nemico, e si accendono o spengono con l’interruttore on/off della fiducia/diffidenza. Un film tremendamente incisivo, in cui ogni pensiero, espresso o inespresso, attraversa lo schermo come una lama di coltello. E “il sospetto” è un fluido malefico che si fa solido e tangibile.

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