Gian Maria Volontè è un militante del partito comunista che viene scelto per una missione a Torino, durante il fascismo più buio.
lai sta in Francia e viene riammesso nel partito e poi incaricato di quella missione.
ha molti dubbi, sul come e il perché, vorrebbe discutere le startegie, le alleanze, ne discute con una compagna, ma al partito ci si adegua.
si tratta di ricostituire una cellula del partito, in realtà c'è da capire chi è la spia dentro il partito.
non dico altro, a volte un po' verboso, ma le cose sono anche da spiegare, sfocia nel thriller, con i bastardi dell'Ovra fascista che aspettano un passo falso.
il dialogo, se così lo possiamo chiamare, fra il poliziotto dell'Ovra e il comunista è da antologia, Gian Maria Volontè è un mostro di bravura e di immedesimazione nel personaggio, come sempre.
alla sceneggiatura Francesco Maselli e Franco Solinas.
buona (clandestina) visione - Ismaele
QUI il film completo
Gian Maria Volontè è qualcosa che noi umani possiamo solo
apprezzare a bocca aperta. in questo film è un comunista torinese durante il
ventennio fascista, costretto a lavorare in gran segreto per scoprire chi lo
abbia tradito, sacrificandosi per il partito.
la storia è raccontata in un modo forse
eccessivamente complesso ma appassiona. quello che interessa al regista è
raccontare l'organizzazione del partito, il dominio della dialettica e del
confronto e come l'IDEA del partito debba essere anteposta a tutto e tutti.
maselli ci parla degli anni trenta ma il suo è un
ritratto sempre verde e valido.
il risultato è influenzato dalla presenza di
Volontè e dai suoi monologhi o dialoghi...vorrei sapere se con un altro attore
il risultato sarebbe stato comunque buono...ma non si può..
…La strumentalità
del rapporto tra militante e partito è raccontata con quella dose “inopportuna”
di realismo che, ovviamente, non poteva essere accettata dal Pci, che infatti
lo criticò. Una critica dura, con in prima fila, guarda caso, Ingrao.
I
“panni sporchi” dovevano essere lavati in casa. Vecchio ritornello. Tutto sta
nel capire perché una vicenda simile veniva giudicata come un “panno sporco”.
La lotta rivoluzionaria, clandestina, comporta asprezze difficili da
decifrare in tempi di quiete. Comporta, tra le altre cose, una ragione di
partito superiore agli
interessi dei singoli militanti. È giusto? Complicato rispondere, di questi
tempi. In una scena del film, un commissario politico del centro estero ricorda
a Emilio: il primo dovere di ogni militante è di non farsi catturare. Questa è
la regola per salvaguardare l’organizzazione. Ma se la cattura di un militante
consente all’organizzazione di sopravvivere? L’eccezione conferma la regola, a
patto che di questa eccezione si possa servire. Rigidità organizzativa ed
eccezionalità convivono quotidianamente nel partito rivoluzionario. Emilio lo
capisce e non se ne rammarica.
Alla
fine, davanti al funzionario dell’Ovra che gli ripete che “il partito ti ha
usato”, invitandolo a tradire, Emilio ripete ostinatamente: “sono un militante
del partito comunista italiano, non altro da aggiungere”. E di fronte alle
insistenze, alla fine, “cede”, ma in modo inaspettato: “ma questo io l’ho
sempre saputo. Eravamo d’accordo”. Il rapporto è di
disciplina, senza retoriche estetizzanti ed “eroizzanti”. Volonté, in questo, è
come sempre molto bravo. È il partito a fare la parte del “cattivo” in questo
caso, coi suoi “grigi burocrati” e le sue logiche perverse. Un cattivo
necessario però. Necessario e, ancora peggio, consapevole. Un manovratore di
destini altrui. Brutta storia, eppure inevitabile.
Alla fine è ciò che
restituisce un film “impegnato” come questo: l’intreccio tra una vicenda
necessaria, ma non per questo meno dura da sopportare, e l’umanità “tradita” o,
per meglio dire: sospesa.
Non
potemmo essere gentili, ci ricorda Brecht. Solo in tal senso è possibile perdonare la
disumanità della lotta clandestina.
Probabilmente,
il film più politico partorito dal nostro cinema; tanto da suscitare, al
momento della sua uscita, un vivace dibattito nella sinistra italiana. Proprio
questa sua prerogativa lo rende, al giorno d'oggi, di difficile digeribilità:
il ritmo è troppo lento e la verbosa sceneggiatura (di Franco Solinas e del
regista) convince solo a tratti. Ineccepibili, invece, la ricostruzione
ambientale e la prova del cast: Volonté bravissimo e mai sopra le righe, la
Girardot comprimaria di lusso, Salvatori guida il gruppetto di caratteristi.
E'
un capolavoro assoluto che, oltre all'impegno sociale, mescola anche un pizzico
di thriller.
Negli anni del
fascismo, Volonté è un comunista incaricato di trovare una spia nel suo
partito...
E' un film che
andrebbe assolutamente riscoperto e rivalutato. E' un capolavoro assoluto che,
oltre all'impegno sociale, mescola anche un pizzico di thriller. La costruzione
della tensione è esemplare, il finale da applausi. Inoltre non è una vuota
denuncia degli anni del regime fascista, ma anche un'interessante critica alla
linea massimalista e di non dialogo con gli altri partiti seguita dal Pcd'I
durante la dittatura.
Formalmente
lo ritengo un grande esempio di cinema. Fotografia curata e che interagisce
sempre con il tema del film, notevoli movimenti della m.d.p., interpretazioni
ottime, figlie di una regia ispirata, senza dimenticare una appropriata colonna
sonora e dialoghi ben costruiti. La storia poi è esemplare di un periodo
politico storico, datata sì ma in senso positivo e vista oggi, nella realtà
politica attuale, sollecita riflessioni nuove su questi ottant'anni di percorso
della sinistra italiana ma soprattutto europea.
Un film di Maselli riuscito, si perché le idee del regista
sono spesso poi deviate in fase di realizzazione, ed in più la politica fa
annebbiare tutte le regole cinematografiche che ci sono, venendo fuori8 un
prodotto improponibile ed indigeribile. Qui, pur avendo un attore schierato
come Volontè, riesce a tenere giusta la guida e la storia naviga benissimo in
equilibrio costante di racconto e politica; la fede politica diventa vincolante
ed il partito è un credo a cui Maselli crede fermamente, ma ripeto, il film è
salvato da equilibri che fanno eccezione nel suo cinema. Il titolo del film fu
“arricchito”, perché era un titolo già esistente ed è per questo che si
presenta il nome del regista. Un bel cast anche in ruoli di partecipazione
arricchisce tutta l'operazione ed in più parte con il piede giusto avendo in
collaborazione nella sceneggiatura Franco Solinas la fede politica.
Forse il corso del tempo non ha giovato al film del “valoroso
compagno” Maselli (cit. Gassman ne La terrazza). Quel che trasmette oggi Il sospetto è probabilmente un altro messaggio rispetto
all’intento originario. Se allora c’era la strenua esigenza di rivendicare
l’operato clandestino del Partito Comunista nel terribile periodo fascista,
oggi si percepisce maggiormente l’atmosfera cupa e subdola degna del miglior
thriller politico. Ovviamente le motivazioni di questa metamorfosi di visione
non sono dettate dalla svalutazione progressiva che il miglior opus della
carriera di Citto, piuttosto da un imbarbarimento retrograde che gestisce gli
uomini nostalgici di questo Paese: è la percezione del lato buono del ventennio
che ormai ha tremendamente fatto breccia nel patrimonio collettivo. Lasciando
perdere queste letture socio-politiche del film, bisogna riconoscere la
tensione palpabile che si respira nell’angusta messinscena del compagno
Maselli: uomini che si ingannano e sfuggono al destino, ai margini del conformismo
alla ricerca della concretizzazione di un’utopia, fregati dal sistema che si
impossessa di tutto e non lascia scampo…
Confonderti tra la folla, eppure non essere come gli altri,
perché gravato di una consapevolezza che, se da un lato di avvantaggia,
dall’altro ti isola e ti mette in pericolo. Accorgerti che i tuoi stessi
compagni di lotta non ti stimano, e sembrano volerti semplicemente usare per i
loro scopi. Sentirti, nei fatti, ridotto a nessuno, mentre ti devi esporre in
prima persona al servizio di un’idea. Queste sono le drammatiche contraddizioni
che il protagonista vive sulla propria pelle. Le rigide regole della
rivoluzione armata non ammettono deroghe, discussioni, coloriture emotive o
interpretazioni critiche individuali. Sono teorie astratte, unicamente
funzionali all’azione, indifferenti alle delicate sfumature della natura umana.
La grande macchina deve andare avanti, e l’insano sentimento del sospetto è il
suo unico meccanismo di difesa. Il film nella prima e nell’ultima parte è
eccessivamente verboso – è vero – ma il “verbo” qui è dura e perentoria
razionalità, che, nella fase esecutiva, diventa un meccanismo che macina e che
stritola. I rapporti personali sono regolati da un’impietosa logica a due
valori, amico/nemico, e si accendono o spengono con l’interruttore on/off della
fiducia/diffidenza. Un film tremendamente incisivo, in cui ogni pensiero,
espresso o inespresso, attraversa lo schermo come una lama di coltello. E “il
sospetto” è un fluido malefico che si fa solido e tangibile.
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