giovedì 31 agosto 2023

Il Terzo Cinema e i film davvero radicali - Michael Galant

 

Nel mezzo delle discussioni confuse e infuocate che ormai accompagnano ogni nuova grande uscita nelle sale, sarebbe utile riprendere l’eredità vitale di uno dei movimenti cinematografici più rivoluzionari del Novecento, quello nato in Argentina negli anni Sessanta

Barbie è una decostruzione radicale non solo del patriarcato, ma anche delle stesse convenzioni del cinema. Oppure è una pubblicità della durata di un film addolcita da luoghi comuni pseudofemministi. Oppenheimer è un’accusa feroce al genio tormentato la cui ambizione immorale non ha portato ad altro se non la distruzione assoluta. Oppure è una scintillante glorificazione dell’uomo dietro a una delle più grandi atrocità della storia.

La lotta politica sui temi degli ultimi blockbuster è scoppiata settimane prima della loro uscita. Proprio come le particelle quantistiche inosservate di Oppenheimer, i film esistono nell’era di Twitter in stati antitetici e simultanei: al contempo rivoluzionari e reazionari, woke e problematici. È molto semplice proiettare su qualsiasi film un’immagine esagerata della propria posizione (o di quella dei propri nemici).

Criticare il messaggio politico trasmesso dai mass media è certamente un’occupazione valida. Ma nel vasto oceano delle discussioni circolari e sterili della guerra culturale, è facile perdere di vista il porto. Cosa dovrebbe cercare sulla linea dell’orizzonte il cinefilo anticapitalista? Qual è la stella polare del cinema di sinistra?

Nell’epoca dei franchising di supereroi e remake della Disney, di film vincitori agli Oscar che inneggiano all’odio verso l’élite, e dei film impegnati alla Adam McKay, la sinistra farebbe meglio a considerare il modo in cui il messaggio politico di un film viene valutato, e quale potrebbe essere l’aspetto di una produzione cinematografica veramente alternativa e radicale. E non c’è punto di partenza migliore del Terzo Cinema.

La teoria del Terzo Cinema

Nell’ottobre del 1969, la rivista Tricontinental pubblicò un articolo scritto da due giovani registi argenti, Octavio Getino e Fernando Solanas, intitolato Verso un Terzo Cinema. Questo pezzo lungo ventitré pagine sarebbe diventato in seguito una sorta di manifesto, che esplicitava la teoria di un nascente movimento cinematografico, dando vita a un nuovo approccio alla regia politicizzata che rimane tuttora attivo, dopo più di cinquant’anni. 

Verso un Terzo Cinema osserva che la maggior parte dei film prodotti fino a quel momento potevano essere classificati entro due categorie. Il Primo Cinema era quello di Hollywood, con film prodotti da grandi corporation e il cui obiettivo primario era l’intrattenimento (e dunque il profitto). Un esempio sono i musical della Golden Age di Hollywood o i film della Marvel. Pur avendo dimostrato il potenziale dell’uso del film come mezzo per raggiungere un pubblico di massa, il Primo Cinema non aveva alcun intento radicale.

Il Secondo Cinema, invece, era molto spesso sperimentale, influenzato dalla visione artistica del regista e concentrato principalmente sulla sua espressione. Rappresenta sotto molti aspetti un passo avanti rispetto al Primo, forzando i vincoli del mezzo a obiettivi più alti del semplice spettacolo. Ma secondo Getino e Solanas, il suo potenziale politico è rimasto fortemente circoscritto dall’imperativo commerciale. Al peggio, il Secondo Cinema sarebbe diventato autocontemplativo e individualista; al meglio, avrebbe saputo testimoniare l’esistenza dell’ingiustizia e la sofferenza della classe operaia, ma senza per questo articolare una critica sofisticata delle relazioni materiali da cui deriva tale sofferenza, o immaginare alternative.

Riconoscendo sia i punti di forza che i limiti di queste due forme, Getino e Solanas hanno proposto un Terzo Cinema, che mirava esplicitamente a usare la forza cinematografica per formare e mobilitare le masse verso la lotta di classe e la liberazione nazionale. Probabilmente influenzati dall’opera del cinema sovietico degli albori, dal pensiero dell’educatore e filosofo Paulo Freire e, forse prima di tutto, dal teorico e drammaturgo Bertolt Brecht, Getino e Solanas denunciavano il fatto che l’industria cinematografica argentina era «predisposta ad accettare e giustificare la dipendenza, origine del sottosviluppo». Al contrario, i due registi spingevano verso la crescita di un cinema mirato a incrementare la coscienza di classe anti-imperialista del pubblico. Nelle loro parole:

La lotta anti-imperialista dei popoli del Terzo mondo e dei loro equivalenti all’interno delle nazioni imperialiste costituisce oggi l’asse della rivoluzione mondiale. Il Terzo Cinema è, secondo noi, il cinema che riconosce in questa lotta la più grande manifestazione culturale, scientifica e artistica dei nostri tempi, la grande possibilità di costruire una personalità liberata in cui ogni popolo è il punto di partenza – in una sola parola, la decolonizzazione della cultura.

Getino e Solanas non credevano semplicisticamente nel potere unilaterale dell’arte o del linguaggio di cambiare il mondo. Piuttosto, vedevano nella cultura uno dei vari nodi della contestazione. La produzione culturale era un mezzo potente dotato del potenziale di interagire in maniera dialettica con le condizioni materiali per spingere in avanti la vera lotta per la liberazione del Terzo mondo.

Nel libro Political Film, lo studioso Mike Wayne evidenzia i quattro elementi chiave con cui il Terzo Cinema punta a raggiungere questo obiettivo: la storicità (il film si situa nella storia, interpretata come «processo, cambiamento, contraddizione e conflitto»); la politicizzazione (il film esplora «il processo secondo cui persone che sono state oppresse e sfruttate prendono coscienza della propria condizione e decidono di agire»); l’impegno critico (se nessuna opera artistica è immune dall’ideologia, il Terzo Cinema abbraccia la propria prospettiva critica); la specificità culturale (il film è radicato nel contesto culturale specifico del proprio pubblico).

Forse l’espressione più chiara di questo approccio è il film di Getino e Solanas La Hora de los Hornos (L’Ora dei forni) prodotto nel 1968. Il film combina filmati originali e documentari d’archivio per costruire quattro ore di trattato sull’Argentina, sul suo passato coloniale, il suo presente neocoloniale, la sua stratificazione di classe e, non da ultimo, la necessità di una lotta per la sua liberazione.

Pur sfociando occasionalmente in un formato documentaristico più tradizionale, La Hora de los Hornos raggiunge i suoi picchi quando Getino e Solanas giocano con il formato, manipolando in modo quasi tangibile il potere del cinema di formare e interessare. Il film si apre con una batteria di tamburi, assaltando lo spettatore con immagini di conflitto sociale (proteste, repressioni violente, episodi di guerriglia), interrotte da cartelli contenenti slogan come «Liberaciòn» e «Un passato comune. Un nemico comune. Una possibilità comune». Una sequenza successiva mostra un montaggio di scene cruente di macelleria, pubblicità e cartelli che indicano, per esempio, la percentuale dei beni minerali argentini che appartiene a multinazionali straniere.

Per Getino e Solanas, il Terzo Cinema non era solamente definito dal suo contenuto e dalla sua forma, ma anche dal metodo di produzione e distribuzione. I due registi avevano fondato il Grupo Cine Liberación, introducendo nel processo di produzione cinematografica il controllo democratico e la titolarità operaia. Lavorando sotto una dittatura fantasma, e cercando di ridurre al minimo qualsiasi debito finanziario che avrebbe potuto minare il messaggio politico, il collettivo faceva affidamento su una «produzione di guerriglia», con piccole squadre che operavano entro un budget irrisorio, e spesso al di là dei limiti della legge.

La distribuzione seguiva uno schema simile. Vietato in molteplici luoghi, La Hora de los Hornos veniva di solito proiettato segretamente da organizzazioni politiche radicali e accompagnato da sessioni intense di dialogo e dibattito. Non tutti i registi del Terzo Cinema avrebbero soddisfatto gli standard rigorosi di produzione e distribuzione fissati da Getino e Solanas, ma la critica della produzione culturale capitalista e lo spirito di rigoroso coinvolgimento del pubblico che i due registi rappresentavano si sarebbe rivelato in ogni caso formativo per lo sviluppo del Terzo Cinema.

La pratica del Terzo Cinema

Pur se Getino e Solanas ne coniarono il nome, il Terzo Cinema non appartiene certo solamente a loro. Sia L’Estetica della Fame del regista brasiliano Glauber Rocha, uscito quattro anni prima, e Per un Cinema Imperfetto del regista e teorico cubano Julio García Espinosa sono saggi che hanno avuto una simile influenza sul potenziale politico del film. Ma più eloquenti di qualsiasi teoria scritta sono gli stessi film.

Il Terzo Cinema ha assunto molte forme. La batalla de Chile: La lucha de un pueblo sin armas (La battaglia del Cile: lotta di un popolo disarmato) di Patricio Guzmán usa video tratti da documentari per seguire il contraccolpo reazionario della presidenza di Salvador Allende. Yawar Mallku (Sangue del Condor) di Jorge Sanjinés è un dramma basato su una supposta storia vera della comunità Quechua che scopre che le loro donne sono state forzatamente sterilizzate dai Peace Corps statunitensi. Il film buffo e a volte bizzarro di Kidlat Tahimik, Mababangong Banhungot (L’incubo profumato), segue un autista di jeep filippino, ossessionato dagli Stati uniti e fan sfegatato di Wernher von Braun, nel suo viaggio di disinganno del mito dell’Occidente.

Molti film del Terzo Cinema rappresentano esplicitamente la lotta per l’indipendenza nazionale e politica: ambientato nell’Angola del 1961, il film Sambizanga di Sarah Maldoror tratta del viaggio di una donna per liberare il marito militante imprigionato, che aveva fatto parte del Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola. Altri, come il «padre» del cinema africano Ousmane Sembène, famoso per aver dichiarato che «L’Europa non è il mio centro», si sono concentrati invece sulla comprador bourgeoisie postcoloniale. Il suo film Xala, per esempio, narra la storia di un corrotto uomo d’affari senegalese condannato all’impotenza, sia politica che sessuale.

Pur se profondamente convinto della propria posizione politica, il Terzo Cinema non teme le sfumature o la complessità. Memorias del Subdesarrollo (Memorie del sottosviluppo) di Tomás Gutiérrez Alea raffigura la borghesia cubana come frustrata e sradicata in un paese che l’ha ormai superata, mostrando, nelle parole di un critico, «un ritratto compassionevole di un uomo che non merita compassione».

Anche se il Terzo Cinema viene generalmente prodotto da artisti del Terzo mondo, non si tratta di una regola assoluta. L’opera d’arte neorealista dell’italiano Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri viene spesso inclusa in questo canone, insieme al suo meno noto film Queimada. Né la definizione si applica solo ai film veri e propri. Agarrando Pueblo (I vampiri della povertà) dei colombiani Carlos Mayolo e Luis Ospina, per esempio, dura ventisette minuti e inizia come una satira anonima del feticismo della povertà per poi trasformarsi in qualcosa di molto più più potente quando la narrazione viene abbandonata per consentire a un attore (effettivo residente del quartiere rappresentato) di infrangere la quarta parete e articolare le proprie opinioni sul processo di produzione del film direttamente verso la telecamera.

Il Terzo Cinema come corrente artistica ha seguito la crescita e poi lo stallo del movimento del Terzo mondo. Ma non è rimasto interamente nel passato. Vent’anni dopo l’uscita del suo Touki Bouki, un classico del Terzo Cinema, Djibril Diop Mambéty ha girato Hyènes (Iene), un’allegoria dell’arrivo della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale (Fmi) sul continente africano, e della capacità di alcuni di sacrificare ogni cosa davanti alla promessa di ricchezza. Nel film del 2006 Bamako, del regista mauriziano-maliano Abderrahmane Sissako, le popolazioni africane mettono sotto processo l’Fmi e la Banca mondiale per i loro crimini contro il continente nel cortile della casa di una famiglia maliana. Man mano che procede l’udienza, gli altri membri della famiglia guardano un film-dentro-al-film in cui una banda di cowboy americani fa partire una sparatoria a Timbuktu; «Due insegnanti sono troppi», dice uno di loro prima di sparare.

Il Terzo Cinema attraversa decenni, continenti e generi, a partire dai film che hanno ispirato Getino e Solanas fino ad arrivare ai loro discendenti contemporanei, e più che costituire un movimento unito rappresenta un approccio e un impegno comune: usare il potere del cinema per portare avanti il progetto di liberazione del Terzo mondo.

Il Terzo Cinema, allora e oggi

Il Terzo Cinema non è immune dalle critiche. Nonostante la grandiosità dei suoi obiettivi, è rimasto un fenomeno culturalmente marginale. Pur avendo cercato un pubblico di massa, le grandi aspettative che il Terzo Cinema ripone sugli spettatori ne hanno allontanati e persino alienati molti.

Né si può dire che il Terzo Cinema abbia la prerogativa sui film politici. Dai maestri sovietici a Bong Joon-ho, passando per grandi movimenti di cinema radicale nero, femminista e queer, il film è stato usato come veicolo di cambiamento sociale sin dalla sua nascita. 

Ma il contributo del Terzo Cinema alla storia della produzione politica di film, vista come lo sforzo collettivo di mettere in pratica una politica radicale dalla produzione alla distribuzione al consumo, è enorme. Dove molti film sfruttano la rabbia e l’oltraggio per mitigarli, il Terzo Cinema dà loro una direzione. Superando il lamento sterile e superficiale sullo stato del mondo, il Terzo Cinema articola una critica sostanziale del sistema capitalista e imperialista. Invece di esistere in funzione del profitto, la raison d’être del Terzo Cinema è proprio sviluppare la coscienza di classe per contribuire culturalmente alla lotta materiale antimperialista.

Getino e Solanas chiudono il loro manifesto dichiarando che «la nascita di un Terzo Cinema rappresenta, almeno per noi, il più grande evento artistico rivoluzionario dei nostri tempi». Anche se questa affermazione può apparire drammatica col senno di poi, giungeva in un momento in cui le posizioni politiche del Terzo mondo sembravano in procinto di rimodellare le relazioni internazionali. Il mondo del 2023 è certamente molto diverso da quello del 1969, ma l’obiettivo fondamentale del Terzo Cinema, ovvero la decolonizzazione, non è meno urgente.

Non tutti i film devono necessariamente soddisfare gli standard del Terzo Cinema per avere un impatto politico, e ancor meno valore artistico. Barbie e Oppenheimer possono essere guardati con piacere, criticati, condannati o valorizzati senza alcun problema. Ma nel mezzo delle discussioni confuse e iperboliche che ormai accompagnano inevitabilmente ogni nuova uscita, l’eredità vitale di uno dei movimenti più influenti del cinema offre un approdo sicuro. Il Terzo Cinema è un memento del potenziale radicale del cinema.

 

*Michael Galant fa parte del Comitato internazionale dei Democratic Socialist of America (Dsa). Questo articolo è uscito su Jacobin Magazine, la traduzione è di Valentina Menicacci.

 

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