venerdì 1 settembre 2023

Il diritto di uccidere (In a Lonely Place) – Nicholas Ray

titolo perfetto, per un altro film.

In a Lonely Place è un film sul cinema, sull'amore, su un assassinio, con Humphrey Bogart e Gloria Grahame indimenticabili.
sceneggiatura perfetta, senza tempi morti.
niente è quello che sembra, i due protagonisti sono mostri di bravura e tensione.
non perdetevelo, se vi volete bene.
buona (amorosa e paurosa) visione - Ismaele





Sono nato quando lei mi ha baciato. Sono morto quando lei mi ha lasciato. Ho vissuto le poche settimane in cui lei mi ha amato.
Dixon Steele nel film In a Lonely Place, citato anche dai The Smithereens nell’omonima canzone
Nel film In a Lonely Place, Humphrey Bogart e Gloria Grahame sono ancora abbastanza vicini al noir. “Era molto più di un attore. Era l’immagine stessa della nostra condizione. Il suo volto era un rimprovero vivente” disse Nicholas Ray di Bogart. Il film è un riflesso delle fratture postbelliche. Dix Steele, reduce di guerra, tenta invano di far ripartire la propria carriera di sceneggiatore. La mitologia dell’amore viene riscritta e ha il suono della paranoia. Nel gotico femminile una donna innocente entra nel palazzo stregato di un uomo ma presto i due si rivelano perfetti estranei. Per gli uomini il matrimonio è una continuazione della guerra con altri mezzi. In a Lonely Place fu prodotto dalla Santana Productions di Humphrey Bogart, e fu lui a scegliere come regista Nicholas Ray. Mai il linguaggio del corpo di Bogart è stato più convincente: il mito hollywoodiano si smonta rivelando un personaggio pericoloso. Il film è una versione diluita del romanzo di Dorothy Hughes ma si conserva fedele alla sua ambiguità; è stato cambiato a favore di una più profonda inquietudine. Anche se non vediamo mai gli studios, In a Lonely Place è uno dei più grandi film su Hollywood. La commissione per le attività antiamericane e la lista nera non vengono mai nominati, ma In a Lonely Place parla anche di loro.
Dagli scritti postumi di Peter von Bagh (2014), a cura di Antti Alanen
Nicholas Raymond Kienzle è un autore nel senso che ci piace dare a questa parola. Tutti i suoi film raccontano una stessa storia, quella di un violento che vorrebbe cessare di esserlo, i suoi rapporti con una donna moralmente più forte di lui perché il duro, protagonista dei film di Ray, è un debole, un uomo bambino, quando non è semplicemente un bambino. Sempre la solitudine morale, sempre gente disposta a braccarti, linciarti. […]
Se è vero che si possono distinguere due tipi di registi, i cerebrali e gli istintivi, io metterei senz’altro Ray nel secondo gruppo, in quello della sincerità e della sensibilità. […]
Nicholas Ray è un po’ il Rossellini hollywoodiano. […] Nel regno della meccanica, amorevolmente, Nicholas Ray da artigiano fabbrica graziosi piccoli oggetti in legno di pungitopo. Dagli al dilettante! Non è un film di Ray se è senza un tramonto. È il poeta della notte che scende e tutto è permesso a Hollywood tranne la poesia. […]
Si può rifiutare Hawks in nome di Ray (o viceversa), rifiutare anche Il grande cielo in nome di Johnny Guitar o accettarli tutti e due, ma a chi rifiuta l’uno e l’altro arrivo a dire: non andare più al cinema, non vedere più film, perché non saprai mai cosa sono l’ispirazione, l’intuizione poetica, un’inquadratura, un piano, un’idea, un buon film, il cinema.
François Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, Venezia 1978

 Nicholas Ray, grazie alla superba interpretazione di Humphrey Bogart, mette in scena un personaggio ambiguo, del quale lo spettatore non saprà mai nulla fino in fondo, se non un’innata brutalità. Dixon è un personaggio in cerca di una stabilità risolutiva che però gli è costitutivamente preclusa. Non si tratta di un uomo alla ricerca di un’identità – che è invece ben definita, seppure scissa e anormale, tipica di chi soffre di un disturbo psicologico – bensì alla ricerca di una stabilità esterna capace di arginare i suoi feroci squilibri e di alleviare dolori ignoti di un ego violento. In a Lonely Place è un luogo dell’anima, dove ci si ritrova a fare i conti con se stessi, con i propri dubbi, i timori e le incertezze. 
“Sapevi che era dinamite! Deve pur esplodere ogni tanto” dice Mel Lippmann (Art Smith), l’agente di Dixon a Laurel in preda alle lacrime, combattuta tra i dubbi sulla sua innocenza e l’istinto a fuggire ed evitare il frettoloso matrimonio. A poco varrà venire a sapere che l’assassino di Mildred è un altro uomo; la rabbiosa ossessione di Dix si è ormai già consumata in una violenta aggressione ai danni della povera Laurel, che disperata e tra le lacrime non potrà che dirsi “vissuta nelle sole poche settimane in cui Dix l’ha amata”.

 

The courtyard of the Hollywood building occupied by Humphrey Bogart in "In a Lonely Place" (1950) is one of the most evocative spaces I've seen in a movie. Small apartments are lined up around a Spanish-style courtyard with a fountain. Each flat is occupied by a single person. If you look across from your window, you can see into the life of your neighbor.

One apartment is occupied by Dixon Steele, an alcoholic screenwriter who has some success but is now in the midst of a long, dry spell. Across from him is Laurel Gray (Gloria Grahame), a would-be actress and a smart cookie. Steele is a bitter, angry man. Drinking at noon in his usual hangout, he succeeds in insulting his agent, punching a man who is cruel to an aging has-been actor and then getting in a fistfight with the son of a studio chief.

This concise opening scene, set in a bar inspired by Bogart's own hangout, Romanoff's, establishes Dixon Steele's character and summarizes some of the things we sense about Bogart, that enigmatic man. They both drink too much. They're both idealists who sympathize with underdogs. They both have a temper. Steele has, and Bogart was always able to evoke self-pity; remember his Dobbs in "Treasure of the Sierra Madre." Bogart was at his best in conflicted roles, at his weakest in straightforward macho parts. Steele's qualities make him an ideal partner for Laurel Gray, who has been around, knows the ropes and is more likely to fall for a wounded pigeon than a regular guy…

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Un escritor listo y muy altivo,

violento e introvertido,

justiciero y comprensivo.

¿Es Bogart un mal partido?

El que fue masculino divo,

siendo feo como un graznido,

hace de varón atractivo

con pasado escondido.

Abandonado en lo afectivo

encuentra el amor surgido

entregando sin paliativo

todo su interior podrido.

Este amante compulsivo

es dañina flecha de cupido.

Cualquier bomba o explosivo

mata menos que su tañido.

Nunca se sabe si es sincero el colectivo.

Atender al argumento urdido

y ser a lo social aprensivo

es testimonio travestido.

Excelsa crítica a lo cognitivo.

El romance en estallido.

Ejemplo en lo narrativo.

No hay diálogo más fluido.

Joya de Nicholas Ray.

Disfruten del guirigay.

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...El director consigue un desempeño sublime tanto de Bogart como de Grahame, sin duda ubicándose entre lo mejor de sus respectivas carreras, y en cierta medida se nota en pantalla la clara familiaridad de por medio debido a que las actuaciones resultantes los dejan muy desnudos ante las cámaras como pocas veces había ocurrido y ocurrirá a futuro, pensemos en este sentido que Bogart ya había trabajado con Ray en la atractiva aunque inferior Horas de Angustia y Grahame, por su parte, no sólo había participado en El Secreto de una Mujer, coprotagonizándola junto a Maureen O’Hara y Melvyn Douglas, sino que era la esposa de entonces de Nicholas, cuyo matrimonio comenzó a desmoronarse durante el rodaje del opus que nos ocupa hasta que se divorciaron en 1952. Louise Brooks, la legendaria actriz de La Caja de Pandora (Die Büchse der Pandora, 1929), de Georg Wilhelm Pabst, llegó a afirmar que Dixon Steele fue el personaje más cercano al Bogart de carne y hueso que ella conoció porque el guionista y el mítico intérprete compartían rasgos como el egoísmo, el orgullo artístico, su amargura alcohólica y cierta disposición pendular entre la abulia de la depresión y unos estallidos de vehemencia todo terreno que llegaron a asustar a su cuarta y última esposa, Lauren Bacall, trasfondo autobiográfico que complementa al homólogo señalado del cineasta, a sabiendas de las borracheras, desvaríos y drogodependencia de Nicholas, y que llega al punto de que Bogie financió la película a través de su productora Santana Productions, responsable además de Horas de AngustiaSirocco (1951), de Curtis Bernhardt, y la querida La Burla del Diablo (Beat the Devil, 1953), de John Huston. El desenlace prosaico, enmarcado en la desconfianza y necesidad de alejamiento de Gray y su rol central en cuanto a la retroalimentación del comportamiento agresivo de su novio, corona a la perfección este círculo vicioso del miedo hogareño que tiene que ver con la complementación malsana entre la paranoia femenina autovictimizante de Laurel y la furia patológica de un Dixon que no acepta un “no” por respuesta y no posee la capacidad para enfrentarse a los entuertos de la vida sin estallar de repente, un par de latiguillos identitarios autodestructivos que los sabotean por separado y como pareja sin que en última instancia importe aquel cadáver de Atkinson, ese responsabilidad de un Kesler, el sospechoso obvio desde el principio, que no sólo confiesa el homicidio frente a Nicolai sino que enfatiza la vulgaridad romántica burguesa de fondo, hoy volcada a la soledad y la derrota existencial…

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...Al tema dell’ambiguità è correlato quello del doppio. Dix, infatti, alterna momenti di quiete a raptus di rabbia, così come il Johnny Logan (Sterling Hayden) di Johnny Guitar [id. 1954] alterna gli arpeggi della sua chitarra alla rapidità della sua colt. Quella di Dix è una personalità doppia e frammentata: difatti, come scrive Paul Schrader, In a Lonely Place, che il regista di The Canyons (2013) ha inserito in quella «fase del noir caratterizzata dall’azione psicotica e dall’impulso al suicidio»2, è un film in cui «si riflettono le forze di una personalità disintegrata»3. Questa frammentazione, resa evidente già negli opening credits dall’inquadratura dei soli occhi di Dix riflessi nello specchietto dell’auto, sarà causa, a partire proprio dalla morte di Mildred (Martha Stewart), del progressivo inasprimento dei rapporti tra il protagonista e i personaggi a lui più vicini: «with Mildred’s murder the film becomes about the problem matching the Self with both the social and the individual Other»4, scrive Christina Neckles.

Questa duplicità si riscontra anche nel fatto che l’opera di Ray presenta fondamentalmente due strati di lettura, associati al titolo inglese e alla corrispettiva traduzione italiana.
Il primo livello, quello relativo alla traduzione Il diritto di uccidere – ricordiamo en passant che il film è stato distribuito anche con il titolo Paura senza perché – rimarca l’aspetto più strettamente morale del film. Paradigmatica, da questo punto di vista, la scena al volante in cui Dix, adirato per un precedente litigio con Laurel, corre all’impazzata e ad una curva si scontra con un altro automobilista. Dopo averlo preso a pugni, per poco non lo colpisce anche con una pietra. Subito dopo,  segue un dialogo davvero pregnante tra lui e Laurel:

Laurel: Sei orgoglioso di quello che hai fatto?

Dix: No, ma ho ugualmente ragione. […] Hai sentito come mi ha chiamato.

Laurel: Ciò non giustifica il tuo comportamento da pazzo.5

Il secondo livello, invece, centrale nel testo filmico di Ray, è legato ad una dimensione prettamente psicologica e drammatica: si sviluppa sottopelle nelle prime battute della storia ma, progressivamente, erompe nel corpo e nelle scene finali del film, in cui Dix rimane solo, consumando la sua violenza per l’appunto in solitudine, “in un luogo solitario”, in a lonely place – in questo si rintraccia, per giunta, il label personnel di Nicholas Ray, «I’m a stranger here myself6… The quest for a fullfilled life is, I think, paradoxically, solitary»7.
L’acme della drammaticità – in essa è possibile rintracciare il carattere autobiografico del film, ovvero la fine della lovestory tra Ray e la Grahame, per altro scaturigine della realizzazione di In a Lonely Place – si raggiunge, oltre che nella sequenza finale in cui, dopo la proposta di matrimonio, Laurel, ormai terrorizzata da lui, organizza la fuga...

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