non è facile vedere questo film senza essere commossi e turbati, sopratutto se tuo nonno (insieme ai fratelli) era emigrato in Francia (e poi in Algeria, che era colonia francese) negli stessi anni dell'emigrazione di Luigi Ughetto e dei suoi fratelli.
e tutti erano, horribile dictu, migranti economici.
non si può essere oggettivi nel vedere e nel parlare di questo film, se provi a immedisimarti negli umiliati e offesi di tutto il mondo, i migranti per primi.
Alain Ughetto, discendente di migranti italiano, fa raccontare la storia della sua famiglia dalle sue creazioni artistiche, i pupazzi in plastilina, vive come non mai.
nonna Cesira racconta al nipote tutte le vicissitudini della loro famiglia, comprese le tristezze e i sorrisi, le speranze e le disperazioni, senza dimenticare quelle merde di preti e fascisti.
alla fine sai che hai visto un film politico, di supereroi, di quelli veri, un film imperdibile.
il film miracolosamente riesce ad arrivare in sala in Italia, in qualche decina di copie, non perdetevelo! - Ismaele
ps: sono andato a controllare su
https://heritage.statueofliberty.org/passenger quante volte appaiono i seguenti nomi (presi a caso):
Meloni 479, Salvini 255, Giorgetti 550, Piantedosi 46, in un arco di una cinquantina d'anni, appaiono sui registri di Ellis Island.
i numeri andrebbero moltiplicati per 3, 4, 5 volte, almeno, tenendo conto anche del Brasile e dell'Argentina.
erano tutti esuli politici o migranti economici?
se esistesse l'inferno, tutti quelli che odiano i migranti economici dovrebbero stare in un girone dove la poca acqua sia salata, non ci siano creme solari, né aria condizionata, e nella zona cineforum possano guardare il film di Alain Ughetto e Il cammino della speranza, di Pietro Germi, per l'eternità.
…Una storia che, servendosi
della stop-motion, si prende la briga di interferire graficamente con la
presunta finzione: c’è questa mano del regista che si intromette nella scena fornendo ai personaggi ciò che occorre affinché ci sia un
prosieguo. E fa domande e ottiene risposte da un’anima che si materializza
donna e madre, quella della nonna Cesira appunto, a cui presta la voce in
lingua originale Ariane Ascaride. Ughetto allora crea rotte che solo
apparentemente si localizzano nel passato, nella vita di quei nonni che vanno
al di là delle Alpi in cerca di una vita migliore e nel marasma della
sopravvivenza si premurano, semplicemente, di amarsi. Ci sono morti, lì nei
paraggi, ci sono aerei di guerra, politica e fascismo; c’è il disagio di vivere
secondo certe regole, ma a emergere, alla fine dei giochi, è la grammatica
elementare di un amore che sconfina oltre il tempo e i luoghi. Come dice
Cesira, rispondendo alla domanda se le manca o meno l’Italia: “non apparteniamo a un Paese,
apparteniamo alla nostra infanzia”, cioè ai nostri ricordi, a ciò che riconosciamo
come “casa”. Manodopera, che è costata all’autore ben sette anni di lavoro, affila
poche parole e tanti silenzi, mette in scena poesia intarsiata dalla musica
delicatissima e leggiadra di Nicola Piovani e, nello spazio che separa il
passato dal presente, infila tutti i presenti e tutto il futuro; tutto l’amore
e il dolore di chi parte e chi resta e di chi poi eredita quella vita, quel
nomadismo, quelle mani sapienti e quella mania di narrare e creare…
Ughettera alla fine dell'800. Lì vive la famiglia Ughetto che attraverserà, con la propria condizione di contadini ed operai, la prima metà del '900. Vivranno le guerre a cui gli uomini saranno chiamati e saranno costretti dalla povertà ad andare a cercare il lavoro dove c'è, cioè all'estero, dove però si trova anche la discriminazione per i 'macaroni'.
Quella che con un tono altisonante potrebbe definirsi la 'saga' degli Ughetto viene narrata con profonda dolcezza e partecipazione da un discendente.
La Borgata Ughettera non è un luogo immaginario. È una frazione di
Giaveno a poca distanza da Torino ed ai piedi del Monviso. È lì che Alain
Ughetto, nato a Lione, è tornato per iniziare a ricostruire le vicende che
hanno visto come protagonisti i suoi antenati. Non solo la nonna, con la quale
intreccia un dialogo ideale grazie alla calda voce di Ariane Ascaride, ma anche
coloro che l'hanno preceduta.
Grazie all'utilizzo della stop motion e di pupazzi in plastilina alti 23
centimetri ha raccontato con dolcezza, ma anche con precisione storica,
l'Italia di coloro che vennero definiti come gli ultimi. Di quelli cioè di cui
lo Stato si ricordava quando doveva mandarli a morire nelle tante guerre che
hanno costellato la prima metà del secolo scorso. Salvo poi non offrire loro
altro che la strada dell'emigrazione. Un'emigrazione che li vedeva accogliere
perché necessari e al contempo respingere con divieti come quello che compare nel
titolo che il padre spiega ai figli con una pietosa bugia. Diventa allora
indispensabile chiamare il luogo dove si vive 'Paradiso' per conservare almeno
la speranza che lo divenga un giorno.
In un film dedicato allo scrittore partigiano e piemontese Nuto Revelli tornano
alla mente le parole di un altro scrittore, lo svizzero Max Frisch che, nel
momento di massimo afflusso di emigrati italiani nella sua patria, pronunciò
una frase destinata a diventare un monito e un'occasione di profondo
ripensamento: "Cercavamo braccia. Arrivarono persone".
Persone e braccia che Ughetto sintetizza mostrando la propria mano in
azione nel posizionare oggetti o disporre personaggi. Tante sono state le mani
che, di generazione in generazione, hanno duramente lavorato in una sorta di
passaggio di testimone. Il regista, tra l'altro, ci ricorda che la storia del
lavoro già nel passato non era solo legata al mondo maschile. Quando gli uomini
erano in guerra toccava alle donne fare anche i lavori più faticosi.
Un film come questo, grazie alla tecnica adottata e ai toni utilizzati,
dovrebbe essere mostrato nella scuola dell'obbligo per ricordare a tutti, sin
dalla più giovane età, che il passato del nostro Paese va conosciuto e non
dimenticato. Anche e soprattutto quando si pronuncia con disprezzo la parola
'migranti'.
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