la sfida di ricavare un film da un'opera di Franz Kafka fa tremare i polsi, mai si arriverà alla potenza delle pagine dello scrittore.
detto questo, Il processo di Luigi di Gianni merita, l'atmosfera di sospensione, minaccia, timore viene resa bene.
il regista, poco conosciuto, a torto, fa la sua parte diligentemente, nell'adattamento dell'opera di Kafka.
attori bravi, angoscianti e angosciati, personaggi di un processo inarrestabile e inconoscibile.
buona (kafkiana) visione - Ismaele
QUI il film completo, in due parti, su Raiplay
Strepitosa trasposizione televisiva del 1978 del romanzo di
Kafka quando la RAI era davvero servizio pubblico, che restituisce pienamente
il senso di cupezza e angoscia che caratterizza la vicenda. Le atmosfere
stranianti e inquietanti sono sostenute da una certa lentezza dell'incedere,
sia della narrazione che da parte del cast stesso, un espediente chiaramente
voluto dal regista per restituire quel senso di decadimento progressivo e
inesorabile. Un cast maestoso in cui brillano su tutti il protagonista e una
grandiosa Vukotic. Da recuperare assolutamente.
…Questa versione de Il processo di Kafka ha un’indubbia
importanza: ci mostra infatti le capacità di Luigi Di Gianni, documentarista
sofisticato e decisamente personale nelle scelte e nello stile, come
illustratore, come semplice miseur en scéne di un’opera altrui. E che opera,
peraltro: i paragoni con il romanzo e, perché no?, con la trasposizione
cinematografica offerta un quindicennio prima da Orson Welles sono inevitabili
e Di Gianni non sfigura in nessuno dei due casi, per quanto si tratti di opere
ben differenti tra loro. Il regista napoletano sceglie di aderire quanto più
possibile alla pagina kafkiana, soprattutto per quanto riguarda le atmosfere
lugubri e dense di presagi negativi; così facendo il suo Processo risulta un
po’ pesantuccio alla visione, in particolare considerando la durata standard
decisa dalle esigenze produttive: oltre tre ore di metraggio per la
trasmissione televisiva in due puntate. Le ombre e le assenze nella cupa
fotografia di Bruno Saccheri si accompagnano bene alla colonna sonora
minimalista di Egisto Macchi (oramai storico collaboratore di Di Gianni); anche
la recitazione sempre un po’ impostata, in odore di teatro insomma,
contribuisce al senso di pulizia, precisione, rispettosità verso il testo di
origine che l’opera emana…
Le scenografie sono adatte, la fotografia (in video-tape)
scura e sbiadita è indovinata, gli attori sono bravi, e vi sono divere buone
idee per la rappresentazione di questa curiosa vicenda. Il vero problema è
secondo me il ritmo, che è fiacco e lento. Ciò risiede in gran parte nella
tecnica di ripresa e nel montaggio, che sono decisamente da teatro filmato. Se
di Gianni fosse riuscito (o avesse voluto, perché forse non lo ha) ad imprimere
un vero ritmo e un'aria di cinema alle riprese avrebbe ottenuto un gran
risultato. E' un vero peccato che sia andata così, perché i meriti che ho
citato all'inizio non sono piccoli. Diverse buone idee per la rappresentazione,
infatti, riescono a cogliere le atmosfere e l'ambientazione particolarissima
del romanzo di Kafka. Ciò non è affatto facile, anche pensando a quanto pochi
ci sono riusciti (secondo me solo Orson Welles e il duo Straub-Huillet).
Nonostante io sia un patito del Franz di Praga, e i meriti dell'opera che ho
elencato qui sopra, mi ci è voluta un po' di buona volontà per arrivare fino in
fondo.
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