negli ultimi anni dell'avanspettacolo, probabilmente alla fine degli anni sessanta e all'inizio degli anni settanta (sembra un secolo fa), si girava ancora nei teatri di paese portando barzellette, musica, ragazze in bella mostra, e il successo popolare era assicurato, poi la televisione, tra l'altro, ha seppellito l'avanspettacolo.
due compagnie a confronto, quella di Silver boy (Carlo Giuffrè), con Mariangela Melato, che scopre (in diversi sensi) la contadinella Maria Grazia Buccella (Erica Rikk) e quella di Farfarello (Luciano Salce), con Franca Valeri.
ritratto malinconico di un mondo che sta scomparendo, con ottimi attori e un grande regista.
un film da non perdere.
buona (sorprendente) visione - Ismaele
Uno dei
film più sottovalutati del cinema di genere italiano, ma anche pellicola di
culto per tutti gli estimatori dell’indimenticato Luciano Salce. La scelta di
utilizzare come setting di una storia il mondo della Rivista o
dell’Avanspettacolo, cioè quella forma di intrattenimento derivata dal varietà
che dagli anni quaranta anticipava nei cinematografi la proiezione di un film,
era stata già stata anticipata nel 1950 da Monicelli (Vita da Cani) e
dalla coppia Fellini-Lattuada (Luci del Varietà), poi, dopo poco più
di vent’anni, anche Sordi ha ripreso l’argomento dirigendo se stesso e la Vitti
nell’ambizioso Polvere di Stelle, ma tra tutte queste
apprezzabili opere, il ritratto fornito da Salce resta senz’altro quello più
compiuto. Il suo film non si esaurisce con una semplice rappresentazione
nostalgica, e pur recuperando il tono del repertorio originale con scrupoloso
spirito filologico (“Cesare cosa oggi la tua cavalla? Eh, Oggi è nervosa
perché gli hanno rotto la biga”), il regista dimostra che non vuole
prendersi troppo sul serio e per questo lo sguardo sui personaggi non è mai
compiaciuto o eccessivamente indulgente. Eppure per lui non deve essere stato
facile, perché ogni membro della “compagnia” ha saputo fornire un
interpretazione assolutamente al di sopra i personali standard. Se per Giuffré,
la Melato e la Valeri si può parlare di eccellenti conferme, non è certo così
per la Buccella che trova qui il ruolo della sua vita. Morbida, ingenua e
stucchevolmente romantica, Maria Grazia Buccella sta al personaggio di Erica
Rikk, come Vivien Leigh sta a quello di Rossella O’Hara. Davvero un peccato che
nel proseguo della sua carriera l’attrice non abbia saputo più trovare parti
così azzeccate e si sia inevitabilmente persa…
Spassosa e insieme
malinconica rievocazione del mondo dell'avanspettacolo al tramonto e dei suoi
litigiosi retroscena, diretta dall’esperto Salce con stile fumettistico e
qualche occhiata a classici come Eva contro Eva e È nata una stella.
Gli attori sono assai brillanti: gli artisti da strapazzo Giuffrè e Salce, la
superba finta spagnola Melato e la vecchia primadonna Valeri, sorta di Wanda
Osiris dei poveracci. Un elogio particolare alla Buccella non solo per le
gambe, ma soprattutto per il carattere di contadinella ingenua e di buon cuore
conservato anche quando diventa soubrette.
Il film
definitivo sull'avanspettacolo. Carlo Giuffré giganteggia nei panni
indimenticabili di Silver Boy. Lo segue a ruota Maria Grazia Buccella, alias
Richetta/Erica/Erica Rikk. Ed è grandioso - anche se un po' meno dei primi due
- il divertitissimo Luciano Salce nel ruolo dell'impresario Farfarello. La
storia è quella dell'amore tra una contadinotta ciociara divenuta teatrante (di
nascosto allo zio prete, sennò 'gli schiaffoni si sprecavano') e il decadente
musicista siciliano Silver Boy. Non c'è altro film che dipinga con tanta ironica
precisione la tipologia della ragazzina ingenua che s'innamora del teatro e,
più in generale, tutta la squallida e cialtrona umanità che compone il mondo
dello spettacolo. Ma non finisce qua, perché "Basta guardarla" è
anche - e non poteva non essere - un atto d'amore consapevole e folle per il
teatro e lo show business. Chi può coniugare dissacrazione e tributo senza
trasformare il film in un pugno nello stomaco - tipo "L'angelo
azzurro" - e, d'altro canto, senza rinunciare alla profondità dell'analisi?
Solo Salce, uomo di teatro intelligente, colto e navigatissimo, il quale
inserisce in un contesto farsesco e talvolta surreale - con tanto di spietate
didascalie da fotoromanzo che irrompono sullo schermo per dissacrare i momenti
sentimentali - dei personaggi pieni di tenerezza e umanità sottocutanea
(soprattutto l'eccelsa Franca Valeri). Il prodotto definitivo è un affresco
satirico esilarante, ma al tempo stesso realistico e affettuoso. Indubbiamente
tra i massimi capolavori salciani.
La morte del vaudeville
italiano è qui rappresentata con la forza dell'italianità più pura: la naturale
bellezza delle attrici, la cialtroneria, l'affastellamento di gerghi e
dialetti, i luoghi comuni più tenaci (Franco gay, Giuffré gelosone) e una
batteria di caratteristi d'eccezione oggi impensabile. Salce non riesce mai a
elevare lo sguardo (non è Fellini) e talvolta si compiace nello spingere i toni
popolari sino alla farsa; il retrogusto malinconico, tuttavia, è sincero e mai
volgare. Come il vino buono non può che migliorare.
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