un posto chiamato Queimada è il centro di un intrigo finanziario e politico.
gli avvoltoi dell'economia e della finanza vogliono rubare le risorse del mondo, a qualsiasi costo, finanziario e umano.
è una storia attuale di piccoli resistenti contro i massimi padroni del mondo, una lotta senza quartiere.
a partire dal libro di Tullio Avoledo, un film che non è un capolavoro, ma riesce a dire le cose che deve.
buona (al litio) visione - Ismaele
QUI si può vedere il film completo
Un intrigo internazionale tra Italia e Sudamerica sulle tracce
di litio, scorie nucleari e tanto denaro. Il respiro narrativo è quello dei
bank thriller americani (più azione che denuncia), ma ben calato nel contesto
attuale della finanza globale e ben temperato da una certa sensibilità
nostrana. A un inizio visivamente folgorante succede una narrazione
moderatamente incalzante (con qualche incertezza e scontatezza) che verso metà
inizia a prendere il volo. Più del plot interessano le dinamiche complessive e
quelle relazionali.
Un deserto bianco
dove cielo e terra si confondono, una cerimonia dominata da abiti scuri e
giganti di ferro, figure colorate che urlano e corrono. L’incipit di Breve
storia di lunghi tradimenti rimbomba negli occhi per la sua forza
visiva.
Un flashback sul
passato colonialista dell’Occidente, che con un violento stacco di montaggio ci
riporta nel presente dei crack finanziari. Giulio, un avvocato di una banca di
provincia, si ritrova al centro di un intrigo internazionale ordito da una
multinazionale, in cui sono coinvolti un’elezione politica in Sud America (a
Queimada!), un deserto di sale e il controllo del litio, il petrolio del
futuro.
Seguendo lo orme
del thriller politico anni 70, Davide Maregno cerca
di riportare il cinema italiano indietro nel tempo per parlare del nostro
presente, dove i Paesi non si colonizzano più: si comprano.
L’operazione
riesce almeno in parte, supportata da una squadra di attori in grande forma,
con Carolina Crescentini bionda famme fatale
d’antologia. Ma la sceneggiatura, tratta da Breve storia di lunghi
tradimenti di Tullio Avoledo, soffre di troppe semplificazioni.
L’urgenze narrativa si percepisce ed è lodevole, ma la necessità di essere
comprensibili scivola nell’involontaria macchietta, mentre la forza del
j’accuse si (dis)perde tra omaggi (Queimada!) e cammei.
Eppure lo si
promuove per il coraggio e porta a casa il risultato.
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