in un cinema romano proiettano E per tetto un cielo di stelle, con Giuliano Gemma, a un certo punto uno spettatore muore.
interviene la polizia, che non fa uscire nessuno, indaga, senza capire nulla, e succede ancora.
solo uno degli spettatori, un sociologo "strano", riesce a capire tutto, citando un racconto di Bradbury e il potere delle immagini.
un gran bel film, un gioiellino solo per la tv, a quei tempi, sottovalutato.
cercatelo e godetene tutti.
buona (misteriosa e imperdibile) visione - Ismaele
QUI il film completo, su Raiplay
Sconosciuto ma intrigante fanta-giallo che parla di cinema e si
"nutre" di cinema. Lo spunto di partenza è un bel racconto del solito
Bradbury che Montaldo rilegge arricchendolo di spunti interessanti e bizzarri
quali la spiegazione finale del mistero. Girato bene e pur ambientato in un
unico luogo e presentando qualche ripetizione, mantiene bene la tensione e
conseguentemente l'interesse dello spettatore. Godibilissimo specie per chi ama
il cinema di una volta. Oggi è utile anche per capire come sia cambiata la
fruizione dei film in sala nel corso del tempo.
Suspense magistrale, che monta lentamente ma senza mai annoiare!
Colpisce per il rispetto per l'unità di tempo e luogo dell'azione, un perfetto
equilibrio tra la riflessione autoriale sul meta-cinema e l'aderenza alle
regole narrative di genere e per i riferimenti cinefili molto vari (dalle
musiche hitchockiane che fanno il verso a Bernard Hermann alla locandina
di I giorni
dell'ira su cui scorrono i
titoli di testa). Cast corale ed ottimo. Davvero un gioiello nascosto.
Quello di Circuito chiuso è sicuramente un caso
più unico che raro all’interno della nutrita filmografia di Giuliano Montaldo,
perché si affranca quasi totalmente dal coté storico-drammatico che solitamente
ha abbracciato il regista, ma al tempo stesso riesce a mantenere al suo interno
una certa radicalità politica (contro il potere) che ha permeato gran parte
della sua produzione.
In origine il progetto (finanziato dalla Rai) era stato
pensato come film per la Tv, ma portato al Festival internazionale del cinema
di Berlino e avendo riscosso un buon successo di pubblico e critica, la Rai
pensò di distribuirlo in sala, anche se alla fine non ci arrivò mai per dei
disaccordi di carattere economico tra la produzione e gli interpreti.
Ora il film (che peraltro è stato cruciale per la
formazione del cineasta romeno Cristi Puiu) è disponibile sulla piattaforma
gratuita di Raiplay e rivedendolo oggi si nota che all’interno della
evidente confezione da prodotto televisivo, Montaldo lavora audacemente
traendone un oggetto totalmente spiazzante anche a distanza di oltre
quarant’anni. L’autore di Sacco e Vanzetti e Giordano
Bruno mantiene saldo lo sguardo sulla temperie sociopolitica dell’epoca,
trasformandolo in una vera e propria lente deformante del reale.
Circuito chiuso è girato quasi interamente all’interno di un cinema
romano, dove si sta proiettando uno spaghetti western con protagonista Giuliano Gemma e presenta la struttura
tipica del whodonit, dato che uno spettatore viene assassinato all’interno
della sala proprio nel momento in cui il pistolero sullo schermo (interpretato
da Gemma) spara verso il pubblico.
Montaldo però, già in apertura, inserisce degli elementi
caricaturali e grotteschi che ci preannunciano che non stiamo
assistendo a un classico giallo, ma a un pamphlet politico che ironizza sulla
paura dilagante negli anni di piombo e soprattutto sull’indottrinamento
violento delle immagini.
La prima sequenza ci mostra un bambino che punta la
pistola giocattolo contro il cartellone fuori dal cinema, poi iniziano ad
arrivare altri strani avventori in attesa che la sala apra, tra cui uno strambo
sociologo interpretato da Flavio Bucci.
Prima della proiezione in sala, sullo schermo si
susseguono una serie di finti spot pubblicitari dal gusto fortemente parodico.
Una sorta di preludio al discorso finale esposto da Flavio Bucci, il quale
svela e riassume al contempo il portato allegorico del film che abbiamo appena
visto. Una riflessione teorica sulle immagini che ci stanno sempre più
cannibalizzando, ispirata a un racconto fantastico di Ray Bradbury.
Pur non essendo il lavoro più riuscito di Montaldo, Circuito
chiuso è sicuramente una delle sue operazioni più bizzarre, curiose e
coraggiose. Il portato politico della vicenda si incarna nel più
sovversivo dei generi attraversati dal cinema italiano di quegli anni, ovvero
lo spaghetti western, che diventa un meccanismo di messa a morte ripetendosi
come un rituale ogni volta che sullo schermo si ripresenta il pistolero che
spara verso il pubblico. Montaldo traduce in immagini la teoria di
André Bazin contenuta nel famoso saggio Morte ogni pomeriggio,
trasformando un classico prodotto di genere in un metafilm che coniuga il lato
politico con quello più dichiaratamente teorico.
Circuito chiuso
se da un lato pare riproporre il gioco deduttivo della ricostruzione di un
crimine all’interno di uno spazio chiuso, come avveniva nell’episodio
televisivo Il tram di Dario Argento, dall’altro anticipa il capolavoro
di Bigas Luna Angustia, in cui la minaccia che serpeggia all’interno di un film
fuoriesce dallo schermo.
A tutti gli effetti Circuito chiuso resta un
esperimento seminale, che in embrione preannuncia un preciso e radicale
discorso sulla violenza delle immagini e sulla loro potenza condizionatrice
che andrà ad esplicitarsi nel successivo Il giocattolo.
Giusto un anno dopo, Montaldo rilegge allegoricamente
attraverso la figura di Nino Manfredi la violenza degli anni di piombo e torna
la riflessione sulla forza sovversiva del cinema di genere. Non a caso il
travet interpretato da Manfredi è un appassionato di spaghetti western che un
giorno inizia a impugnare la pistola.
Le immagini ci hanno ucciso per farci rinascere
assassini, il discorso di Montaldo
non fa una grinza.
…"Perché le immagini, di cui si nutrono le nostre fantasie,
non dovrebbero, a sua volta, nutrirsi di noi?”
“-A volte le immagini, come l’immaginazione, possono essere più
forti della realtà!
-Il suo è solo un gioco di parole!
-Lei crede?”
In questo botta e risposta tra un ispettore di polizia incredulo e
sfiduciato ed un bizzarro sociologo, si chiude, lasciando completamente aperto
ogni dubbio, l’enigma cinefilo che sta al centro di questo curioso piccolo
film, non si sa bene per quale motivo destinato alla televisione, girato con
pochi mezzi ma tante idee ed estro da Giuliano Montaldo nel
1978.
Come nel successivo horror di Lamberto Bava del 1985, Demoni,
Circuito chiuso si svolge tutto all’interno di una sala cinematografica romana,
in un pomeriggio come tanti quando ancora le sale erano affollate. Il film in
programmazione è uno spaghetti western con Giuliano Gemma (ufficialmente il
film dovrebbe essere I giorni dell’ira, di Tonino Valerii, ma in realtà lo
spezzone del duello-fulcro del mistero della vicenda è tratto da “..e per tetto
un cielo di stelle” di Giulio Petroni.
Succede che, al momento del duello risolutivo, nell’esatto momento in
cui Gemma spara per uccidere il suo avversario (William
Berger), un proiettile uccide uno spettatore, colpendolo al
cuore.
Il locale viene subito preso d’assedio dalle forze dell’ordine, che,
nel ricostruire la scena esattamente come si è verificata, vanno incontro ad un
secondo omicidio. Interviene il Questore, le indagini si fanno serrate, la
stampa esige spiegazioni, ma l’assassino non si trova…. Non si trova perché
forse nemmeno esiste, e il potere della suggestione ha finito per essere letale
ai danni di due innocenti, rei solamente della circostanza, nel primo episodio
del tutto casuale, di trovarsi seduti nella poltrona sbagliata.
La povertà dei mezzi a disposizione, la sciatteria della fotografia
senza filtri che rende particolarmente vintage e ben poco fotogenico il piccolo
film, non impediscono alla pellicola di manifestare, anche con una certa
esuberanza, la sua impellente, galvanizzante natura cinefila, conducendo lo
spettatore in un percorso un po’ diabolico, un po’ a ritroso negli anni del
boom delle sale cinematografiche, in cui non farsi coinvolgere risulta davvero
difficile.
FlavioBucci
con il suo bel timbro vocale, si guadagna poco per volta il suo
spazio tra i molti personaggi coinvolti, interpretando lo strambo ed occhialuto
sociologo, scambiato inizialmente per matto, ma successivamente ascoltato con
un po’ più di riguardo, ma non senza una forte titubanza di fondo.
E la vicenda procede in modo piuttosto coinvolgente, attraverso
un’inchiesta che ricostruisce le dinamiche fisico-pratiche di un avvenimento
dai contorni misteriosi, e che, col passare del tempo, si rivela sempre più
appannaggio di fenomeni che ben poco hanno a che fare con la materialità della
vita di tutti i giorni…
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