venerdì 28 luglio 2023

Circuito chiuso – Giuliano Montaldo

in un cinema romano proiettano E per tetto un cielo di stelle, con Giuliano Gemma, a un certo punto uno spettatore muore.

interviene la polizia, che non fa uscire nessuno, indaga, senza capire nulla, e succede ancora.

solo uno degli spettatori, un sociologo "strano", riesce a capire tutto, citando un racconto di Bradbury e il potere delle immagini.

un gran bel film, un gioiellino solo per la tv, a quei tempi, sottovalutato.

cercatelo e godetene tutti.

buona (misteriosa e imperdibile) visione - Ismaele

 

 

QUI il film completo, su Raiplay

 

 

 

Sconosciuto ma intrigante fanta-giallo che parla di cinema e si "nutre" di cinema. Lo spunto di partenza è un bel racconto del solito Bradbury che Montaldo rilegge arricchendolo di spunti interessanti e bizzarri quali la spiegazione finale del mistero. Girato bene e pur ambientato in un unico luogo e presentando qualche ripetizione, mantiene bene la tensione e conseguentemente l'interesse dello spettatore. Godibilissimo specie per chi ama il cinema di una volta. Oggi è utile anche per capire come sia cambiata la fruizione dei film in sala nel corso del tempo.

da qui

 

Suspense magistrale, che monta lentamente ma senza mai annoiare! Colpisce per il rispetto per l'unità di tempo e luogo dell'azione, un perfetto equilibrio tra la riflessione autoriale sul meta-cinema e l'aderenza alle regole narrative di genere e per i riferimenti cinefili molto vari (dalle musiche hitchockiane che fanno il verso a Bernard Hermann alla locandina di I giorni dell'ira su cui scorrono i titoli di testa). Cast corale ed ottimo. Davvero un gioiello nascosto.

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Quello di Circuito chiuso è sicuramente un caso più unico che raro all’interno della nutrita filmografia di Giuliano Montaldo, perché si affranca quasi totalmente dal coté storico-drammatico che solitamente ha abbracciato il regista, ma al tempo stesso riesce a mantenere al suo interno una certa radicalità politica (contro il potere) che ha permeato gran parte della sua produzione.

In origine il progetto (finanziato dalla Rai) era stato pensato come film per la Tv, ma portato al Festival internazionale del cinema di Berlino e avendo riscosso un buon successo di pubblico e critica, la Rai pensò di distribuirlo in sala, anche se alla fine non ci arrivò mai per dei disaccordi di carattere economico tra la produzione e gli interpreti.

Ora il film (che peraltro è stato cruciale per la formazione del cineasta romeno Cristi Puiu) è disponibile sulla piattaforma gratuita di Raiplay e rivedendolo oggi si nota che all’interno della evidente confezione da prodotto televisivo, Montaldo lavora audacemente traendone un oggetto totalmente spiazzante anche a distanza di oltre quarant’anni. L’autore di Sacco e Vanzetti e Giordano Bruno mantiene saldo lo sguardo sulla temperie sociopolitica dell’epoca, trasformandolo in una vera e propria lente deformante del reale.

Circuito chiuso è girato quasi interamente all’interno di un cinema romano, dove si sta proiettando uno spaghetti western con protagonista Giuliano Gemma e presenta la struttura tipica del whodonit, dato che uno spettatore viene assassinato all’interno della sala proprio nel momento in cui il pistolero sullo schermo (interpretato da Gemma) spara verso il pubblico.

Montaldo però, già in apertura, inserisce degli elementi caricaturali e grotteschi che ci preannunciano che non stiamo assistendo a un classico giallo, ma a un pamphlet politico che ironizza sulla paura dilagante negli anni di piombo e soprattutto sull’indottrinamento violento delle immagini.

La prima sequenza ci mostra un bambino che punta la pistola giocattolo contro il cartellone fuori dal cinema, poi iniziano ad arrivare altri strani avventori in attesa che la sala apra, tra cui uno strambo sociologo interpretato da Flavio Bucci.

Prima della proiezione in sala, sullo schermo si susseguono una serie di finti spot pubblicitari dal gusto fortemente parodico. Una sorta di preludio al discorso finale esposto da Flavio Bucci, il quale svela e riassume al contempo il portato allegorico del film che abbiamo appena visto. Una riflessione teorica sulle immagini che ci stanno sempre più cannibalizzando, ispirata a un racconto fantastico di Ray Bradbury.

Pur non essendo il lavoro più riuscito di Montaldo, Circuito chiuso è sicuramente una delle sue operazioni più bizzarre, curiose e coraggiose. Il portato politico della vicenda si incarna nel più sovversivo dei generi attraversati dal cinema italiano di quegli anni, ovvero lo spaghetti western, che diventa un meccanismo di messa a morte ripetendosi come un rituale ogni volta che sullo schermo si ripresenta il pistolero che spara verso il pubblico. Montaldo traduce in immagini la teoria di André Bazin contenuta nel famoso saggio Morte ogni pomeriggio, trasformando un classico prodotto di genere in un metafilm che coniuga il lato politico con quello più dichiaratamente teorico.

Circuito chiuso se da un lato pare riproporre il gioco deduttivo della ricostruzione di un crimine all’interno di uno spazio chiuso, come avveniva nell’episodio televisivo Il tram di Dario Argento, dall’altro anticipa il capolavoro di Bigas Luna Angustia, in cui la minaccia che serpeggia all’interno di un film fuoriesce dallo schermo.

A tutti gli effetti Circuito chiuso resta un esperimento seminale, che in embrione preannuncia un preciso e radicale discorso sulla violenza delle immagini e sulla loro potenza condizionatrice che andrà ad esplicitarsi nel successivo Il giocattolo.

Giusto un anno dopo, Montaldo rilegge allegoricamente attraverso la figura di Nino Manfredi la violenza degli anni di piombo e torna la riflessione sulla forza sovversiva del cinema di genere. Non a caso il travet interpretato da Manfredi è un appassionato di spaghetti western che un giorno inizia a impugnare la pistola.

Le immagini ci hanno ucciso per farci rinascere assassini, il discorso di Montaldo non fa una grinza.

da qui

 

"Perché le immagini, di cui si nutrono le nostre fantasie, non dovrebbero, a sua volta, nutrirsi di noi?”

“-A volte le immagini, come l’immaginazione, possono essere più forti della realtà!

-Il suo è solo un gioco di parole!

-Lei crede?”

 

In questo botta e risposta tra un ispettore di polizia incredulo e sfiduciato ed un bizzarro sociologo, si chiude, lasciando completamente aperto ogni dubbio, l’enigma cinefilo che sta al centro di questo curioso piccolo film, non si sa bene per quale motivo destinato alla televisione, girato con pochi mezzi ma tante idee ed estro da Giuliano Montaldo nel 1978.

Come nel successivo horror di Lamberto Bava del 1985, Demoni, Circuito chiuso si svolge tutto all’interno di una sala cinematografica romana, in un pomeriggio come tanti quando ancora le sale erano affollate. Il film in programmazione è uno spaghetti western con Giuliano Gemma (ufficialmente il film dovrebbe essere I giorni dell’ira, di Tonino Valerii, ma in realtà lo spezzone del duello-fulcro del mistero della vicenda è tratto da “..e per tetto un cielo di stelle” di Giulio Petroni.

Succede che, al momento del duello risolutivo, nell’esatto momento in cui Gemma spara per uccidere il suo avversario (William Berger), un proiettile uccide uno spettatore, colpendolo al cuore.

Il locale viene subito preso d’assedio dalle forze dell’ordine, che, nel ricostruire la scena esattamente come si è verificata, vanno incontro ad un secondo omicidio. Interviene il Questore, le indagini si fanno serrate, la stampa esige spiegazioni, ma l’assassino non si trova…. Non si trova perché forse nemmeno esiste, e il potere della suggestione ha finito per essere letale ai danni di due innocenti, rei solamente della circostanza, nel primo episodio del tutto casuale, di trovarsi seduti nella poltrona sbagliata.

La povertà dei mezzi a disposizione, la sciatteria della fotografia senza filtri che rende particolarmente vintage e ben poco fotogenico il piccolo film, non impediscono alla pellicola di manifestare, anche con una certa esuberanza, la sua impellente, galvanizzante natura cinefila, conducendo lo spettatore in un percorso un po’ diabolico, un po’ a ritroso negli anni del boom delle sale cinematografiche, in cui non farsi coinvolgere risulta davvero difficile.

 

FlavioBucci con il suo bel timbro vocale, si guadagna poco per volta il suo spazio tra i molti personaggi coinvolti, interpretando lo strambo ed occhialuto sociologo, scambiato inizialmente per matto, ma successivamente ascoltato con un po’ più di riguardo, ma non senza una forte titubanza di fondo.

E la vicenda procede in modo piuttosto coinvolgente, attraverso un’inchiesta che ricostruisce le dinamiche fisico-pratiche di un avvenimento dai contorni misteriosi, e che, col passare del tempo, si rivela sempre più appannaggio di fenomeni che ben poco hanno a che fare con la materialità della vita di tutti i giorni…

da qui

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