un film di simboli e messaggi, e Olmi può permetterselo senza annoiare.
un film da vedere - Ismaele
… L'uomo di Chiesa senza
più una chiesa diviene più forte, più capace di interrogarsi fino a riuscire a
comprendere che il Bene è più grande della Fede. È in nome di questo Bene che
può opporsi alla stupidità degli uomini di legge, pronti ad obbedire a
qualsiasi assurdità, ricordando loro che verrà il giorno in cui saranno
giudicati per quanto fanno a questi ultimi privi di difesa. Una difesa che non
può venire da un terrorismo che mette sterilmente Dio contro Dio ma solo da una
pietas che muti nel profondo il corso di una Storia che, in caso contrario,
provvederà autonomamente. Il cinema ha bisogno di autori come Olmi che sappiano
mostrarci uno specchio in cui riflettere dubbi e certezze per scalfire
pregiudizi e non smettere di interrogarci. Bentornato Maestro!
…Dopo succede molto meno: nella spoglia chiesa si insidiano
un gruppo di migranti clandestini africani, figure spesso simboliche: l'uomo
ferito, il bambino affamato, la donna che ha appena partorito, il ragazzo con
cariche di esplosivo. Quest'ultima resta una scelta irrisolta, forse non del
tutto decifrabile, comunque simbolo di una riconciliazione che resta utopica.
L'impianto è fortemente teatrale, i dialoghi sono di certo quasi sempre "giusti", circoscritti ad un messaggio chiaro e condivisibile, pur con qualche forzatura, ma al contempo fin troppo scritti, antinaturalistici.
Il film, nobilissimo, manca però di vero pathos, irrigidito da una lentezza solenne ma priva di ritmo, nell'andamento vagamente predicatorio.
L'apologo di Ermanno Olmi resta comunque un caso raro di racconto allegorico sui giorni nostri e, pur tra stonature, i conti finali non rassicurano: l'autore lascia didascalicamente un messaggio di speranza, ma al contempo, sembra dirci, l'abolizione di chiese e fedi (politiche comprese) ci rende poveri. Forse nemmeno la solidarietà può bastare.
L'impianto è fortemente teatrale, i dialoghi sono di certo quasi sempre "giusti", circoscritti ad un messaggio chiaro e condivisibile, pur con qualche forzatura, ma al contempo fin troppo scritti, antinaturalistici.
Il film, nobilissimo, manca però di vero pathos, irrigidito da una lentezza solenne ma priva di ritmo, nell'andamento vagamente predicatorio.
L'apologo di Ermanno Olmi resta comunque un caso raro di racconto allegorico sui giorni nostri e, pur tra stonature, i conti finali non rassicurano: l'autore lascia didascalicamente un messaggio di speranza, ma al contempo, sembra dirci, l'abolizione di chiese e fedi (politiche comprese) ci rende poveri. Forse nemmeno la solidarietà può bastare.
… Nella rigorosa unità di
luogo di una chiesa dismessa, in un angolo non definito della provincia padana
(si è però girato in Puglia tra ottobre e novembre 2010), un prete che ha ormai
smarrito il senso della propria missione (Michael Lonsdale) vede reincarnarsi
il messaggio cristiano nell’arrivo di alcune decine di immigrati africani
rifugiatisi lì durante la notte per sfuggire alle cattura delle autorità.
Inizialmente impreparato e inadeguato al compito, che del resto nessuno gli ha
assegnato, spento di ogni animo vitale, il prete si inginocchia lentamente di
fronte al mistero e riscopre il bene al di là della fede divenuta ormai
simulacro…
… E' una
denuncia, fatta attraverso scene caravaggesche e dialoghi teatrali,
dell'indifferenza nei confronti delle condizioni degli immigrati. Ma alla
fiction il maestro ha voluto aggiungere anche parole. «La chiesa dovrebbe
essere come una casa che accoglie. Non deve domandare se una persona è credente
o no. Liberiamoci dagli orpelli, apriamo le nostre case. Vorrei suggerire ai
cattolici di ricordarsi spesso di essere anche cristiani», ha detto Olmi senza
lesinare il biasimo verso chi si inginocchia davanti ai "simulacri di
cartone" e poi non è coerente con il vangelo.
Il
villaggio di cartone non è una lezione di morale, ma piuttosto un invito o
forse una frustata a occhi che non vogliono vedere. Mentre protegge i suoi
miseri dalle ronde e dalla legge, il prete infatti continua ad essere roso dai
dubbi e dalle tentazioni. «Avere fede è quando i nostri dubbi pesano di più
delle nostre convinzioni. Per essere uomini di fede bisogna avere davanti un muro
di dubbi», ha spiegato poi Olmi…
"Quando
la carità è un rischio, quello è il momento della carità". La
religione è un tema caro ad Ermanno Olmi - impossibile dimenticare "La leggenda del santo bevitore"
- ma ancora di più lo è il tentativo di una fedele ricostruzione delle
situazioni, per le quali le parole sono perlopiù superflue. Quando vinse la Palma
d'oro nel 1978 con
"L'albero degli
zoccoli" volle ricreare la vita contadina di un zona della
bergamasca a fine Ottocento; con "Il
villaggio di cartone" vuole denunciare la triste realtà
delle leggi sull'immigrazione in Italia oggi, senza risultare
eccessivamente polemico.
La vicenda ruota attorno alle sensazioni del protagonista, un
anziano prete senza più una chiesa dove poter celebrare la messa domenicale, il
quale si trova a contatto con un gruppo di clandestini provenienti dall'Africa
sfuggiti alla polizia. La scelta di aiutare queste persone è immediata, ma
il sagrestano non si trova nella stessa posizione, infatti chiede al prete "Perché lasciate entrare quella gente
nella nostra Chiesa?"; il prete, poi, risponde "Perché è una Chiesa";
di nuovo il sagrestano dice "Quella
è gente diversa, avere a che fare con loro è un rischio per tutti"…
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