è un film incredibile, crudo, senza pietà, nel quale dei disperati che devono
morire fanno delle cose giuste, in un mondo a parte come un lager tedesco.
più dalle parti di “Kapò” che in quelle de “La vita è bella” (film che comunque
mi è piaciuto molto).
Assolutamente da vedere, siamo in zona capolavoro - Ismaele
peccato il disinteresse generale per un
film-documentario come questo...è vero, non è stato molto pubblicizzato, ma ne
consiglio vivamente la visione!
non mi rendo nemmeno conto se sia giusto fare un commento sulle scenografie di un campo di concentramento...
cmq la prova deli attori,del regista,degli scenografi,degli sceneggiatori è stata superlativa: hanno riportato alla luce una realtà storica da non dimenticare nella sua piena crudeltà...un film oserei dire "crudo"...
da vedere...ma lo sconsiglio vivamente ai deboli di stomaco!
non mi rendo nemmeno conto se sia giusto fare un commento sulle scenografie di un campo di concentramento...
cmq la prova deli attori,del regista,degli scenografi,degli sceneggiatori è stata superlativa: hanno riportato alla luce una realtà storica da non dimenticare nella sua piena crudeltà...un film oserei dire "crudo"...
da vedere...ma lo sconsiglio vivamente ai deboli di stomaco!
…Il finale invece ci regala l'unico momento di poesia del
film, come se solo la morte potesse liberare le anime degli uomini.
Il titolo della pellicola rimanda subito a quella zona grigia che Primo Levi descrisse più volte nei suoi romanzi e che è facilmente identificabile proprio con il campo di concentramento di Auschwitz. Su questa definizione Tim Blake Nelson fonda lo stile della sua pellicola, contraddistinta da una fotografia grigia che stilizza luoghi e persone arricchendo la forza dell'impatto drammatico...
Il titolo della pellicola rimanda subito a quella zona grigia che Primo Levi descrisse più volte nei suoi romanzi e che è facilmente identificabile proprio con il campo di concentramento di Auschwitz. Su questa definizione Tim Blake Nelson fonda lo stile della sua pellicola, contraddistinta da una fotografia grigia che stilizza luoghi e persone arricchendo la forza dell'impatto drammatico...
…basato
sul libro Auschwitz: A Doctor's Eyewitness Account di Miklos Nyiszli, medico
ebreo ungherese che effettuò gli esperimenti del nazista Josef Mengele per
salvare sé stesso e la sua famiglia. Non c'è compiacimento morboso nel mettere
in immagini (fotografia stilizzata di Russell Lee Fine) l'orrore di un lager di
sterminio e il velo grigio della cenere umana che avvolge il campo e le
coscienze degli internati. Pone più di una domanda e mette in luce la
dimensione industriale della soluzione finale…
…I have seen a lot of films about the
Holocaust, but I have never seen one so immediate, unblinking and painful in
its materials. "The Grey Zone" deals with the daily details of the work
gangs--who lied to prisoners, led them into gas chambers, killed them,
incinerated their bodies, and disposed of the remains. All of the steps in this
process are made perfectly clear in a sequence, which begins with one victim
accusing his Jewish guard of lying to them all, and ends with the desperate
sound of hands banging against the inside of the steel doors…
…"The Grey Zone" is pitiless, bleak and despairing. There
cannot be a happy ending, except that the war eventually ended. That is no
consolation for its victims. It is a film about making choices that seem to
make no difference, about attempting to act with honor in a closed system where
honor lies dead. One can think: If nobody else knows, at least I will know.
Yes, but then you will be dead, and then who will know? And what did it get
you? On the other hand, to live with the knowledge that you behaved shamefully
is another kind of death--the death of the human need to regard ourselves with
favor. "The Grey Zone" refers to a world where everyone is covered
with the gray ash of the dead, and it has been like that for so long they do
not even notice anymore.
Many Holocaust films present the ethical dilemna of trying to stay alive
at the cost of allowing others to die or even sending others to their death. A
few films might focus on the dreaded Kapos in the camps -- or on the elitist
Jewish Council members who helped organize the transport groups -- or on the
musicians/performers who entertained the Nazis -- all of whom hoped that they
would be allowed to survived. But this film focuses on the Sonderkommandos --
the special workers -- who ushered Jewish victims to the gas chambers and
burned the bodies. They too hoped to survive. But they must have known that
they were going to be murdered eventually, if only because they had become the
most dangerous witnesses to the cold Nazi horror. And the film begins by
informing us that these groups of Sonderkommandos were never allowed to live
longer than four months…
da qui
L'episodio più importante (e forse più conosciuto) di resistenza dei sonderkommando avvenne il 7 ottobre 1944 quando i membri delsonderkommando di Auschwitz – nell'imminenza di una preventivata fine dovuta all'esaurirsi della deportazione degli ebrei ungheresi – si ribellarono alle SS uccidendone tre e facendo saltare un forno crematorio (Krematorium IV) con dell'esplosivo ottenuto grazie alla collaborazione di alcune donne "civili" polacche impiegate presso le fabbriche di munizioni dei dintorni.
La rivolta si risolse in un bagno di sangue, i deportati ribelli vennero sterminati e le SS intrapresero una serie di ricerche su coloro che avevano collaborato a procurare l'esplosivo e aiutato a farlo pervenire all'interno del campo. Il risultato di tali ricerche fu l'impiccagione di quattro donne polacche il 6 gennaio 1945: Ròza Robota, Ella Garner, Estera Wajcblum e Regina Safirsztajn.
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