martedì 19 giugno 2012

Ladoni (La palma della mano) - Artour Aristakisyan

un film (e un regista) difficilmente incasellabili, difficile anche raccontare un film così, il mondo viene visto e raccontato con altri occhi, con un'altra sensibilità, con un'altra epica.
se posso fare un paragone, per quello che vale, mi ricorda Lisandro Alonso.
di certo un film unico, da vedere senz'altro - Ismaele


Diviso in 10 capitoli e ambientato tra il popolo dei mendicanti della natia Kishinev, capitale della Moldavia, il 1° dei 2 unici film di Aristakisjan è, con Un posto nella terra, una delle opere fondamentali e più originali sulla crisi della Russia postsovietica. Strutturata come una lettera audiovisiva rivolta a un figlio non ancora nato, è una storia di emarginati che si interrogano sui meccanismi dell'esclusione sociale, analisi alla quale si sovrappone la voce over dell'autore. Enigmatico nella sua complessità, il discorso spiega il conflitto tra il Sistema e lo Spirito: l'uno corrompe, opprime e sopprime; l'altro deve essere condiviso con uno stoicismo ascetico simile a quello in cui vivono i mendicanti. È un film impervio e prolisso "ma la monocroma fotografia può essere molto bella e i mendicanti sono filmati con un rispetto che non è sentimentale né fatuo" (Nick Bradshaw)…

Programmaticamente diviso in 10 capitoli e ambientato tra i mendicanti della città di Kishinev, il film analizza la crisi successiva alla caduta dell’Unione Sovietica attraverso una lettera che il narratore rivolge al figlio non ancora nato augurandosi che egli diventi un mendicante per accogliere quello spirito che sta abbandonando la terra; da qui si dipartono le numerose storie di mendicanti ed “emarginati che si interrogano sui meccanismi dell’esclusione sociale”. Per 4 anni Aristakisjan ha filmato l’esistenza miserabile di personaggi autentici (malati di mente, epilettici, storpi) convivendo con loro, condividendo la loro disperazione, scandendo il tempo della loro amicizia. Per mezzo del racconto trasmesso dagli stessi emarginati, il regista attua una complessa meditazione politica, enigmatica e indiretta, sul conflitto fra il Sistema delle cose e lo Spirito dell’uomo, restituendone poeticamente il suo archetipo insanato. I marginali di Aristakisjan esprimono la purezza rovesciata dei loro corpi nudi, così semplicemente scoperti, delle loro tare e della loro fratellanza embrionale, un universo di volti primitivi che non rappresentano il confine della natura ma esistono come natura stessa del confine.
Lo sguardo del regista abdica al formalismo della calligrafia e all’artificio tecnico in favore di un linguaggio primitivo (ma con una fotografia in bianco e nero assai suggestiva) capace di rilevare grandemente la corruzione del Sistema e l’ascesi dello Spirito di questi emarginati, avendo per loro non uno sguardo di pietosa aderenza ma di autentica complicità contro la regola inumana della desacralizzazione del quotidiano che annienta la vita e aliena lo spirito sino a farne materia. Così i diseredati, la massa miserabile degli ultimi, diventano i profeti della rinascita, le icone della libertà, i simboli di una liberazione il cui sacro non è altro che il cammino della loro umiltà, quella divinità di pura luce che sanno comprendere solamente i ciechi…

Ladoni  parece estar transitada por fantasmas históricos de todo tipo, de la caída del Comunismo al pogromo de la Pascua de 1903 en el mismo Chisinau, pasando por la Segunda Guerra Mundial y volviendo hasta la guerra de Crimea. No puede resultar, de esta manera, un filme coyuntural, no es un testimonio de la debacle comunista, ni en el sentido ideológico ni en el simbólico; apenas una herrumbrosa puerta con la hoz y el martillo aparece como testigo y localizador. Las demoliciones, las ruinas y la miseria humana fotografiadas hasta dejarnos sin resuello, no ejercen de simple ilustración histórica, sino que, al contrario, plantean un grave problema temporal, Graeme Hobbs dirá con acierto que: Ladoni parece venir de otro siglo. El filme se conforma con dar fe de la destrucción de una civilización sin necesidad de holocausto interpuesto. La mezquindad acumulada ha sido tal y durante tanto tiempo, que ya resulta imposible hacer girar la rueda por más tiempo. Los derrengados mendigos tirando de sus carritos así lo atestiguan.
La estetización de toda esa miseria, la pobreza extrema como motivo artístico y generador de belleza, surgen de nuevo en el debate sobre las formas y la moral. El aspecto avejentado del blanco y negro de las imágenes para unos será rasgo creativo y moral de respeto, mientras que para otros, incluido el propio director, un simple efecto colateral del amateurismo de la filmación y de las operaciones en postproducción para su traspaso del 16mm. original al 35mm. Para condensar esta discusión sólo haremos referencia a la visión del espectador occidental hacia esa concepción de la pobreza, algo que por otra parte contará con una larga lista de precedentes en cinematografías periféricas, tanto en el documental como en la ficción...

…Come arrivasti a fare cinema?
Durante un periodo di 7 anni mi recai a Mosca per vedere se mi ammettevano alla scuola di cinema. Mi rifiutavano sempre. Gli esami li tenevano registi famosi che, quando mi guardavano in faccia, dicevano "No, no, questo no". Nel 1988, anno in cui si compì un millennio di cristianità in Russia, fu aperto una specie di corso per venti tipi strani come me, gente che aveva sedici anni e già era stata in carcere e cose simili, curato da un documentarista che vedeva qualcosa in questi personaggi che aveva in classe. Il professore era ancora più strano. Filmava le cose che nessuno voleva filmare, come per esempio alcuni pellegrini del polo nord che si mettevano addosso delle specie di ali. Nessuno degli altri riuscì a girare dei film. Io non avevo soldi, e per questo ero l'unico al quale era permesso dormire nella scuola. Per 5 anni io vissi così, vendendo quello che possedevo. I miei genitori mi aiutarono molto, fu una storia molto curiosa. Anche se erano intellettuali vivevano nella povertà più assoluta, senza acqua e senza elettricità. Un giorno mia madre si stancò e decise che dovevano emigrare. Andò all'Ambasciata Tedesca e dichiarò che tutta la sua famiglia era stata sterminata dai nazisti e che sapeva che c'era un programma per le vittime per emigrare in Germania e che li avrebbero aiutati. Le dissero che per verificare i dati ci sarebbero voluti 3 anni. Arrivò a casa senza speranze, così mio padre andò ancora all'Ambasciata Tedesca e dichiarò che mio nonno era morto in Romania combattendo per i nazisti nella cavalleria. Lo ricevettero a braccia aperte: gli dissero che era un eroe di guerra e che Hitler aveva creato nel '44 un fondo per gli stranieri che morivano difendendo il Reich e che questo fondo era ancora accessibile. Chiese quanto ci avrebbero messo a verificare i dati e gli dissero: 2 giorni. Ed effettivamente in un paio di mesi emigrarono e oggi vivono a Norimberga. Prima però vendettero quel poco che avevano e me lo dettero perché io continuassi a studiare.
Quando realizzasti il tuo primo lungometraggio?
Lo realizzai per laurearmi nel 1994. E'un documentario chiamato Palms (Ladoni) che fu presentato al festival di Berlino. Il film ebbe successo, così cercai di essere accolto nel sindacato dei registi e mi rifiutarono. Feci ricorso e mi ammisero. Il film vinse il premio come miglior film russo dell'anno…




l'intervista continua su youtube...

4 commenti:

  1. Lisandro Alonso? Non sono troppo d'accordo (ma solo perché non l'ho ancora visto).
    Scherzi a parte, assistendo a Mesto na zemle avevo avvertito di essere di fronte a qualcosa di unico, come appunto dici tu. E aggiungo pure un irripetibile perché film così non hanno bisogno di repliche.

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    1. Lisandro Alonso per dire cinema altro, o il Reygadas di "Japon", il discorso non cambia.
      Parlo di registi e film estremi, con un'estetica diversa, e il dio del cinema ce li conservi e ce li rinnovi:)

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