una parte bellissima ricorda "Prologue", di Bela Tarr
Sergei Loznitsa, è uno bravo, questo è sicuro, e qui lo dimostra - Ismaele
…E' nel saper condurre
con estrema cautela e altrettanto stile il successivo "ricircolo" il
merito maggiore di Loznitsa, che inquadra nella ciclicità degli eventi e nella
definizione burocatrica dell'uomo (tutto, alla fine, prende il via e si riduce
alla richiesta di esibire un documento...) la gabbia da cui è impossibile
fuggire. La chiave si nasconde dietro un nichilismo disperato, come
suggerisce l'agghiacciante finale: ma arrivati a tanto, quello che rimane
davanti è solamente una strada - pardon, una direzione - inghiottita dalle
tenebre…
…nell’incomprensibile
e inevitabile avvento del male e dell’imprevedibilità incarnate, dapprima
nell’assurdo e spietato omicidio di un insegnante da parte di due soldati di
ritorno dalla seconda guerra mondiale, che lo eliminano dopo aver accolto
l’ospitalità dell’uomo e di suo figlio, e anni dopo ritrovando il nostro Georgy
muto, barbuto e sperduto dentro la stessa casa, come un alieno che assorbe la
violenza e lo scorrere senza senso di tutto, non riuscendo apparentemente a
reagire. Fino a riportarlo alle medesime dinamiche di quel controllo iniziale,
dove all’inauditezza e ingiustizia della violenza e della forza di chi si
intromette e rovina tutto inevitabilmente (caso, autorità, vita come la si
vuole definire), Georgy stesso pone fine, diventando per la prima volta
carnefice…
…The journey is full of detours, some of which take in scenes from the
past, from 60 years or so ago, in the time of World War Two. In beautiful,
lyrical mise-en-scene, the director shows scenes of brutality, rudeness,
corruption and violence; this is a poetical portrayal of ugliness... Whether it
is intended as a depiction of the brutality of conditions in contemporary
Russia, or whether it is intended more as a general portrait of the human
condition is not entirely clear to me, but, whatever it is, this is strong,
haunting film-making, skillfully depicting a disjointed world of violence and
degradation.
… Di questo film restano
negli occhi la scena iniziale, la più potente e già segno di un filmare che si
chiude in se stesso, non comunicante con quel che accadrà poi, in cui nel fango
mostrato a tutto schermo viene gettato il corpo di un uomo, quindi ricoperto di
terra da una ruspa; e il vagare, sempre molto preciso (perché Schastye
moe è un lavoro
professionalmente ricercato), e in piano sequenza, della macchina da presa tra
i volti della folla del villaggio dove il camionista approda accompagnato da
una prostituta adolescente incontrata lungo una strada bloccata da un
incidente. Istanti di un film altrimenti inscritto in un cul-de-sac che però
non produce derive ma solo loro sbiadite e pretestuose rappresentazioni.
…In
all cases, the point seems to be the same: there's a whole fascinating world
out there, and no one perspective can take it all in. Loznitsa seems hellbent
on doing everything he can to give us a flavor of everything out there, which
is at once My Joy's great achievement
and its most frustrating problem: there's just too much in it, assembled with
gusto but little discrimination, and as much as every single moment in the film
achieves near-transcendence, there's very little flow from one moment to the next:
certainly none in the narrative, and very little in terms of mood or
intellectual feeling. It is not intuitively solid; maybe it isn't supposed to
be…
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