venerdì 29 giugno 2012

Hyènes (Iene) - Djibril Diop Mambéty

tratto da un lavoro di Dürrenmatt si nota l'impianto teatrale (e il coro), trasferiti in Africa.
è un apologo amaro sull'umanità. tutti si possono comprare e i debiti si saldano.
istruttivo e sempre attuale - Ismaele



La protagonista Linguère, una vecchia signora diventata ormai ricchissima, ritorna dopo molti anni a Colobane, suo paese di origine. Il villaggio, in preda alla povertà più assoluta, accoglie Linguère sperando di ricevere beni e favori per migliorare la propria situazione. Per incoraggiare la sua generosità, affidano a Dramaan, un droghiere locale che una volta aveva corteggiato (e ingannato) la donna, l'incarico di convincerla ad aiutare la popolazione. Linguère, in realtà, è tornata con l'intenzione di condividere la sue ricchezze con il villaggio, ma solo in cambio di una particolare richiesta ai suoi concittadini: l'uccisione di Dramaan. Il desiderio di vendetta e giustizia di Linguère porta gli abitanti di Colobane a compiere azioni ciniche e folli, senza più possibilità di controllo.

In Iene non si salva nessuno, come in un noir tutti sono colpevoli (e salta subito alla mente quel capolavoro nerissimo che è Colpo di Spugna di Tavernier, anch'esso ambientato in Africa), ma c'è chi è disposto ad affrontare le proprie responsabilità con dignità, almeno in punto di morte. Grande inventiva e raffinatezza stilistica rendono il film degno di qualsiasi lungometraggio d'autore occidentale, e la stima cresce se si pensa che Mambety è stato un autodidatta. Ispirato a La Visita della Vecchia Signora di Friedrich Durrenmatt e presentato a Cannes nel '92, mentre la colonna sonora è di Wasis Diop, fratello di Mambety.

Realizzato in coproduzione fra Svizzera, Francia e Senegal, Hyènes ha la particolarità di essere uno dei rari adattamenti di registi dell’area sub sahariana da romanzi non africani. La fonte è Der Besuch der alten Dame(La visita della vecchia signora), dramma scritto nel 1956 – in Italia lo pubblica Einaudi – dallo scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt, morto appena due anni prima dall’uscita del film e a cui Hyènes stesso è dedicato: Mambety ne mutua soggetto e intreccio, trasponendolo dalla Svizzera degli anni ’50 a un immaginario paese del Sahel negli anni ’80. L’ambientazione è volutamente vaga: la cittadina Colobane altro non è che il quartiere di Dakar dov’è nato Mambety e anche sull’ancoraggio cronologico il regista ha volutamente mescolato le carte...

Il film rende da dio la tranquilla ansia di vendetta della donna, ma anche il suo immutato affetto per l’uomo che vuole morto (magnifica in questo senso la scena in riva al mare), nonché l’acquisita arroganza dovuta alla sua nuova posizione. Il film voleva essere soprattutto un atto d’accusa contro la corruzione (dello stato, delle forze di polizia, della giustizia, della religione, e una corruzione morale dilagante) densa di simboli tuttora efficaci (l’evidente parallelo con le iene; il grottesco tribunale finale nel cimitero degli elefanti; o la bellissima immagine finale del baobab in lontananza), più qualcuno tipico del luogo (la rete da pesca come immagine della corruzione, che viene usata dal giudice ed indossata al collo del capo della polizia; o le facce dipinte di bianco nel giudizio finale a simbolo del male). In questo senso il film funziona; e funziona bene la regia, abbastanza sicura in toto, con qualche decisa virata autoriale nella costruzione di alcune inquadrature (soprattutto nella chiesa) o nell’utilizzo di alcuni paesaggi (la già citata immagine del baobab, il deserto durante il viaggio in macchina, la costa nella scena sul mare dell’incontro fra i due “antagonisti”)…

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