Seydou è il figliol prodigo che torna per qualche giorno in Senegal.
Yao, il bambino, è un suo fan e il caso li fa incontrare, e passano qualche, indimenticabile, giorno insieme.
il ritorno di Seydou, uno che ha avuto successo in Francia, è una sorpesa per tutti e due, inizia un'amicizia infinita.
non sarà un capolavoro, o originale, ma si fa vedere davvero bene.
buona visione - Ismaele
QUI il film completo, su Raiplay
…In
questo senso Il viaggio di Yao è molto più
che un road-movie, o un viaggio iniziatico alla scoperta di una cultura e di
una spiritualità sconosciuta, ma diventa una vera e propria riflessione
sull’identità. Cos’è bianco e cos’è nero? Quali sono gli elementi per definire
l’identità di una persona e come cambia la percezione che ne hanno gli altri in
base al luogo in cui si trova? Il viaggio di Yao è tutto questo e
Philippe Godeau è in grado di condensare una riflessione esistenziale così
complessa in termini umani più che trascendenti, come gli incontri che Yao
e Seydou fanno durante il viaggio, che sono in grado di trasmettere i
valori della cultura africana e la sua profonda spiritualità in pochi semplici
gesti, riducendo al minimo le parole per dare massimo risalto al corpo.
Tuttavia sembra che Philippe Godeau non abbia il coraggio di andare oltre le colonne
d’Ercole di questa terra, e che si fermi sulla soglia, un attimo prima di
portare i i suoi personaggi fino in fondo al loro viaggio, lasciando sospeso il
tempo del racconto, come se attendesse che siano loro stessi a scriverne il
finale. E forse è giusto così.
…Omar Sy e
Lionel Basse formano una coppia ben affiatata, il francese famoso, ingenuo e dimentico
delle proprie radici, il ragazzino indigeno saggio e fiero della propria
identità. Aggiungete un catorcio sbuffante, gli spazi riarsi del Senegal e una
leggera passata di retorica melensa et voilà: la commediola di buoni sentimenti
è servita…
…
Quando il regista Philippe Godeau sottopose a Omar Sy il progetto l'attore
francese non ebbe esitazioni. Non c'era bisogno di calarsi in una parte in
quanto Sy e Tall erano la stessa cosa. In comune avevano le origini senegalesi,
la nazionalità francese ed il fortuito incontro con l'arte cinematografica
facilitato dall'innata capacità di far ridere. Allo stesso tempo né personaggio
né attore avevano una benché minima idea del continente africano, così il
road-movie fu lo scontato espediente narrativo scelto per descrivere, a sommi
capi, il paese, i suoi abitanti e il suo visitatore. Ma allora c'era bisogno di
un film di finzione? Non era forse più interessante un documentario con
protagonista Omar Sy alla riscoperta di una terra con la quale non aveva mai
avuto nulla da spartire se non i natali dei propri genitori e l'involucro
marrone? Forse ne sarebbe scaturito un documento più genuino e interessante. Il
film, a contrario, mi ha dato l'impressione di non andare da nessuna parte, di
non sviluppare trama e sottotrame e di presentare tutti i cliché del continente
nero: la bellezza della natura, la luce calda dei tramonti, il tempo immobile,
la straordinaria serenità, agli occhi occidentali, di chi non è oppresso dal
tempo, la spiritualità sciamanica che tanto affascina i popoli secolarizzati
del nord che non credono più a niente. Ma siamo sicuri che l'Africa sia così?
L'africano che muore di fame o non sa cosa mettere nelle bocche dei propri
figli a pranzo e a cena probabilmente non è ricco di saggezza sacerdotale e
correrebbe tutto il giorno pur di racimolare quel pasto che nutra se stesso o i
propri cari. Forse confondiamo la rassegnazione di un continente oppresso dalla
fame nell'allegra spensieratezza dei passeggeri di un treno lento come una
lumaca o di un tassista che si concede una lunga pausa per infilarsi tra le
lenzuola della propria moglie mentre i suoi passeggeri aspettano sotto il sole
di rimettersi in viaggio. L'Africa meriterebbe una rappresentazione ben più
veritiera del suo tessuto sociale. Forse è ora che l'Africa la racconti il
cinema africano. Omar Sy è simpatico e fa il suo lavoro ma il film non mette
proprio niente di nuovo sul piatto preferendo un ruffiano manierismo in salsa
francese condito giusto un po' di cultura nera. Una gassosa all'ananas sotto la
canicola. Niente più.
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