una gita in bici in montagna.
David, un ex soldato tornato dall'Iraq, si trova a cercare di sopravvivere insieme ad Angeline.
in un territorio molto pericoloso c'è un uomo, sembra uscire da un film tedesco di un secolo prima, lui impersona il male, in maniera scientifica.
e poi succedono alcune cose sorprendenti.
un film che non annoia, con tanti colpi di scena.
buona (politica) visione - Ismaele
Dopo aver visto il suo esordio in campo
cinematografico, quel Nero Bifamiliare a
mio parere fallimentare sotto tutti i punti di vista, non avrei scommesso un
centesimo bucato di euro sul proseguio della carriera cinematografica di
Zampaglione, anzi speravo in cuor mio in una sua rinuncia definitiva alle sue
velleità da regista.
E invece, colpo di scena, mi cospargo il capo
di cenere e riconosco il mio errore.
Il secondo film di Zampaglione è un'opera
abbastanza riuscita, una fiaba orrorifica naif che rende giustizia alla
cinefilia del suo autore.
Pur navigando nel mare magnum del deja vu Shadow non demerita , anzi si propone come
buon prodotto di genere adatto anche (ma forse soprattutto) all'esportazione.
L'Italia non è più un Paese per registi horror e
a me fa piacere che qualcuno ritorni a questo genere così particolare in
cui siamo stati dei veri e propri maestri.
Con qualche staffilata politica niente male (
vedi la foto di Bush jr in bella mostra accanto a quelle di Hitler e Stalin
oppure le immagini che vanno in loop di adunate naziste).
Come Nero Bifamiliare anche Shadow è pellicola intrisa di citazionismo ma
almeno qui non è fine a se stesso come nel suo esordio.
Dalle atmosferiche relativamente bucoliche della
prima parte, un tuffo nella natura selvaggia in biking solitario, si passa
presto a vivere Un tranquillo weekend di
paura per poi arrivare a una seconda parte nell'antro di
Mortis(il succitato mostro) che si inserisce elegantemente nel filone del
torture porn alla Hostel e
relativi epigoni ma anche in quello degli ultimi horror francesi(direi
soprattutto Frontiers di Xavier
Gens).
La rivelazione finale è abbastanza telefonata
(se uno ha visto film come Una pura formalità di
Tornatore, Allucinazione perversa di Lyne oppure anche Il settimo
sigillo di Bergman indovina il coup de theatre finale diversi minuti
prima) ma assolutamente funzionale alla metafora che percorre sotterraneamente
tutto il film.
Zampaglione si rivela regista valido sia nelle
sequenze più "movimentate" della prima parte e si rivela elegante
tessitore di atmosfere sulfuree nella seconda quando la sua cinepresa si aggira
curiosa tra le pareti ammuffite e malsane della dimora di Mortis,un
impressionante Nuot Arquint che ha veramente il phisique du role per
soggiornare nei peggiori incubi.
La partitura musicale che accompagna
onnipresente il film è evidentemente debitrice dell'Argento degli anni 70.
…Shadow inizia con una suggestiva panoramica delle foreste del Tarvisio (che nel film è chiamato The Shadow, l'ombra) che ci introduce nel luogo in cui si svolgerà l'azione. Il protagonista, David, è un reduce dell'Iraq e con la sua mountain bike vuole immergersi nella natura per dimenticare gli orrori della guerra. Conosce una ragazza che fa il suo stesso percorso, ma i due dovranno presto preoccuparsi di scappare da due balordi cacciatori...per poi finire tutti quanti, cacciatori e prede, tra le grinfie dell'"ombra" che abita la foresta.
Zampaglione si richiama alle atmosfere dei film che ha amato durante l'adolescenza ma segue anche i nuovi sviluppi che il genere ha avuto negli ultimi anni, indica Dario Argento e Lamberto Bava come numi tutelari (a quanto pare è stato Argento a suggerirgli di girare in inglese) e tutti, colpiti dal rinnovato interesse per l'horror, lo applaudono. Ma è tutto oro quel che luccica?
…C'è
infatti molto poco sangue in Shadow, nonostante sia un racconto
di violenza e ad un certo punto anche di tortura, ma quello che perde in gore
il film lo guadagna in tensione, cercando in ogni momento di giocare con le
aspettative dello spettatore abituato ad assistere alle disperate resistenze
contro il dolore e la morte dei protagonisti del cinema horror grazie ad anni
di B-movies.
Tuttavia, forse proprio il desiderio di spiazzare e in questo modo sottrarre
certezze a un certo punto prende la mano al regista. Un colpo di scena di
troppo (e troppo grande) proprio nel finale costringe infatti a rileggere la
trama di Shadow e il suo simbolismo a quel punto evidente
sotto una luce diversa, più politica e, in un certo senso, meno potente ed
universale di quanto non fosse senza quell'ultimo, estremo, twist.
Ma nemmeno un'eccessiva sorpresa di troppo cancella il merito principale di
questo film, cioè la dimostrazione che possa esistere ancora un altro tipo di
cinema italiano che non sia costretto a scegliere tra le solite storielle
pretenziose e le altissime punte autoriali (per definizione non replicabili
industrialmente), un cinema che pur rifacendosi a una tradizione nostrana
sappia variare dall'immaginario filmico italiano odierno, che non viva di
sussidi statali, non sia figlio delle solite case di produzione e sia in grado
di rivendicare un'idea professionale e internazionale di cinema di genere.
Dopo
il tentativo non riuscito di incursione nella black
comedy con Nero bifamiliare (2006), Federico Zampaglione ridà
vigore al cinema di genere italiano “aggredendo” l’oligopolio dell’horror
contemporaneo detenuto da Stati Uniti, estremo Oriente, Spagna e Francia.
Rispetto alla prima regia, il leader dei Tiromancino si libera con un colpo di
roncola delle divagazioni grottesche e cinefile e costruisce una storia che arriva immediata allo stomaco,
anche se la sceneggiatura ha debiti antichi (Fritz Lang), moderni (Un tranquillo week end di paura di John Boorman,
1972) e più recenti come Frontieres (Xavier
Gents, 2007), la cui protagonista Karina Testa qui interpreta Angelina.
Pioggia, nebbia e vecchie storie di montagna suggerirebbero di scegliere un
altro giorno per il cicloturismo, ma il reduce di guerra in cerca di pace
ignora i presagi e sfreccia incontro a brutali cacciatori e a un Nosferatu anoressico dalle labbra sottili e
tremanti di nome Mortis che occasionalmente indossa il saio nero e impugna la
falce…
…"Shadow"
infatti ci fa ben sperare nel futuro da regista di Zampaglione, che non ha lo
scopo di rivoluzionare un genere, ma semplicemente di utilizzare schemi e
situazioni già viste all’interno di una storia, per renderla il più
angosciante, claustrofobica e paurosa possibile. Citando il primo Argento,
Lucio Fulci e Mario Bava, Zampaglione imbastisce un film semplice nel racconto
ma capace di catturare con facilità l’attenzione del pubblico. Più che alla
storia, il merito va proprio alla regia, strutturata in maniera interessante
(la prima parte nel bosco girata con camera a mano, la seconda parte nella
villa con carrelli e movimenti più precisi) e originale per la scelta di
inquadrature.
Ma è nella storia che "Shadow" risulta
essere perdente. Non è tanto nella semplicità del plot (anzi) o nella scarsa
profondità psicologica dei personaggi (comunque ben supportati dalle
interpretazioni degli attori), ma in un finale che piglia per il culo lo
spettatore in maniera indecente e che distrugge quanto di buono era stato fatto
di buono sino ad ora. Le improprie citazioni del Nosferatu il vampiro di Murnau
e soprattutto de Il settimo sigillo, scadono nel ridicolo e il twist finale
suona più o meno come un calcio nel sedere dato allo spettatore. Per la serie:
‘al momento di tirare le fila del discorso ci siamo accorti che non sapevamo
come fare e quindi abbiamo finito il film come se fosse un tema di un bambino
di quinta elementare’. Eh, vaffanculo Zampaglione. Ho capito che a livello
tematico quel finale può anche essere accettabile (per quanto renda ridicola
l’intera vicenda), ma vanifica tutto il lavoro metaforico fatto
precedentemente. E perché svelare l’allegoria quando l’allegoria stessa dice
già ciò che vuoi esprimere?
Sorretto sulle spalle del mefistofelico attore
svizzero Nuot Arquint, "Shadow" ci fa sperare in due cose: che
Zampaglione torni alla regia ma che smetta di scriversi le sceneggiature dei
suoi film.
"Shadow", ovvero l'opera seconda che non ti
aspetti. Un thriller teso e ritmato con evoluzioni torture porn ed innesti
allucinogeni, uno di quei film di genere che difficilmente capita di vedere in
Italia e diretto con sorprendente sicurezza da un outsider come Federico
Zampaglione, musicista prestato alla settima arte che poco convinse all'esordio
col grottesco "Nero bifamiliare". A suo agio sia nei grandi spazi
aperti che in situazioni claustrofobiche, il nostro riesce qui a costruire un
meccanismo cacciatore-preda che non lascia tregua alternando fughe forsennate
ad efficaci capovolgimenti di fronte, dimostrando anche una discreta tecnica
nel girato che culmina nella prima lunga sequenza all'interno della tana del
(vero) cattivo. Non mancano sottotesti e frecciate antimilitariste e nonostante
alcuni escamotage risultino già visti - le soluzioni oniriche sono un tantino
abusate - il film regge e fila spedito lasciando traspirare un'aria
internazionale (cast e locations aiutano) che al nostro cinema manca come il
pane.
Nessun commento:
Posta un commento