la storia di Luciano fra le campagne laziali e la Patagonia.
il vino, l'amore e la ribellione sono le compagne di Luciano, insieme a un viaggio in Patagonia, alla ricerca di un misterioso tesoro d'oro.
un film che non ti aspetti, una bella sorpresa, con Gabriele Silli (che interpreta Luciano) davvero bravo.
approfittate di Raiplay, tempo ben speso.
buona (avventurosa) visione - Ismaele
QUI si può vedere il film completo, su Raiplay
"Re Granchio" è un racconto che inizia con il ritorno
a casa del suo protagonista. Luciano torna al borgo in campagna dopo un periodo
di cura dall’alcolismo a Roma. Qui si invaghisce di Emma, contadina e amica
d’infanzia, che è tuttavia la giovane prediletta del Principe del borgo.
La lotta di Luciano contro il Principe vorrebbe simboleggiare l’aspetto ribelle
e contestatario del protagonista nei confronti della proprietà borghese: aprire
la porta serrata, per nuova legge invalicabile, e poi dar fuoco alla proprietà
del Principe sono segni di una contestazione anche politica, visto il brindisi
(ironico) sia alla sua potestà sia alla Repubblica. I gesti anarchici di
Luciano sono tuttavia imprecisi e lo condurranno a commettere involontariamente
un omicidio.
La crescita del protagonista passa per un lungo prologo prima della ricerca del
tesoro; in questo Capitolo I – Il fattaccio di Sant’Orsio, curato
in fase di scrittura anche da Carlo Lavagna ("Shadows", 2020), si
mette spesso in mostra la natura fanciullesca ormai perduta di Luciano come a
ricordargli che ora è un uomo e gli atteggiamenti da lui tenuti andrebbero
tenuti a freno.
Costretto infine a fuggire da Vejano, "Re Granchio" diventa non
soltanto un western e un racconto d’avventura composto di storie, ma anche un
racconto di riformazione. Luciano cambia identità e si presenta
allo spettatore come il sacerdote Antonio Maria de la Vera, persona presa in
prestito e definitivamente abitata come sancisce la croce con inciso Luciano
che pianterà lui stesso sull’isola durante il viaggio.
…Diviso in due parti che
ricordano da una parte, le radici del racconto popolare tramandato oralmente
del cinema di Olmi, e dall'altra l'epica visivamente suggestiva e potente del
viaggio avventuroso alla Herzog, Re Granchio è un cinema coraggioso che guarda
ai contenuti senza calcoli commerciali di sorta, restituendoci finalmente un
senso di orgoglio per un progetto che rifugge ogni facile compromesso narrativo
per andare dritto sino al suo nobile scopo, con un risultato sorprendente.
Ottima prova per l'artista e qui attore Gabriele Silli, un
volto ed un corpo degni di essere ritrovati in altre avventure cinematografiche.
...Rigo de Righi e Zoppis
vengono dal documentario e per una volta non si vede, nel senso che sì, c’è la
precisione del reale, ma con la loro sontuosa regia vanno più dalle parti della
favola magica dove tutto è possibile, un Kaspar Hauser che
diventa Fitzcarraldo; ma pure verso la
fotografia narrativa di Salgado, il cinema libero di viaggio ed escursione,
insieme a un gusto molto nostrano (un po’ garroniano?) per le facce, la
materia, l’artigianato che si deve toccare sempre.
Re Granchio è cinema che resta per pochi ma
che ha l’aspirazione di parlare a tutti. È tutto più semplice e meno ostico di
quanto possa sembrare (anche al pubblico del cinema festivaliero che oggi
preferisce lo streaming e, per mille motivi pure comprensibili, diserta le
sale). È tutto bellissimo (la fotografia di Simone D’Arcangelo, la musica di
Vittorio Giampietro, le scene di Fabrizio D’Arpino, i costumi di Andrea
Cavalletto) e accessibile, collocato in un luogo sempre più raro del cinema (e
dell’industria) ma mai pedante o presuntuoso.
E, torniamo al principio,
ha quello spirito di racconto che oggi torniamo ad avere anche qua, alla
maniera dei registi pittori/narratori di un tempo. Si dovrebbe chiudere con “la
favola bella del giovane cinema italiano”, ma non lo farò, ci siamo capiti lo
stesso.
...Ciò che di Re Granchio si rivela
estremamente interessante e memorabile è la riflessione che il film compie
sulla violenza e il sadismo della morte e ancor più sull’impostazione
cinematografica, assolutamente contrastante tra le tre sezioni del film.
La
prima, quella dei giorni nostri che è allegra, malinconica e scherzosa. Ossia
sull’anzianità che ha dignitosamente e gioiosamente accettato la morte. La
seconda, dolce e cruda nel suo mostrare e raccontare lo sviluppo e la corsa
parallela dell’amore e della violenza che si rivela non definitiva, quanto
generatrice di una nuova dannazione o in alternativa, di una nuova esistenza in
attesa di pacificazione e perdono, cioè il nucleo della terza e sicuramente più
interessante sezione. Incredibile dunque come il terzo segmento del film riesca
nel legarsi a uno stile ormai assolutamente riconoscibile e davvero distante
dall’estetica italiana, ossia quello generalmente proposto dalla sempre più
nota casa di distribuzione e produzione newyorkese A24, cui appartengono titoli
come The Witch, Midsommar e Lamb. Così come quei film la terza sezione
di Re Granchio in
formato 16:9 propone scenari sconfinati, meravigliosi e fortemente evocativi da
un punto di vista simbolico, cupo, demoniaco ed evidentemente inquietante. Re Granchio si rivela dunque un
prodotto outsider, tanto quanto lo è il suo protagonista per i popolani del
borgo e così come Luciano, anche Re
Granchio vive di una spinta ultraterrena, posseduta probabilmente,
metaforica e simbolica. Qualcosa che nel cinema italiano di allora e poi
dell’oggi risulta introvabile e per fortuna, ormai non più.
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