un piccolo film, ambientato nel Palazzetto dello Sport di Milano durante la Sei giorni di ciclismo.
una ragazza madre porta il figlio a conoscere il padre (Giuliano Gemma), e una serie di personaggi del pubblico.
non è un capolavoro, ma Florestano Vancini merita sempre.
buona (ciclistica) visione - Ismaele
…Lo scenario è sì quello delle corse ciclistiche all'interno del
Palazzetto dello Sport di Milano ma questo funge solamente da pretesto per
raccontare spicchi di umanità varia: dal padre di famiglia col ragazzino al
seguito, vessato da balordi sugli spalti (scacciati da un Guido Nicheli
formidabile e non accreditato) alle donne del servizio di pulizia che attaccano
all'alba scendendo dal bus, al terribile frammento della giovane ragazza
costretta a prostituirsi per procurare la roba al suo ragazzo (e farsi sugli
spalti).
Tutti questi coriandoli di vita comune, quotidiana, misera, allegra e
litigiosa, fanno da contorno alla storia centrale, una relazione tra una
giovane ragazza ed un medico maturo, che fino alla fine non si capisce se sia
veramente reale o solamente inventata per secondi fini. Se questo è il centro
nevralgico del film, va detto, non regge pienamente: le incongruenze ci sono
eccome ed il ritmo balzella. Nonostante questo, Vancini risolleva quasi sempre
il film con trovate divertenti, dialoghi geniali in dialetto ed un sapore quasi
amacordiano di nostalgia.
In definitiva è un film molto riuscito, spontaneo, divertente e
malinconico, che marca il fatto che non solo le grandi storie sono degne di
essere raccontate, ma anche le tante cazzate quotidiane, rimpianti e risate
stupide.
Ovviamente a me l’aspetto che più affascina è la
descrizione di quel mondo delle sei giorni… Il ciclismo come intrattenimento
popolare di massa, cosa che non è più, un universo che appassionava anziani,
ragazzi, le più varie categorie sociali… Credo che ormai le sei giorni in
Italia siano morte e defunte, che io sappia l’unica ancora esistente è la Sei
giorni delle rose a Fiorenzuola… Credo che il pubblico sia limitato a quattro
gatti, chissà quanto resisterà ancora.
Insomma, apprezzo questo film in primis come testimonianza di un microcosmo che
ormai, in Italia, non esiste più.
Per il resto, filmetto gradevole che scorre calmo fino
alla conclusione con la sua narrazione lineare e morbida, niente scossoni,
niente colpi di scena clamorosi… Un racconto semplice, un film descrittivo.
Fa specie vedere ora come all’epoca fosse, per quanto
comunque non usuale, del tutto socialmente accettabile che un medico rinomato
professionista avesse avuto una scappatella estiva con una minorenne durante le
vacanze al mare. Né la gente intorno a lui si scandalizza, né lui fa più di
tanto per nasconderlo. Il segno dei tempi.
Girato nel Palazzone, segue la varia umanità fanciullescamente
popolare e freak che lo abitava. Inconsueto per Vancini: vorrebbe allestire
un'orchestra felliniana ma dirige solo medi solisti. Di positivo c'è
l'atmosfera da affresco storico, visto oggi sembra un film sui riti, l'euforia
e le tante miserie che si consumavano in un moderno Colosseo. Portante è il duo
Gemma-Angelillo, lui di gomma lei spigliata. L'uso del dialetto accentua la
malinconia per la città scomparsa.
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