una storia che sembra di Fassbinder, invece è Patrice Chéreau, che dirige un film inquietante, vivo, sorprendente, con attori bravissimi (sarà anche merito del regista, no?).
film di sguardi, e azione, Henri (Jean-Hugues Anglade) incrocia Jean (Vittorio Mezzogiorno) e ne resta affascinato, e la sua vita cambia per sempre.
cercatelo e godetene tutti - Ismaele
QUI il film completo, sottotitolato in spagnolo
Capolavoro drammatico, che all'epoca fece scalpore per
l'immediatezza delle immagini e per alcune sequenze d'amore fra due uomini
rappresentate senza troppi veli e incorniciate da una fotografia altamente
suggestiva. Il regista rappresenta con estrema crudezza e realismo e con grande
vigore espressivo la storia drammatica d'amore dei due protagonisti.
Considerato un film importante della carriera di Chereau. Grande prova di
interpretazione del compianto Vittorio Mezzogiorno.
Rincorrendo un giovane cinico, un ragazzo scopre un mondo
notturno di marchettari e clienti. Dire che è il racconto di un'umanità alla
deriva è poco. La livida fotografia riflette una storia cupa di naufraghi
dell'esistenza, monadi che si inseguono alla ricerca del sesso come surrogato
di un'impossibile comunanza d'affetti. I rapporti sessuali sono lotte, i
dialoghi scontri, gli spazi (come la sordida stazione) zattere di salvataggio
per affondare meglio nel dolore della solitudine. Generosi gli attori.
Nichilista da lasciare senza fiato.
L'urgenza di vivere della gioventù ribelle si scontra col maturo
cinico ed avvezzo al reale squallido imperante, rimanendone invischiata in una
specie di attrazione/repulsione che sfocia in uno smarrimento esistenziale
bisognoso di un modello da seguire/imitare, di un rapporto spirituale/carnale
ma che si tramuta sempre più in una tormentata incomunicabilità fra 2 persone:
l'una disincantata e l'altra vittima della sua ingenuità. Coraggioso nel non
voltare mai lo sguardo. Spicca su tutti il grande Mezzogiorno (doppiato da
Depardieu).
…L’Homme blessé (se ci liberiamo dei pregiudizi) ha il pregio di
trasferirci in una “dimensione” un po’ estrema fatta di nostalgia e
desiderio: corre oscuro e sinistro su questi binari avvolgenti, diventa
quasi agghiacciante premonizione di morte in alcuni momenti, tanto che potremmo
osservare che siamo anche qui dalle parti di Ultimo tango a Parigi di
Bertolucci, perché l’umore, l’emozione, e il senso del “proibito”, del “non
ammesso”, corrono sulla stessa linea, mantengono la stessa altezza, magari
ancora più “torbida” per la connotazione tutta al maschile che ne deriva. Film
come si è visto fortemente intriso di passioni estreme, ha al suo attivo
anche un crudo, violento finale che è commovente e inquietante al tempo stesso.
I francesi lo hanno compreso e apprezzato, tanto
che è stato a suo tempo insignito del massimo riconoscimento di quella
ciraggiosa ccinematografia - il César - perché se l’atmosfera e il clima che si
respirano nel film, come si è già visto e detto, sembrano mutuati direttamente
dai romanzi maledetti di Genet, come in quei capolavori assoluti, anche qui
l’umanità profonda dei personaggi riscatta alla fine qualsiasi abiezione.
Splendida e coraggiosa prova di tutti gli
attori coinvolti, a partire da un Vittorio Mezzogiorno superlativo che ci ha
regalato, nel disegnare il contorto, disperato, solitario, ambiguo personaggio
che è stato chiamato a rappresentare, forse la sua migliore interpretazione in
assoluto e non ha avuto alcun timore i remora nel mettersi letteralmente “a
nudo”. Non di minore rilevanza però la prova di un ancora giovanissimo
Jean-Huge Anglade, che riesce ad esprime perfettamente tutta la sotterranea
irrequietezza di una età singolarmente complessa e piena di tentazioni carnali.
Roland Bertin, un altro maturo omosessuale un po’ sordido, è il terzo incomodo
della storia. Accanto a loro, Liza Kreuzer, Claude Berri, Gérard
Desharte e Armin Müller-Stahl.
Film di grande fascino, misterioso, oggettivo e diretto nello
scrutamento di psicologie e meccanismi spesso contorti, debordanti e tenuti ai
margini della società, delle rappresentazioni e dell'anima, perfino con
bagliori di sottile ma disillusa ironia, soprattutto tormentato e inquieto,
sordido eppure crudemente tenero e toccante, errabondo e che esprime un
disperato, maledetto bisogno di contatto, di amore lacerante fino
all'annullamento.
…Chereau mette in scena, con gli ammiccamenti e la teatralità
che ben gli si addicono, la deriva dei sentimenti di un giovane che spende la
propria verginità al sevizio di un mercenario approfittatore che lo sfrutta e
lo usa con l'inganno e il proprio indiscutibile appeal. "L'uomo che non
deve chiedere" vs. il servo obbediente e consenziente, che saprà tuttavia
ribaltare i ruoli divenendo da vittima a carnefice. Il piacere dei sensi come
ragione di vita contro il tedio e il vuoto della vita quotidiana: temi ora alla
base di tutta l'opera dell'austriaco Ulrich Seidl, che trovano in Chereau un
coraggioso anticipatore, in un film che non cerca facili consensi, un'opera di
cui molti hanno parlato, ma effettivamente vista da pochi. Per questo
sicuramente un cult. Jean Hugues Anglade inaugura con questo ruolo uno dei
molti personaggi inquieti (e svestiti) della sua interessante carriera, mentre
Vittorio Mezzogiorno, carogna laida, infida e traditrice, e' bello, pertinente
ed irresistibile come mai fino ad allora, e qui impegnato in uno dei ruoli più
significativi ed ambiziosi di tutta una notevole carriera finita davvero troppo
presto.
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