nel film non c'è nessuna finzione, la regista si è immersa in quella comunità e ce la mostra, senza giudizi, un lavoro che documenta una relazione, una situazione, un gruppo di persone, che vivono insieme e si allenano, si allenano, fino a sfinirsi.
c'è un maestro riconosciuto e alcuni allievi, che dividono e condividono tutto, nell'attesa di qualcosa che potrebbe venire, loro si preparano.
buona (marziale) visione - Ismaele
QUI il film completo, su
Raiplay
…"Sono entrata in questo mondo e in questo film con una domanda," racconta la regista. "Volevo capire perché si decide a un certo punto di abbandonare il mondo esterno e parte della propria identità e di mettere la vita e l'esistenza nelle mani di qualcun altro. Faith non è un film su una setta, loro non sono una setta. È un film su un meccanismo psicologico, sulle dinamiche e relazioni tra le persone. Il titolo del film non fa riferimento solo alla fede religiosa, ma a quella in qualcuno," spiega. "In questo caso del loro maestro."
Tutti i monaci e le madri del monastero, infatti,
vivono in totale isolamento e nella venerazione del loro Maestro, che esercita
su di loro un controllo totale, figlio di un carisma che è stato capace di
toccare perfino la Pedicini. "In genere si pensa che a fare
scelte estreme di questo genere possano essere persone con problemi sociali, o
economici," aggiunge, "ma in quel monastero ho incontrato persone
provenienti dalla borghesia media e alta, alcuni di loro sono laureati, e questo
è ancora più inquietante, perché non ci sono giustificazioni che a noi possano
apparire logiche. La domanda iniziale si è fatta ancora più
grande, ma non ho trovato risposte. Ho conosciuto alcune motivazioni, e un
mondo radicale stranissimo, quello creato da nulla dal maestro. Mi affascina e respinge assieme che dal nulla un uomo abbia potuto
inventare un mondo, imporre delle regole e una religione. Ma non ho risposte, e ancora meno certezze di quando ho
cominciato."…
…Valentina
Pedicini porge allo spettatore la sua mano, donando l’istantanea di una realtà
a molti forse sconosciuta, per altri inconcepibile. Ne registra quotidianità e
azioni, rimanendo sulla superficie senza mai esplorare passato o motivazioni
personali. Osserva e passa il testimone visivo al pubblico, senza giudicare e senza presunzione nel
domandare a chi osserva di farlo.
Un ritratto dipinto con la precisione di chi non cerca
interpretazioni né tanto meno opinioni, che non implica prese di posizione o la
ferma convinzione nello stabilire cosa sia giusto e cosa sbagliato, quale il
bene e quale il male. Una realtà, nuova, diversa e probabilmente scomoda sullo
schermo, lontana da ogni ostentazione persuasiva. L’immersione documentaristica
in un’estetica raffinata al
servizio di uno spaccato manca forse di equilibrio ed empatia, ma è capace di
spiazzare attraverso l’irruenza tipica dell’alieno, inscenando il disagio a
suon di cazzotti e musica destabilizzante, sudore e devozione.
Sulle colline marchigiane dal 1998 si è formata una
comunità della quale fanno attualmente parte ventidue persone (di cui due
bambini nati nella comunità stessa) guidata da un maestro di kung fu che li ha
chiamati Guerrieri della Luce. Essi sono pronti a combattere, grazie ad un
costante esercizio fisico sulla base della pratica di arti marziali, la
battaglia finale per portare, nel nome della fede cristiana, la Luce in questo
mondo. Valentina Pedicini ha vissuto con loro per quattro mesi e ne documenta
l'attività quotidiana.
La storia delle arti marziali ci insegna che le stesse hanno
un legame indissolubile con la vita monastica essendo la loro genesi
collocabile nel monastero Shaolin in Cina. Corpo e mente esistono in un
dualismo che finisce con l'essere solo apparente. Quello che emerge dal
documentario girato da Pedicini in uno splendido bianco e nero (gli unici due
colori ammessi negli indumenti della comunità a rappresentare la purezza del
bene e l'oscurità del male) è un mix di elementi difficili da valutare da parte
di chi li osserva…
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