una ladra di bambini, suo malgrado, (altro che Putin), è la protagonista (Sandrine Kiberlain) del film.
quando muore il figlio Betty riceve l'invadente visita della madre, un po' fuori di testa, che per sostenere la figlia ruba un bambino per sostituire il nipote morto.
piano piano diventa il figlio, la polizia indaga, sul bambino scomparso, ma non sono troppo bravi, anzi...
una storia ad orologeria che non delude, promesso, Claude Miller è una garanzia.
buona visione - Ismaele
In quest'opera di Claude Miller (apparsa nelle
nostre sale con ben due anni di ritardo), si avverte la prosecuzione di un
cinema che da un lato possiede la consapevolezza del percorso fin qui
tracciato, mentre dall'altro si abbandona ad un andirivieni di atmosfere,
colori, racconti, sempre sussurrati in margine all'evento narrativo principale.
Se infatti nella prima parte si avverte il respiro intermittente e casuale di
un cinema da camera (i confronti tra madre e figlia, alla quale è appena moro
il figlio, rimandano al set centralizzato e opprimente di Guardato a vista), nella seconda è come se Miller liberasse
improvvisamente i corpi descritti fino a quel momento per sprigionare una
macchina mobilissima che si perde nelle periferie, contaminando con un movimento
nervoso ed elettrizzante traiettorie di vita fino a quel momento occluse. C'è
insomma il miglior cinema del regista in questo costante spiazzamento di
fisicità sull'orlo di una crisi depersonalizzante (la protagonista che cerca lo
spettro di suo figlio morto nel "nuovo" bambino procuratole dalla
madre), anche perché lo sguardo che agisce sulla scena non ha davvero nulla di
consolatorio, per il portare sul proprio corpo i segni di una lacerazione
dialettica sempre trasformata in simbolo di lotta, di violenza, di scontro.
Miller lavora direttamente su un spaesamento sentimentale che per l'appunto
termina in un cerchio mancato (il finale borghese è puro artificio ironico, di
quelli che pullulano sia pur in forme diverse, nelle opere di Chabrol), affiorante
come linguaggio nascosto delle cose, quadratura impossibile da realizzare
perché mancante sin dall'origine (già l'inizio dell'opera, col ritorno della
madre della protagonista, segna un'irruzione destinata a creare scompensi).
Questo allora il senso di strappi improvvisi (il flashback iniziale con la
protagonista ferita con delle forbici dalla madre, che pare un eco sussurrato
de La piccola ladra), che configurano una sorta di metastasi galoppante che
uccide un mondo (quello della sicurezza familiare) per sostituirlo con un giro
di vite che culmina nello sbandamento più drastico. Nell'accensione di un punto
di non ritorno.
Film non facile, ma decisamente riuscito. Il tema centrale è,
di fatto, il cosiddetto amore materno. Veniamo a conoscere tre donne, tre
madri, stupendamente incarnate da Mathilde Seigner, Sandrine Kiberlain e una
straordinaria quanto sciroccata Nicole Garcia. La prima ha un figlio, frutto
indesirato di un periodo “movimentato” della sua vita, la seconda perde il suo,
che cade incidentalmente dalla finestra di casa (la citazione da “L’argent de
poche” di Truffaut è evidente, anche se lì Gregory si limitava a “fare boom”,
mentre qui il bambino muore, lì inseguiva un gatto, qui tenta di acciuffare un
uccellino), la terza è la madre della seconda, un caso clinico da manuale. Non
mi inoltro nella trama, piena di risvolti inattesi, di figure umane e
credibili. Miller suddivide il suo film in una serie di capitoli, che sono la
“storia di…” uno dei personaggi, senza perdere mai il suo filo narrativo. Gli
attori: Sandrine Kiberlain, magra, bionda, non bellissima, ma bravissima, si
conferma come una certezza del cinema francese; Mathilde Seigner non ha bisogno
di alcuna conferma, ma affronta qui un ruolo insolito per lei, quello di una
ragazza ancora adolescente, libertina, ma soprattutto mamma per caso; infine,
c’è la prova straordinaria di Nicole Garcia, madre fuori di testa, egocentrica
e inarrestabile. Anche la colonna sonora fa la sua parte: un pianoforte, ora
classico, ora jazz, sempre caloroso e sempre al momento giusto. Per quel che mi
riguarda, Claude Miller è uno di quei registi che fanno sempre centro. Eccone
un esempio che consiglio vivamente.
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