Alexandre è un mantenuto, dall'amante più grande di lui (la mamma del titolo), e contemporaneamente ama un'infermiera di origine polacca (la puttana del titolo).
le due si conoscono grazie ad Alexandre, e i/le tre protagonisti dormono anche insieme, una convivenza con qualche tensione.
Alexandre non fa niente, fa cose, vede gente, sentenzia, in fondo è solo, rimpiange la rivoluzione del 1968-69, si annoia, fa l'amore quando ne ha voglia, ma forse vorrebbe altro, che però non sa.
il maggio francese, ormai alle spalle, ha dato la libertà di fare l'amore, senza troppe regole e complimenti, di bere nei cafè, e di parlare, ma senza più l'azione.
la rivoluzione ha ripiegato, tutto è cambiato, ma tutto continuerà come prima, la rivoluzione è stata digerita, come tante cose.
il film, 217 minuti tutti necessari, fotografa il riflusso della rivoluzione, si può dire tutto, ma non sono cambiati i rapporti di classe.
e forse, direbbe Jean Eustache, e non solo lui, Alexandre c'est moi.
buona (imperdibile) visione - Ismaele
…La
grandezza del film sta nel far emergere questo clima "decadente" tra
le pieghe di particolari stati emozionali, di rappresentare il nulla facendocene
gradualmente percepire il senso. I suoi personaggi si delineano compiutamente
con lo scorrere della storia, come se le oltre tre ore di durata del film
rappresentassero per ognuno un percorso esistenziale da portare avanti fino
alle estreme conclusioni, mostrandosi nudi alla meta. Giungono a una tale
maturazione emotiva da indurre chi guarda a familiarizzare con loro, a
identificare le situazioni rappresentate come situazioni tipo e a riconoscerne
la ragionevole emblematicità contingente. Eustache usa i corpi per appagare
istinti e le parole per incunearsi nei dedali misteriosi del sentimento
amoroso, due linguaggi che viaggiano su vie parallele, che danno e tolgono
senso alla perdita di coordinate in atto fino al momento imprescindibile delle
scelte, quando i due percorsi si incrociano e bisogna cedere il passo alle voci
di dentro se non si vuol soccombere sotto il peso di una perenne
indeterminatezza. Un film davvero eccezionale, sulla vita, sulla politica e
sulla forza lenitrice dell'amore.
Un ottimo film dove la complessità è il vero valore aggiunto
ad ingredienti già di per sè interessanti, incentrato sull'arte del dialogo
(gli unici sfondi musicali sono dati dai dischi che i protagonisti fanno di
tanto in tanto girare) e sulla destrutturazione di quanto costruito in tema di
sessualità e rapporti di coppia nei freschi refoli del '68. Il riflusso di una
coppia apparentemente aperta, la seduzione di un abbozzato menage a trois, la
disperata ricerca finale di un senso all'amore ed al sesso (tra l'altro
trattato con una franchezza di linguaggio, anche per quei tempi rivoluzionari,
considerata audace). Un film dove le quasi 4 ore scorrono come un fiume in
piena, travolti da sguardi e parole, l'arte del cinema che sa regalare magia
con poche sapienti alchimie.
…è un imperdibile affresco sulla Parigi post-68 e sul ripiegamento su
se stessi subentrato alle lotte collettive dei tardi anni sessanta. Storia
della fine di un Narciso, diviso tra due donne, una più matura che lo accetta
nonostante tutto (la maman) e una più giovane che lo vampirizza (la putain), il
film si vale di uno Jean-Pierre Leaud strepitoso, che nel l'inizio di commedia
sembra rifare Antoine Doinel al quadrato, poi trova accenti via via più tragici
(bellissimo il monologo sul lancio dei lacrimogeni in un bar, alle 5 del
mattino, nel 1968). Un film di parola, con dialoghi e monologhi
mozzafiato, tutto ambientato in una Parigi in bianco e nero (più nero che
bianco). Tre ore e mezza che passano veloci anche se non succede quasi nulla.
Considerato uno dei più bei film francesi di tutti i tempi (al 12 posto secondo
una classifica stilata dai maggiori addetti ai lavori d'Oltralpe), sarebbe da
restaurare, e fare circolare di nuovo.
Non è escluso - anzi è probabile - che Nanni Moretti avesse in mente
il protagonista di questo film del 1973 (vincitore, tra l'altro, del premio
della giuria a Cannes) quando ha creato il suo Michelle Apicella un paio di
anni dopo.
Un film eccezionale, fugace e intenso
come solo i capolavori sanno esserlo. 3 ore e 30 minuti piacevolissimi nella
prima parte e scioccanti nel finale-resa dei conti. Eustache sembra filmare
alla Rohmer ma poi parte per la tangente e si allontana da ogni modello
raggiungendo vertici incredibili di realismo e profondità espressiva. La storia
che ruota intorno alla dimensione della donna nella società è orchestrata alla
perfezione, ti aspetti una love-story con fuga finale e invece hai un triangolo
amoroso, vuoi l'amore eterno e maledetto, lo hai sì maledetto ma reale, vivo,
pulsante. L'ultima ora claustrofobica (in contrapposizione con la prima più
ironica ed En plein air) è da antologia, come è impressionante il
monologo-summa e messaggio dell'autore di Veronika. Raramente si vedono opere
così intense e oneste. Eustache butta tutto se stesso in questo film e supera
la Nouvelle Vague, supera i suoi confini per andare oltre, verso qualcosa di
ancora più puro, più grande.
…Alexandre cannot quite choose between the mother-figure and the
whore-figure; he has got himself caught on the horns of the classical Freudian
dilemma. If the movie thought his choice was all that important, it would be a
disaster--but Eustache correctly sees that Alexandre’s real problem is terminal
immaturity, and that the women haven’t grown up, either.
“The Mother and the Whore” is a brilliantly written film, and the
performances are so good that, as I suggested, these aren’t Parisians but
people we know. The movie has been attacked on the grounds that it’s Eustache’s
statement on women, but that’s silly: It’s his statement on these three silly,
doomed, sometimes beautiful persons.
Paisaje después de la batalla. Los
personajes de La maman et la putain se nos presentan como
herederos de las revueltas de Mayo del 69, quizá protagonistas, en todo caso,
supervivientes de un movimiento del que Eustache nos muestra sus consecuencias
con una mirada en absoluto complaciente. El escenario es de devastación y
desconcierto: “Con la liberalización, esta especie de igualdad, las criadas,
las obreras, las burguesas… Son todas iguales, Al final no nos enteramos de
nada”, se lamenta en un momento del filme el amigo (Jacques Renard) de
Alexandre (Jean-Pierre Léaud). Los actos revolucionarios han
quedado reducidos a gestos tan inútiles como poco heroicos: robarle la silla de
ruedas a un inválido o ese colchón en el suelo del apartamento de Marie
(Bernadette Lafont) que subsiste como único elemento anti-burgués y desde el
que Alexandre lee las páginas de Le Monde y ve la televisión
con actitud mas bien poco contestataria…
Film bellissimo, nient'altro da aggiungere 😊
RispondiEliminahttps://www.fatamorganaweb.it/la-maman-et-la-putain-jean-eustache/
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