domenica 30 aprile 2023

La casa dei libri – Isabel Coixet

protagonisti del film sono i libri, una libreria in una piccola cittadina sul mare, e gli umani che ci girano intorno,

erano anni in cui i libri riuscivano ancora a scandalizzare, Lolita per esempio, e una piccola libreria diventava uncontropotere in una società chiusa e abbastanza schifosa.

il film non è un capolavoro, ma si fa voler bene.

buona (libresca) visione - Ismaele

 

 

QUI si può vedere il film completo, su Raiplay

 

 

Un film che sa ricostruire le atmosfere dell'epoca, le tipiche conversazioni affettate e quelle valenze sociali di un piccolo paese in cui tutti conoscono tutti. I personaggi e le loro passioni emergono a tutto tondo, aiutati da con un cast di attori valenti, fra cui spicca l'interpretazione di Bill Nighy (il misantropo e colto Will Brundish). Tratto da un romanzo di Penelope Fitzgerald e diretto da Isabelle Coixet, si costruisce un'opera minimalistica, gradevole e delicata, di cui ogni tanto il pubblico avrebbe bisogno.

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Alla linearità dell’intreccio si affianca una regia coerente: inquadrature terse, tendenzialmente statiche, simili a cornici centrate su sfarzosi interni o incantevoli paesaggi in cui si sviluppano puntuali dialettiche di campi e controcampi. Proprio nella conturbante fotografia di Jean-Claude Larrieu, costruita su un raffinato gioco di toni bruni, grigi e azzurri, risiede forse il maggior punto di forza del film. In quest’idea di regia classicheggiante, linda e simmetrica, spiccano con forza i volti e i gesti degli attori, che purtroppo non riescono ad infondere vita nei personaggi stereotipati disegnati dalla sceneggiatura, più simili a maschere che a individui reali: nell’immaginario villaggio di Hardborough (nomen omen), una linea netta divide buoni e cattivi, aiutanti e oppositori. I personaggi aderiscono insomma a funzioni palesate sin dalla prima sequenza, ribadite dalla voce narrante, cristallizzate in un manicheismo morale tanto nitido quanto implausibile. "La casa dei libri" vorrebbe forse essere la cronaca drammatica di un intimo eroismo, oppure una critica storica del filisteismo (o entrambe), ma in questa crisi d’identità filmica finisce per assomigliare paurosamente a un'elegia che vibra sulle note di un patetismo stucchevole. L’impressione è accentuata da alcune scene (malinconici dialoghi seguiti da malinconici abbracci sulla malinconica spiaggia) e dalla colonna sonora, eccessiva nella misura e inopportuna nelle scelte formali (ad esempio, il pianto accorato dei violini che duplica quello della protagonista).

Per contro, le intenzioni erano buone: "La casa dei libri" è un garbato omaggio alla letteratura e agli amanti dei libri. Coixet insiste soprattutto sulla lettura come pratica di emancipazione dalle convenzioni sociali, mettendo in risalto capolavori come "Fahrenheit 451" e "Lolita". Tuttavia, al film manca la carica eversiva che sembra invocare, e annega in un pantano di cliché audiovisivi e topoi narrativi che lo rendono prevedibile, impersonale, e in ultima analisi carente.

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Coixet adotta una regia pulita e ordinata che ben si sposa con il contegno così egregiamente british degli attori. La macchina da presa scivola languidamente sulle mensole degli scaffali, facendo scorrere un libro dopo l’altro, e riserva lo stesso trattamento ai personaggi. Ognuno di loro viene introdotto prima da lontano, dietro l'imperscrutabile cortina di sorrisi tirati e rigoroso understatement. Poi, a mano a mano che la storia si dipana, ecco che la silhouette di ciascuno prende forma e diventa “persona”, nel senso etimologico del termine, nel significato originario di "maschera". Perché in effetti ognuno di loro rappresenta un attore, una pedina da spostare in questo dramma ricamato, a regola d'arte, di inganni e tradimenti. 

Questo film è, a ben vedere, interamente costruito sui libri, e non solo perché si basa su un testo che nasce originariamente come fiction novel, ma perché è letteralmente popolato di libri, visivamente e semanticamente. I libri diventano, come suggerisce la voice-over in incipit, i mattoni e il cemento, le fondamenta su cui edificare la propria esistenza. Ci sono i grandi classici scritti da Jane AustenOscar WildeDickensKeats e Thackeray. Ma ci sono anche le novità, che, come ogni novità, quando arrivano rompono la quotidianità, suscitando scalpore. Libri che, nel tempo della storia (siamo il 1959) ebbero un impatto decisivo non solo sul panorama letterario dell’epoca e sull’arte dello scrivere, ma anche sull’opinione pubblica internazionale. Romanzi, soprattutto, come Fahrenheit 451 di Ray Bradbury e Lolita di Vladimir Nabokov, assunti come padri nobili del potere della letteratura, intesa come capacità di creare mondi alternativi alla realtà sia su carta che su pellicola.

La casa dei libri infatti porta avanti il significato più profondo di un testo che mette in guardia dal pericolo strisciante della censura, una caccia alle streghe che si alimenta nelle fiamme del rogo. Florence è la prima vittima di questa caccia alle streghe perché rappresenta la libertà di pensiero in carne ed ossa, lei che va avanti a testa alta nonostante tutto e tutti stiano cercando di ostacolare il suo sogno. Ed è esattamente la sua ostinazione ad innescare lo scandalo, come la vetrina tappezzata dalle copertine di Lolita. Un libro pubblicato più di sessant’anni fa e che tuttora non smette di far discutere. Un libro, soprattutto, che è riuscito ad aprire una breccia nella sonnolenza intellettuale e che di conseguenza è, ancor oggi, più che mai necessario. Non è forse questa, infatti, la missione ultima della letteratura?

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