Non ci sono film belli, non ci sono film brutti, non ci sono film riusciti, non ci sono film falliti. Ci sono le storie, solo le storie, semplici racconti che si raccontano con la macchina da presa, dunque con le immagini, delle volte con i corpi, spesso con il suono e assai di frequente con la musica. Cosa sia un film non è (ancora) un dato certo e incontrovertibile. Fintanto che non siamo in grado di capire il significato in apparenza casuale della nostra presenza nell’universo, fintanto che non siamo in grado di cogliere il significato stesso dell’universo, che dicono sia in continua espansione e denso di una materia incomprensibile che chiamiamo “oscura”, potremmo ipotizzare, per esempio, che i film siano dimensioni parallele da vivere attraverso l’esperienza della visione. Realtà virtuali accessibili tramite la tecnologia dell’emozione, del trasporto sentimentale, dell’empatia. I film sono storie, antenati diretti del teatro e delle forme “oscure” che l’hanno preceduto e anticipato milioni di anni fa. Siamo in fondo sempre dentro la stessa caverna, sempre pronti allo stupore delle fiamme delle torce. Torce di celluloide, digitali, di carta come un libro. Davanti a un film siamo il bambino che vuole che gli si racconti una storia, davanti a una serie siamo quello stesso bambino che vuole che gli si racconti ancora un’altra volta quella stessa storia che ama così tanto. Il cinema è raccontare una storia, il cinema è ascoltare una storia. Tutto il resto è un piccolo gioco di società al quale si potrebbe anche smettere di credere. Perché amiamo così tanto le storie? Forse per dimenticare tutto quello che non sappiamo, per credere con più tenacia all’oscurità che ci avvolge per miliardi di anni luce.
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