domenica 16 aprile 2023

Tras el cristal – Agusti Villaronga

un'opera prima strepitosa e terribile, intorno alla crudeltà verso i bambini.

un sadico nazista "vive" in un polmone d'acciaio, in una casa conla moglie e la figlia.

appare un giorno un ragazzo, che baderà al malato, e fino ad ora questa è la parte, per quanto terribile, più leggera rispetto alla seconda parte.

un signor film, con un finale a sorpresa.

buona (crudele) visione - Ismaele 



QUI il film completo, in spagnolo


 

Tras el cristal è il lungometraggio d’esordio con il quale il regista fornisce già una eccellente e matura prova di coraggio e di originalità: nonostante il tema trattato non sia dei più… diciamo così, “commestibili”, Villaronga è stato infatti capace di confezionare un film molto lucido nella sua follia distruttiva, senza mai indulgere ad eccessi di forma, interpretazioni sopra le righe, o forzature compiaciute. La storia, nerissima – e come si è visto particolarmente “sgradevole” - non  strizza mai l’occhio a nessuno (e a nessuno fa sconti). E’ lineare e composita al tempo stesso e mescola, dosandoli con destrezza e una assoluta padronanza del mezzo espressivo utilizzato, toni “bassi” da horror movie (mai “trash” però) a drammatici interrogativi “alti” che invitano a riflettere e meditare sulla fascinazione ineluttabile del male.
E’ probabilmente in assoluto, assieme a Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini (anche se meno esplicito nelle immagini rispetto a questo), uno dei  film più scioccanti mai apparsi al cinema (nonché uno di quelli in cui  il tema omosessuale viene sviluppato su un versante quanto mai delicato). Oggettivamente però, qui l’omosessualità indotta che è determinante  per gli accadimenti, non rappresenta il fulcro centrale di un genere che in ogni caso di abissi senza nome e senza soluzioni ne ha raccontati parecchi in questi anni, come possono benissimo testimoniare per esempio i disperati protagonisti di Spetters di Paul Verhoeven (1979) o il solitario “visitatore notturno” del più recente  Il fantasma di João Pedro Rodrigues (2000).
La vicenda in sé è straordinariamente forte – persino disturbante, voglio sottolineare nuovamente - e molte sono le  sequenze francamente insostenibili  più per la mente che per gli occhi, è bene intenderci, però, poichè salvo qualche momento “inevitabilmente” crudele anche per lo sguardo, ogni passaggio, anche il più scabroso, è risolto sempre con la stilizzata eleganza della forma che non consente cadute nel grandguignolesco, e tutto è ottenuto – anche l’insostenibilità dell’orrore - utilizzando un accorto ed eloquente linguaggio cinematografico. Credo che sia  proprio per questo che è capace di attrarre e avvince lo spettatore nonostante le sue malsane atmosfere (o forse proprio grazie a queste), poichè come dice Angelo, il giovane protagonista del film, l’orrore è come il peccato, e come questo ha anch’esso il suo fascino.
Indubbiamente comunque, poche altre volte si è visto sullo schermo con analoga impietosa franchezza, a quali aberranti  bassezze può scendere e arrivare la perversa cattiveria dell’uomo, peraltro concretizzata in questo caso nella più esecrabile fra le violenze: quella verso i bambini che ci viene mostrata senza filtri o simbologie, dispiegata cioè nella  malsana  aggressività con cui vengono devastati e distrutti – fisicamente e mentalmente - gli esseri più puri e innocenti dello scibile umano. La degradazione sistematica dei corpi come degenerazione dell’animo e del pensiero, dunque (così si potrebbe sintetizzare e concludere)…

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Glaciale, soffuso, visionario dramma esistenziale che sonda le torbide pulsioni dell'umana natura. Attraverso le psicologie dei protagonisti Villaronga indaga duramente nelle piaghe soffocanti di una vita segnata nel profondo e in contrapposizione rievoca ricordi malsani addizionando un senso indicibile di macabro, sete di vendetta, pazzia. Acuta riflessione sulla pedofilia, il rimpianto, l'importanza dei sentimenti. Sa colpire a fondo ma poche volte si compiace, anche quando si osa nella messinscena cupa e opprimente. Finale affascinante.

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De difícil clasificación, la ópera prima de Agustí de Villaronga, que tras su presentación en el Festival de Berlín, se convirtió en uno de los mayores escándalos de la historia del cine español, es una morbosa y singularmente explícita conjunción de film de terror y alegoría sociopolítica, cuya trama gira en torno al horror derivado de las técnicas de dominación y la enfermiza vulneración de la infancia, como periodo supuestamente feliz de la vida pero permanentemente necesitado de protección, donde las circunstancias de un criminal de guerra nazi tras la Segunda Guerra Mundial le llevan a acabar postrado en un pulmón artificial y atendido por un joven psicópata. Lástima que, a pesar de toda esta elegancia visual, Villaronga sólo consiga apuntar alguna idea dispersa sobre el tabú y el descenso al infierno humano.

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Tras el Cristal no es una película para recomendar su visionado al público general, no se trata de una experiencia que se recuerde con agrado. Pero si se trata de una obra reservada para los cinéfilos en búsqueda de experimentar un realismo puro y duro con temáticas prohibidas pero presentes en una sociedad decadente. Mucha gente tildará de “enfermos” a quienes deciden ver este tipo de obras, pasando por alto que lo enfermizo es la realidad que sirve de motor para largometrajes como este. El debut cinematográfico de Agustí Villaronga es sin lugar a dudas una de las películas más perturbadoras en la historia del séptimo arte.

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