…Benvenuti a Marwen è, come il suo
protagonista, un’opera di immensa fragilità: toccarla in modo grossolano,
avvicinarsi senza sensibilità, la porta a “scomparire”: il film richiede
un’aderenza emotiva, una disponibilità dello spettatore ad attraversare un
sentiero interiore quasi abbandonando lo spirito razionale. Solo in questo modo
è possibile vivere completamente il viaggio nel cuore e nel pensiero di Mark
Hogancamp, artista segnato da un trauma che permea ogni fibra del suo essere.
Zemeckis sa che l’esperienza traumatica è propria, in varie misure, di tutti
gli artisti (ma anche di chi il cinema lo ammira fino alle lacrime). Ed è
mirabile il modo in cui egli si adopera per aprirci un varco nel sentimento
turbato di Hogancamp.
Tutto il cinema ci parla di divario tra
sogno e realtà. La delicatezza di Benvenuti a Marwen risiede
nel tentativo, al limite dell’eroismo, di tradurre il divario in forme
letterali. Mark è un vero antieroe contemporaneo, l’emblema dell’uomo spezzato
dal reale, la cui via di fuga è una dimensione parallela in cui i dissidi si
compongono e la “favola” si compie. Marwen ci parla dello
spirito epico, dell’ambizione al mito che risiede in ogni animo umano.
Privato delle sue abilità fisiche quanto del ricordo, Mark è un uomo-bambino,
regredito ad una fase infantile e pulsionale (la sua ossessione per i seni).
Nella ricostruzione del suo immaginario egli riparte dalle strutture elementari
– un contesto fiabesco in cui rintracciare i rudimenti del rapporto col mondo e
le cose, in cui ciascun personaggio assume una funzione: i nemici, le donne di
Marwen, l’oggetto amoroso.
E’ fondamentale notare come nel
microcosmo fantastico creato da Mark la donna assuma una centralità
salvifica: “Le donne salveranno il mondo”.
Guerriera, protettrice, rifugio, creatura angelicata: il film di Zemeckis
analizza la pluralità di proiezioni della psiche maschile nei confronti del
femminile con una sincerità disarmante.
Benvenuti a Marwen affronta il proprio materiale oscuro, freudiano,
con una regia che effettua transizioni impercettibili tra reale e immaginario:
la chiave del film è la continuità tra i due mondi. Lo scivolamento nella
fantasia avviene sempre per mezzo della luce, o di piccoli spostamenti della
macchina da presa. Le due dimensioni sono tremule, perpetuamente protese alla
sovrapposizione. Il ritratto di Mark è commovente; Zemeckis fa affiorare tutto
il suo dolore nello scarto che lo rende perenemmente estraneo al presente.
Ma Benvenuti a Marwen è
anche uno strepitoso viaggio nel cinema, d’una bellezza da togliere il fiato.
Inutile dire quanto il cinema sia per Zemeckis ciò che il microcosmo di bambole
è per Mark; il regista allestisce la sua Marwen personale
fatta di citazioni, ricordi, sequenze impiantate per sempre nell’inconscio.
Nello straordinario prefinale che vede Mark affrontare il suo nemico, c’è un
triplice omaggio a Hitchcock: Vertigo, Io ti salverò e Intrigo Internazionale sono interlacciati in
un’unica, sensazionale sequenza; in più il regista ripercorre il proprio
passato, da Ritorno al Futuro ad Allied:
magnifici déjà vu in cui l’immagine
diventa elettrica, ricordo che si infiamma e torna alla vita.
Sensazioni travolgenti, tantissimo cinema che strazierà i cinefili, i sognatori,
tutti coloro che vivono sul limitare tra realtà e immaginazione, inseguendo un
mondo lontano dal dolore.
…Nel film, Zemeckis ha
scelto di animare a passo uno le creazioni del fotografo, facendole
continuamente interagire con la realtà, per evidenziarne le implicazioni
terapeutiche. L’impianto metaforico, va detto, è fin troppo scoperto, così come
tutto il discorso dell’auto citazionismo e dei giochetti meta al limite del
fanservice. Nel film compare pure un modellino della DeLorean volante, con
tanto di scie spaziotemporali residue, e la scelta di infilare nei panni del
protagonista e del suo alter ego in miniatura proprio Steve Carell fa un po’
blink-blink al tizio di 40 anni vergine fissato con le action figure.
Sempre volendo scassare, anche il ritmo non è proprio straordinario, e in
generale si passa con un po’ troppa facilità dalla trovata ganza alla cosa un
po’ meh.
Eppure, tutto il cast è davvero in vena, a cominciare proprio da un Carell
perfettamente a suo agio nel ritrarre un uomo afflitto da un trauma profondo e
dedito all’evitamento. Pizzicando le corde giuste, già dalle prime scene
l’attore riesce a fare intendere allo spettatore che non tutte le ambiguità e
le stramberie del protagonista sono frutto dell’aggressione…
Gran bel film, ho il DVD. So che esiste anche un soggetto sotto forma di documentario che racconta questa storia, la storia di un uomo privato della mente ma non della fantasia.
RispondiEliminaFilm da rivedere.
ho trovato anche quel documentario del 2010.
Eliminaa volte l'elaborazione del lutto o la vendetta è l'arte.