venerdì 10 giugno 2022

Dal Pianeta degli Umani - Giovanni Cioni

un film che parla di migranti, di vie di salvezza e di morte, di paradisi e inferni, nelle parole di Giovanni Cioni, voce narrante del film.

le immagini sono concentrate su un pezzo di eden fra l'Italia e la Francia, vicino a Mentone, dove Voronoff voleva allungare la vita dei ricchi annoiati europei, sacrificando scimmie africane.

il film è fatto con molte immagini del passato, a causa della pandemia, e miracolosamente riescono nell'obiettivo di descrivere un mondo di oggi che nasce da quello maledetto del colonialismo mai finito.

mentre si ammazzavano o riducevano in schiavitù giovani vite africane a milioni negli ultimi secoli, in quella fortezza Europa, che ancora non si chiamava così, Voronoff voleva allungare la vita di quelli che la troncavano a milioni di africani.

e nei civili paesi europei giravano dei circhi dove venivano esposti i diversi, i neri, per far credere a chi li visitava di essere superiore, buoni cittadini in patria, maledetti colonialisti e assassini in Africa, diversi film e romanzi affrontano questa vergogna.

oggi i nipoti e pronipoti di quegli schiavi e schiave, ammazzati dappertutto dai civili europei, muoiono cercando di arrivare in Europa, continente maledetto dell'orrore, ladro di vite passate e presenti.

i poveri migranti e le loro morti non si vedono, Giovanni Cioni ne parla nella sua storia, ne parla dicendo e facendo vedere quello che sembra altro, ma tutto è legato a tutto, chi guarda immagina e ne soffre.

buona (altra) visione - Ismaele


 

 

 

 

Cioni ha il merito di lasciarsi andare a un'empatia sensoriale con l'oggetto della propria analisi, assecondando il canto delle rane nelle cisterne, presenti oggi come allora, testimoni delle fragilità umane e del passaggio dei migranti. O ancora recuperando filmini di famiglia, girati sulle spiagge della riviera ligure di Ponente, in cui prevale il senso di un'apparente innocenza e la condivisione di momenti intimi e personali di individui che non potremo mai conoscere, spettri di un luogo senza tempo su cui sono stati tracciati confini che resistono all'evoluzione e al procedere della storia.

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Nei luoghi, nei suoni, nel silenzio, nella luce, nelle immagini che citano altre immagini il regista trova un filo rosso che segue, incuriosito, in un personalissimo diario che è seduzione visiva e parola recitata in un sussurro. In questo film meravigliosamente anarchico, dove anche le rane parlano, Cioni si muove magicamente dentro e fuori il reale sovrapponendo il proprio sguardo, a tratti, a quello di un alieno dell’era post-umana e ci mostra che questo pianeta è abitato da una specie forse crudele ma in ultimo fragilissima, condannata al sogno e al desiderio, e soprattutto destinata a restare imprigionata per sempre nello scarto incolmabile tra utopia e realtà.

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Questa sua nuova avventura testimoniale parte come esplorazione di un territorio nel presente e diventa il viaggio in un passato inquietante come un thriller, angosciante come un horror.  Il racconto è circolare: procede a ritroso per poi rimbalzare nella contemporaneità pandemica che “esiste, non esiste”. Al centro è il tema delle distorsioni della Storia che intrecciano quelle della frontiera, qui esemplificata nell’italo-francese di Ventimiglia, un varco intentato da migliaia di migranti, regolarmente bloccati e rispediti in un limbo atroce, tra il silenzio e l’indifferenza dei più.  Gli sciagurati, i cui nomi e le vicende il Narratore prova a riordinare nel suo testo lirico cadenzato in versi sciolti, vengono ingabbiati in cisterne come le scimmie che – rivela Cioni – negli anni Venti erano rinchiuse dal famigerato chirurgo russo-francese Serge Voronoff, sorta di Frankestein che trapiantava testicoli di scimmia negli uomini come “cura di ringiovanimento”.  Per questo divenne famoso, ricco, celebrato: creava mutanti oltre la frontiera della coscienza nella sua villa di Grimaldi che proprio sopra la frontiera giaceva…

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Cioni si muove tra tutte queste suggestioni. Le tocca e le trattiene appena in una forma che è una sovrapposizione di significati e che si espande nella molteplicità delle derive. Le immagini si offuscano, di sdoppiano e perdono i contorni, sono sottoposte alla vibrazione dei suoni e delle musiche, si tramutano in vecchie pellicole graffiate, in frammenti di citazioni cinematografiche, reperti d’epoca, di Stato o di famiglia. I film di Cioni assomigliano sempre più a un deposito, sembrano coperti da un velo di polvere, come caverne che nascondono passaggi segreti e tesori nascosti. Senti che la riflessione e la teoria si inabissano in strati più profondi, in una dimensione da cui scaturiscono la poesia e la visione e tutti i simboli della trasformazione. E il concetto stesso di documentario perde la sua definizione, la sicurezza del dato oggettivo, per diventare un racconto avventuroso o, forse, una pratica esoterica, come il cinema tutto. Un viaggio di esplorazione oltre le colonne d’Ercole, tra le onde del mare, tra la vita e la morte. Ma quale vita, quale morte? Quante volte si muore e si rinasce in una vita? Le due cose non sono poi così diverse nel pendolo che oscilla tra la notte e il giorno.

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Cioni immagina Dal pianeta degli Umani come una fiaba distopica raccontata da un fantomatico pianeta, il nostro, eppure tutto è ben reale nel suo film.

La voce in off del regista, che accompagna e commenta con una leggera intonazione musicale il flusso delle immagini, tesse un dialogo costante con questo luogo singolare, dimora famosa ma anche punto di passaggio verso il Passo della Morte, un cammino ripido e pericoloso, che tutt’ora uomini e donne in fuga imboccano nella speranza di arrivare in Francia. Cioni, che ha  cercato in passato di aiutare dei clandestini a varcare il confine, filma questi luoghi con vibrante sensibilità. Le immagini leggermente mosse e fluide si fissano sui resti lasciati dai migranti; vestiti abbandonati, un libro, oggetti sparsi, testimoni muti di una tragedia senza fine. Alternativamente la cinepresa prende il largo; il blu del mare filmato in slow motion invade lo schermo per aprire lo spazio ad altre visioni, venute dal passato.

Immagini storiche, materiali di archivio, spezzoni di film celebri degli anni venti come King Kong, riprese di esperimenti, di animali e film di famiglia compongono l’impressionante affresco epocale del film.

Con un estro poetico e un rigore intellettuale singolare Cioni lavora la sua densissima materia narrativa diluendo l’epopea di Voronoff in un universo mirabolante dove il regno animale si mischia e s’interesse costantemente con il mondo umano offrendo ampi spunti di riflessione sulla natura, sulla storia e sul sempiterno ciclo di vita e morte.

Le rane che popolavano ai tempi di Voronoff le cisterne della sua famosa Villa, resuscitano sulla banda sonora del film commentando con il loro gracidio, come il coro di una tragedia, la stoltezza degli atti umani.  In un’atmosfera sempre più allucinatoria, anche le scimmie che il medico aveva fatto venire dall’Africa e che allevava in grandi gabbie nel giardino per sue operazioni, affiorano dalle immagini di repertorio con una vitalità prodigiosa creando un vero e proprio corto circuito. Il trattamento riservato alle popolazioni autoctone in epoca coloniale era poi cosi diverso da quello con cui si trattavano le scimmie, si domanda Cioni, mentre sullo schermo appaiono le immagini sbiadite di una tribù ammassata dietro un recinto che sembra una gabbia?...

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Cioni ha il merito di lasciarsi andare a un'empatia sensoriale con l'oggetto della propria analisi, assecondando il canto delle rane nelle cisterne, presenti oggi come allora, testimoni delle fragilità umane e del passaggio dei migranti. O ancora recuperando filmini di famiglia, girati sulle spiagge della riviera ligure di Ponente, in cui prevale il senso di un'apparente innocenza e la condivisione di momenti intimi e personali di individui che non potremo mai conoscere, spettri di un luogo senza tempo su cui sono stati tracciati confini che resistono all'evoluzione e al procedere della storia.

Cioni fa fronte ai limiti imposti dalla situazione pandemica in cui ha lavorato, trasformandoli in opportunità e mettendosi in gioco, in un percorso di libere associazioni guidato dalla propria intuizione e, fatto inedito nel suo cinema, dalla propria voce. Il timbro di Cioni narratore diviene una litania erratica, che ritorna sui medesimi temi osservandoli da diverse angolazioni, innamorandosi delle parole, cullato dai suoni di Emmanuel de Boissieu e Saverio Damiani.

Dal pianeta degli umani diviene così opera onirica ma profondamente radicata in un'attualità sconfortante, storia di fantasmi dove lo spettro è l'insopprimibile tendenza dell'uomo a violare la propria natura per inseguire la vanità. Un mantra di disillusione e malinconico sconforto per le magnifiche sorti e progressive dell'uomo, che trova adeguato controcanto solo nell'incessante e ripetitivo gracidio delle rane.

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