venerdì 17 giugno 2022

Faces – John Cassevetes

grande regista per grandi attori in un grande film.

siamo nel 1968, nel paese più potente del modo, è un film di e su rapporti umana.

la ricchezza c'è e si vede, e le crisi umane deflagrano.

un film diviso in pezzi, una prostituta dal cuore d'oro spezza il cuore di un riccastro in crisi coniugale, un gigolo accompagna alcune mogli a casa, persone che si perdono e non si trovano più come erano prima.

un gioiellino al quale resti incollato ogni secondo, da non perdere - Ismaele


 

 

 

 

qui o qui il film completo, in inglese

 

 

 

Chiaro che l’obiettivo, assai avanguardistico (allora) e assai seducente per chi lo persegue, è, ancora una volta – come già nel neorealismo, e nella Nouvelle Vague più radicale -, quello di catturare la realtà nel suo farsi, di distruggere ogni filtro che si frappone tra ciò che è e la sua rappresentazione. Ennesimo sogno di un cinema verità depurato, mondato e riscattato da ogni finzione. Illusione, generosa illusione, come sappiamo molto bene, l’illusione eterna di ogni verismo e realismo, ma sempre capace di generare nuovi credenti, in chi la pratica e in chi vi assiste da spettatore o lettore. Qui poi, negli anni Sessanta, siano in piena temperie modernista per quanto riguarda le arti (e i costumi, e i consumi, e gli stili e gli stili di vita), e in Faces (come peraltro in molto Antonioni dello stesso periodo, vedi Il deserto rosso) c’è una sorta di furore iconoclasta, o per meglio dire antifigurativo, in cui lo spazio schermico e ciò che lo invade vengono sottoposti a un processo di astrazione. Immagini che rimandano a se stesse e irrelate, autonomizzate e liberate da ogni obbligo narrativo o solo di significato. Scomposizione cubista, e un racconto destrutturato e ridotto a anarchico flusso e/o montaggio di momenti singoli, isolati. Ancora una volta, il jazz come feticcio, come riferimento e modello compositivo e scompositivo. Ecco, quest’impeto così anni Sessanta oggi ci pare lontano e superato, o quantomeno assestato e storicizzato. Resta quel furore di cogliere la realtà, di inseguirla, di perseguitarla quasi, trasformando la figura del regista e la sua macchina da presa in stalker ossessivi e ossessionati dal loro oggetto, qualcosa che è assai attuale, qualcosa che nel cinema di oggi si incarna in decine e decine di film di giovani registi di ogni angolo del mondo girati con la handycam, macchina a mano o in spalla a braccare i personaggi. Davvero, John Cassavetes, questo Cassavetes di Faces soprattutto, è uno dei loro padri, e loro semplicemente non ci sarebbero senza di lui e il suo cinema. Quel che qui racconta – sì, perché nonostante ogni proclama e ogni apparente pratica di non-finzione il racconto c’è eccome -, è una crisi di un matrimonio…

da qui

 

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