grande regista per grandi attori in un grande film.
siamo nel 1968, nel paese più potente del modo, è un film di e su rapporti umana.
la ricchezza c'è e si vede, e le crisi umane deflagrano.
un film diviso in pezzi, una prostituta dal cuore d'oro spezza il cuore di un riccastro in crisi coniugale, un gigolo accompagna alcune mogli a casa, persone che si perdono e non si trovano più come erano prima.
un gioiellino al quale resti incollato ogni secondo, da non perdere - Ismaele
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il film completo, in inglese
…Chiaro che l’obiettivo, assai avanguardistico (allora)
e assai seducente per chi lo persegue, è, ancora una volta – come già nel
neorealismo, e nella Nouvelle Vague più radicale -, quello di catturare la
realtà nel suo farsi, di distruggere ogni filtro che si frappone tra ciò che è
e la sua rappresentazione. Ennesimo sogno di un cinema verità depurato, mondato
e riscattato da ogni finzione. Illusione, generosa illusione, come sappiamo
molto bene, l’illusione eterna di ogni verismo e realismo, ma sempre capace di
generare nuovi credenti, in chi la pratica e in chi vi assiste da spettatore o
lettore. Qui poi, negli anni Sessanta, siano in piena temperie modernista per
quanto riguarda le arti (e i costumi, e i consumi, e gli stili e gli stili di
vita), e in Faces (come peraltro in molto Antonioni dello
stesso periodo, vedi Il deserto rosso) c’è una sorta di furore iconoclasta, o per meglio dire
antifigurativo, in cui lo spazio schermico e ciò che lo invade vengono
sottoposti a un processo di astrazione. Immagini che rimandano a se stesse e
irrelate, autonomizzate e liberate da ogni obbligo narrativo o solo di
significato. Scomposizione cubista, e un racconto destrutturato e ridotto a
anarchico flusso e/o montaggio di momenti singoli, isolati. Ancora una volta, il
jazz come feticcio, come riferimento e modello compositivo e scompositivo.
Ecco, quest’impeto così anni Sessanta oggi ci pare lontano e superato, o
quantomeno assestato e storicizzato. Resta quel furore di cogliere la realtà,
di inseguirla, di perseguitarla quasi, trasformando la figura del regista e la
sua macchina da presa in stalker ossessivi e ossessionati dal loro oggetto,
qualcosa che è assai attuale, qualcosa che nel cinema di oggi si incarna in
decine e decine di film di giovani registi di ogni angolo del mondo girati con
la handycam, macchina a mano o in spalla a braccare i personaggi. Davvero, John
Cassavetes, questo Cassavetes di Faces soprattutto, è uno dei loro padri, e loro
semplicemente non ci sarebbero senza di lui e il suo cinema. Quel che qui
racconta – sì, perché nonostante ogni proclama e ogni apparente pratica di
non-finzione il racconto c’è eccome -, è una crisi di un matrimonio…
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