Kirk Douglas riuscì a fare tante cose ottime con questo film, la prima fu quella di togliere dalla lista nera Dalton Trumbo e dargli tutta la dignità che meritava, affanculo il maccartismo.
e poi c'è il film, Kirk Douglas scelse attori, regista, storia e ne fece un capolavoro.
vedere per credere.
buona (spartachista) visione - Ismaele
…Il progetto è fortemente voluto da Kirk Douglas, che
ricopre anche il ruolo di executive producer e di
conseguenza mantiene un certo controllo e influenza sul processo produttivo,
una situazione che chiaramente ha il suo peso specifico nell’economia
dell’omaggio da parte nostra.
Quello dell’attore è un divismo funzionale al progetto,
quasi salutare, per niente deleterio, un’ambizione feroce ma costruttiva,
intelligente, sempre lucida, che finisce per decretare il successo del film; la
sua forte personalità è un plus non un limite, non è casuale, ad esempio, che
il buon Kirk decida di attorniarsi di un cast enorme (a
cui furbamente presenta script diversi enfatizzando, a
seconda dei casi, il personaggio dell’attore contattato), puntando sulla sana
competizione tra attori di primissimo livello che in pratica fanno a gara di
bravura, lasciando agli illustri colleghi ampio spazio di manovra, cosa che di
certo non farebbe un attore vittima del proprio ego.
Spartacus arriva sul grande schermo seguendo una
serie di ispirazioni a catena. Il vero Spartaco era un gladiatore e
condottiero trace che, nel 73 a.c., guidò la rivolta di schiavi conosciuta come
la terza guerra servile, la più dura tra quelle simili affrontate da Roma. Alle
sue gesta si ispira lo scrittore statunitense Howard Fast il
quale, nel 1951, scrive l’omonimo romanzo. Kirk Douglas si fionda sul
manoscritto come vendetta per uno sgarbo ricevuto; l’attore, infatti, si era
proposto come protagonista nel kolossal Ben-Hur, ricevendo
un rifiuto da parte della produzione (che lo avrebbe preferito nel ruolo del
tribuno romano Messala); da qui la voglia di competere col film di William
Wyler imbastendo il proprio kolossal personale.
Per fare questo ingaggia lo sceneggiatore
Dalton Trumbo, incaricandolo di elaborare un copione partendo dal
romanzo di Fast; una scelta coraggiosa e controcorrente, sicuramente scomoda
considerando che Trumbo era finito sulla lista nera del senatore Joseph
McCarthy in quanto sospettato di filocomunismo.
L’autore inizia a lavorarci sotto falso nome e sarà poi
ancora Kirk Douglas a chiedere di inserirlo ufficialmente nei credits, ponendo
fine di fatto alla caccia alle streghe maccartista – e ci ricolleghiamo a quel
lato giusto e idealista di cui parlavamo in precedenza.
L’attore/produttore ingaggia inizialmente il regista Anthony Mann,
salvo licenziarlo in breve tempo (pare avesse girato solo le scene alla miniera
di sale) e sostituirlo con Stanley Kubrick, con cui aveva lavorato (e bene) in
occasione del bellissimo Paths of Glory (Orizzonti di
Gloria) del 1954.
Douglas riteneva Mann troppo docile, specie per gestire un
cast così importante; gli aveva dato l’impressione di essere quasi intimorito
dalla portata del ‘progetto Spartacus’; avrà comunque modo di fare pace col
regista a cui chiederà di dirigere Gli Eroi di Telemark nel
1965.
Douglas, Kubrick e Trumbo elevano il concetto
di peplum attraverso un film che unisce il
lato epico avventuroso a una messa in scena sontuosa e contenuti di rilievo. La
storia di Spartacus è un manifesto alla lotta di classe, all’uguaglianza
sociale. Pone in cattiva luce il potente, focalizzandosi sul riscatto del
debole. Ideali, giustizia, dignità umana sono solo alcuni dei temi toccati
dalla pellicola.
Motivi per cui, alla sua uscita, il film venne
tacciato di essere ‘socialmente pericoloso’, con annessa campagna
diffamatoria intenta a boicottarlo (ad esempio John Wayne,
per dirne uno di peso, non lo appoggia perché lo ritiene troppo lontano dalla
sua ideologia politica), situazione poi crollata dopo la spallata del
presidente John Fitzgerald Kennedy, che non solo andò a
vedere Spartacus al cinema, ma si dichiarò anche entusiasta a fine visione.
Spartaco nasce schiavo, rude e tenace, quasi animalesco –
come dimostra il morso alla guardia nel prologo. La sua è una
lenta evoluzione, un personaggio che si arricchisce in corso d’opera,
da semplice gladiatore a leader di una vera e propria popolazione. Un graduale
acquisire consapevolezza e presa sulla sua gente, attraverso lealtà e valori
portanti. Il desiderio di libertà motore di una causa che va oltre il singolo
individuo, l’uomo che lotta per i propri diritti e la propria dignità.
Dal campo di addestramento dove i gladiatori (e gli attori)
vengono sottoposti ad un duro allenamento, un luogo in cui un taciturno
Spartaco lascia intravedere il suo essere ed i suoi princìpi, come quando non
vuole approfittare di Varinia (destinata a diventare la donna della sua vita) o
accetta con palese riluttanza lo scontro con un compagno che, non a caso,
finisce per batterlo. Sarà la successiva morte di Draba la scintilla scatenante
della sua breve ma incisiva epopea, nata da una rivolta sanguinosa in cui il
primo a rimetterci la vita è Marcello, ex gladiatore divenuto astioso
addestratore, interpretato da Charles McGraw, che nello
scontro con Kirk Douglas si frattura sul serio la mascella.
Inizia un lungo viaggio fatto di vittorie e soddisfazioni,
ma anche di difficoltà, in cui non mancano momenti toccanti come la morte di
bambini che non sopravvivono alle condizioni impervie. Tappa dopo tappa, il
nostro eroe crea un legame indissolubile col suo popolo, in cui combattono
anche donne ed anziani e che supporta ogni sua decisione con assoluta dedizione
(ed evidente convinzione), fino a uno dei momenti emotivamente più intensi (il
famoso “io sono Spartaco” collettivo) con una lacrima densa di significato che
solca il volto del tostissimo protagonista. Una performance,
quella di Kirk Douglas, perfetta, anima e corpo nel personaggio.
A cominciare dall’aspetto col quel mento importante,
l’abbronzatura, una condizione fisica di tutto rispetto, roba che lo trovi figo
persino con quel codino (a inizio film) tanto di moda oggigiorno e che
normalmente ti farebbe malmenare chi lo indossa, compreso Cristiano Ronaldo e
la sua pettinatura modello sacchetto dell’indifferenziata. L’interpretazione è
intensa, decisa, risoluta; il suo Spartaco parla poco ma lo fa sempre in
maniera perentoria, sfida il potere (significativo quando spezza il bastone del
senato), un uomo passionale come il suo interprete, mostra con trasporto ogni
suo stato d’animo. Lo schiavo che non teme la morte, piuttosto la vede come una
forma di libertà dopo una vita in cui ha costantemente sofferto.
Nello schieramento di Spartaco si mettono in luce Varinia e
Antonino, interpretati rispettivamente da Jean Simmons ed Anthony
Curtis. Il ruolo di Varinia era stato offerto senza successo a Ingrid
Bergman, Jeanne Moreau ed Elsa Martinelli, per poi essere affidato
a Sabine Bethmann, che il subentrante Stanley Kubrick
decise di sostituire con la Simmons; l’attrice inglese contribuisce con una
bellezza elegante, nei panni di una donna determinata, che conserva sempre il
proprio onore.
Curtis ha un personaggio interessante, una spalla discreta,
poco appariscente; un uomo di arte e cultura che cerca un riscatto personale
prendendo parte attivamente alla rivolta degli schiavi. Antonino che, tra
l’altro, compare in due delle sequenze più impattanti di Spartacus; la prima è
quella del bagno con Crasso, con chiari riferimenti omosessuali (audacissimi
per l’epoca), una scena che fu addirittura tagliata dalla censura per essere
poi essere reinserita dopo il restauro curato da Robert A. Harris nel 1991 –
non essendo possibile recuperare il sonoro originale, Curtis riprese il suo
ruolo, mentre Anthony Hopkins doppiò Crasso, visto
che Laurence Olivier era scomparso due anni prima.
L’altra scena è il duello finale con Spartaco, in cui i due sono costretti a
combattere loro malgrado, uno scontro paradossale in cui uno cerca di uccidere
l’altro come atto di amore, risparmiandogli così la crocifissione.
La trama di Spartacus poggia su una scelta
riuscita, quella di alternare le vicende dei ribelli a quelle di un
senato romano stabile come una polveriera. Un’alternanza più o meno regolare
che aiuta il meccanismo narrativo che poteva soffrire una durata corposa (197
minuti), aggiungendo pepe alla trama. Un covo di serpi, tra complotti
e strategie, non ci sono romani buoni e cattivi, semplicemente ce ne sono
alcuni meno peggio di altri, con le carte che si scoprono solo in corso
d’opera.
Emblemi espliciti di una società estremamente macchinosa e
corrotta. Ruoli di punta che vanno ad interpreti di rilievo, Kirk Douglas pesca
ancora in Inghilterra un tris d’assi che può solo elevare un film di questo
tipo. A cominciare da Laurence Olivier (truccato con un naso finto) a cui va la
parte di Crasso, subdolo e ambiguo, sostenitore della dittatura, affamato di
potere ed ossessionato da Spartaco con cui arriva ad un duro confronto in cui
reagisce con uno schiaffo ad una provocazione ricevendo in cambio uno sputo
ricco di sdegno.
Charles Laughton è
Sempronio Gracco, abilissimo nei giochi di potere, si rivelerà magnanimo
aprendo uno spiraglio di speranza in un finale doloroso. Peter
Ustinov porta a casa un Oscar (come Migliore attore non
protagonista, unico a riuscirci in un film di Stanley Kubrick) interpretando
Lentulo Batiato, ricco proprietario di gladiatori della rinomata scuola di
Capua, personaggio che subisce una interessante evoluzione nell’arco della
storia, riscoprendo dignità e spina dorsale. Nel cast anche Herbert
Lom nei panni del pirata Tigrane Levantino, John
Gavin in quelli di Giulio Cesare (ruolo che il regista avrebbe
voluto espandere), mentre John Dall è il vigliacco
Marco Publio Gabrio, che arriva a fingersi morto pur di scampare il pericolo;
particina non accreditata (un soldato romano) per un giovane Gary
Lockwood.
Veniamo finalmente al manico, quello Stanley Kubrick di cui
accennavamo in apertura e che di certo non è un nome come un altro. Come detto,
Spartacus non è tra i film a cui il regista era più legato, non che avesse
avuto veri e propri scontri o rinnegato il suo lavoro, semplicemente ne
conservava un ricordo meno forte, sentiva il prodotto non suo, per il suo modo
di concepire un’opera in maniera estremamente personale e viscerale, cosa che
con Spartacus non aveva potuto fare a 360 gradi dovendo condividere il timone
con Kirk Douglas (e la sua personalità) che, in qualità anche di produttore,
aveva in mente linee guida ben precise.
Stanley Kubrick avrebbe voluto l’ultima parola
sulla sceneggiatura, così come su altre questioni. Questo non
significa che il filmmaker non abbia avuto modo di incidere
e di lasciare il segno in un film che non merita meno considerazione. La sua
mano è evidente, la direzione è precisa, la gestione di set imponenti e una
quantità imprecisata di figuranti. Il numero di primi piani richiesti da Kirk
Douglas è un dazio accettabile rispetto ad alcune sequenze sicuramente
memorabili. La splendida battaglia finale, ad esempio, un
crescendo di tensione in cui il regista coordina una spettacolare scena di
ampissimo respiro con migliaia di comparse, tra cui circa
8.000 soldati di fanteria ottenuti da Douglas mediante un accordo a buon
mercato con Franco e l’esercito spagnolo.
La resa delle manovre tattiche dell’esercito romano è
eccellente, una lenta introduzione con l’avanzare delle coorti (ottimo anche il
gioco di montaggio per moltiplicare le comparse) che porta al contrattacco
degli schiavi ed uno scontro di grande portata in cui spiccano momenti di
violenza come persone arse vive o barbaramente mutilate. Stanley Kubrick chiese
di costruire sul serio il campo di addestramento per gladiatori, in cui 187
stuntmen e svariati attori capeggiati da Kirk Douglas si
allenarono duramente per settimane con lo scopo di risultare credibili sullo
schermo nei momenti di battaglia.
Il film è stato girato utilizzando il formato Super70
Technirama da 35 mm, poi ingrandito fino a 70mm; una modifica voluta dal
regista, che ha preferito servirsi del formato sferico standard per ottenere
una definizione molto alta e catturare adeguatamente le grandi riprese
panoramiche. Il regista, inoltre, ha potuto contare su un comparto tecnico di
prim’ordine che porta a casa gli altri tre Oscar di Spartacus, ovvero la
fotografia di Russell Metty (in realtà, è in gran
parte merito di Stanley Kubrick, che ha girato in prima persona esonerando
spesso Metty, il quale era arrivato a chiedere l’esclusione dai credits), i
costumi di Bill Thomas e le scenografie di Alexander
Golitzen, Eric Orbom, Russell A. Gausman e Julia Heron. Nota di merito
per i titoli di testa dal taglio moderno opera di Saul Bass, 3 minuti e mezzo
di opening credits leggermente tagliati rispetto ai cinque
inizialmente previsti.
Le riprese si sono tenute tra gennaio e luglio del 1959,
localizzate tra Spagna e California. Spartacus arriva nelle sale statunitensi
il 6 ottobre del 1960 per poi giungere in quelle italiane il successivo 7
dicembre. Dopo 60 anni, Spartacus si conferma un classico di livello. Merito di
uno sceneggiatore ispirato, un regista di spessore, un cast di talenti. E di un
personaggio protagonista entrato nei libri di storia quanto il suo interprete
in quella del cinema.
…Perhaps the most interesting element of
“Spartacus” is its buried political assumptions. The movie is about revolution,
and clearly reflects the decadence of the parasitical upper classes and the
superior moral fiber of the slaves. But at the end, Spartacus, like Jesus, dies
on the cross. In the final scene, his wife stands beneath him and holds up
their child, saying “He will live as a free man, Spartacus.” Yes, but the
baby’s freedom was granted him not as its right, but because of the benevolence
of the soft-hearted old Gracchus. Today, that wouldn’t be good enough.
… El elenco de actores en esta película es
impresionante: Laurence Olivier, Peter Ustinov, Charles Laughton, Jean
Simmons, Tony Curtis… Una curiosidad sobre el reparto es que los romanos
lo interpretaron actores ingleses y los esclavos, actores americanos, que en
versión original es donde de verdad tiene sentido pues querían que los romanos
tuvieran una pronunciación exquisita y los esclavos un poco más ruda, más
llano, diferenciado de esa manera las clases sociales.
La película tuvo muchas escenas mutiladas por culpa de la
censura siendo la más célebre de ellas la escena de los baños en la que Craso (Laurence
Olivier) trata de convencer a su esclavo Antonino (Tony
Curtis) para mantener una relación homosexual usando para ello la
analogía de comer ostras y comer caracoles.
Evidentemente, esta escena fue eliminada de inmediato antes de su estreno.
Cuando en 1991 la película fue restaurada, encontraron esta escena y decidieron
incluirla en la cinta pero no estaba el audio original por lo que tuvo que
redoblarse de nuevo. La parte del diálogo de Tony Curtis se
pudo hacer ya que el actor aún seguía vivo pero, en el caso de Laurence
Olivier, quien ya había muerto hacía dos años, hizo falta que alguien
doblase su parte… ¿Sabéis quién fue? Nada más y nada
menos que Anthony Hopkins ya que según la mujer de Olivier, era el actor que
mejor imitaba a su difunto marido.
Para terminar, os recomiendo que leáis un libro que es
muy entretenido y que cuenta con todo lujo de detalles todo el drama que tuvo
lugar durante el rodaje de esta maravillosa película: YO SOY
ESPARTACO, escrito por Kirk Douglas y con
prólogo de George Clooney. Es una joya.
En conclusión, estamos ante una de las mejores películas
de la historia del cine que consiguió poner fin a las listas negras de
Hollywood y salir airosa del encuentro, ganando nada menos que de cuatro Oscars
de la academia: mejor actor secundario (Peter Ustinov),
fotografía, vestuario y dirección artística. Con unos actores en estado de
gracias y un Kubrick que, a pesar de renegar de esta
película porque no le dejaron hacer lo que le daba la gana, es innegable que
consiguió hacer una película de las más destacables de su carrera.
https://www.accioncine.es/blogs/cajon-de-lawrence/6042-espartaco
un classico, girato su commissione, ma un classico nientìaltro da aggiungere
RispondiEliminanient'altro da aggiungere
RispondiEliminafossero tutte così le commissioni :)
RispondiEliminagià, ma sappiamo chi c'è dietro la mdp no? Quel grandissimo genio che risponde al nome di Stanley Kubrick
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