Felice dopo quarant'anni torna a Napoli, dalla mamma Teresa e sopratutto per incontrare Oreste, un amico delinquente dell'adolescenza, ormai un boss temuto e spietato.
a parte alcune domande, come il troppo tempo senza vedere la mamma, se ci si fa prendere per mano dal regista e da Felice il film ha una sua logica.
l'incontro con la mamma Teresa (interpretata da Aurora Quattrocchi, già vista in tanti film, sempre vecchietta), ormai alla fine della vita, è tornata bambina, bisognosa di cure come i bambini, è la prima delle due ragioni del viaggio.
la seconda ragione è l'incontro con Oreste, cattivo e latitante, l'amico di quando erano ragazzi, inseparabili e senza paura, sopratutto Oreste, in un posto dove la violenza era ed è magistra vitae.
Felice ha bisogno di chiudere una ferita aperta e sanguinante da troppi anni, e sembra riuscire a trovare una pace interiore.
Felice ridiventa un napoletano, da turco-napoletano o egiziano-napoletano che era all'inizio del film, ha comprato casa, aspetta la moglie egiziana, i suoi fantasmi sono spariti, apparentemente.
non sarà perfetto, in certi momenti Felice sembra un flâneur, ma è un film che merita sicuramente - Ismaele
…Martone racconta (ancora una volta, come in tutta la sua carriera) la sua
Napoli e basterebbe solo quella a far grande il film.
Siamo nel Rione Sanità, uno dei quartieri più popolari e degradati della
città (malgrado mi hanno raccontato come, in realtà, questo rione nacque come
polo borghese e nobiliare).
E' una Napoli "vecchia", bellissima, fatta di viuzze, mercatini,
murales.
Soprattutto nei primissimi minuti del film Martone sfrutta il suo
personaggio per aggirarsi in questi vicoli e in mezzo a queste persone (curioso
come Felice, probabilmente solo per l'abbigliamento, venga preso sin da subito
come uno "di fuori", vedere ad esempio il cameriere che gli fa
domande in inglese) facendo calare lo spettatore sin da subito in un contesto
tanto affascinante quanto "nervoso" e "stretto", un
contesto in cui il personaggio di Felice ci sembra continuamente fuori posto.
In realtà Felice, e questo è un aspetto talmente importante del film da
ricavarci fuori quasi una tematica, si sente completamente a suo agio.
La sua felicità ed emozione nell'essere ripiombato (senza che fosse mai
tornato prima) nella sua città natale sono talmente forti da nascondere tutto
il resto.
E questo sarà il mood, quasi commovente, dell'intero film, ovvero quello di
un 55enne che, appena messo piede a Napoli, torna il 15 enne di allora.
E tutto per lui è bello, e tutto è "facile", e tutto può essere
risolto col sorriso.
In realtà tutto ora è diverso, Felice si ritrova invischiato in una storia
criminosa, tutti provano a dirgli di andarsene (un pò come Capuano al giovane
Sorrentino in E' stata la mano di Dio, film che più volte mi è tornato in mente
qua) ma lui non si rende assolutamente conto di quello che sta accadendo, come
se rifiutasse la vita adulta (o quantomeno rifiutasse il sè adulto di adesso a
Napoli).
Lui è ripiombato nei suoi ricordi, lui non ha vissuto quei 40 anni di Rione
Sanità.
E l'errore più grande che farà è pensare che il tempo si sia fermato, che
quello che si era un tempo si è anche adesso…
…Nostalgia è tante cose: una tragedia greca, un
western, un road-movie, forse persino una love story fra due ex amici che non
si vedono da una vita. Ma la cosa importante è ciò che NON È. Non è una puntata
apocrifa di “Gomorra”. Non è un’indagine sulla camorra di oggi o di
ieri. Non è un instant movie legato alla cronaca, anche se Rea si ispira a una storia vera.
È, semmai, un cripto-documentario
sulla Sanità, in ossequio a una vecchia idea
di Martone secondo la quale in ogni film di
finzione si nasconde un documentario (e viceversa). Ma non sulla Sanità della cronaca e della sociologia,
bensì sui misteri che questo quartiere nasconde e che sono legati a quelle
caverne pieni di teschi, alla città dei morti sulla quale sorge la città dei
vivi.
…
Napoli e l’incanto di una seduzione magnetica e pericolosa. È la madre, la
memoria, il passato incarnato, la promessa di qualcosa al tempo stesso vecchio
e nuovo. Mario Martone con Nostalgia racconta
una città, un sentimento, uno stato mentale, fa la cronaca del tempo perduto,
chissà poi se ritrovato. La dialettica tra passato e presente si risolve in un
tempo della storia che è un tempo ibrido, e non può essere altrimenti. È Napoli
che detta le coordinate, ieri e oggi mescolati nel ventre di una città che
coltiva e custodisce un rapporto con la morte e la vita aperto e spiazzante. Le
catacombe e i bassi non sono geograficamente un sopra e un sotto, ma due strati
sovrapponibili di una realtà complessa come l’esistenza.
Napoli è l’incrocio di passato e presente, bene e male,
vita e morte, camorra e riscatto. La promessa di una vita e di una scelta
diversa affidata ai ragazzi del prete rivoluzionario Francesco Di
Leva. Fa da contraltare Tommaso Ragno, capo
criminale con un senso molto drammatico delle cose; nel gioco di opposti
schizzato dal film è insieme crudo e surreale il suo male di vivere. La regia
di Mario Martone non punta all’esuberanza del
dettaglio figurativo e narrativo, la sua visceralità la racchiude nell’intimità
progressivamente svelata dei protagonisti. Cede un po’ sui flashback, che col
film legano poco, mancano di vitalità ma forse anche questo è parte del gioco.
Bravo Favino, il senso del suo passaggio sul film è quintessenza della magia e
del mistero del cinema, la fotografia, l’istantanea, la fissazione di un
movimento.
…Come la scrittura di Rea,
anche la regia di Martone si muove in modo riflessivo, lentamente, come se il
tempo e lo spazio contassero in modo relativo. Lo sguardo di Martone possiede
lo stesso stupore meravigliato del “napoletano straniero” Felice, che deve
riappropriarsi di quelle radici che l’hanno sostenuto quand’era ragazzo e se ne
andava in giro in motocicletta portandosi appresso l’amico del cuore,
quell’Oreste che nel corso degli anni è diventato per tutti “’O Malommo”, e che
gestisce il racket di droga, illeciti vari e prostituzione del quartiere. Ma
perché Felice vuole a tutti i costi incontrare di nuovo quello che un tempo era
il suo migliore amico e che ora lo accoglie facendogli bruciare la motocicletta
e vandalizzare l’appartamento ben più dignitoso che ha affittato per la madre
(nel frattempo purtroppo deceduta) con la scritta “Scompari”? Mentre il film
procede nella sua narrazione volutamente episodica e frammentata nel tempo – la
storia si sviluppa nell’arco di molti mesi, durante i quali Felice sente
quotidianamente la moglie egiziana rimasta nella loro splendida casa a Il Cairo
–, ci si inizia a rendere conto come il protagonista della vicenda non sia in
realtà quest’uomo di mezza età che neanche sa più parlare nella sua
madrelingua, e neanche il rapporto conflittuale con il suo amico di quando
erano adolescenti. No, esattamente come ne L’amore
molesto a prendere possesso di Nostalgia è Napoli, questa città costruita in
altezza, dove c’è sempre qualcuno che può guardare dall’alto, controllare, spiare,
e dove morire in modo non naturale è qualcosa da mettere in conto, che può
accadere. Ogni inquadratura del film è sentimentale, e lo
palesa al di là di ogni possibile dubbio la sequenza in cui la salita di
Capodimonte viene “vissuta” due volte da Felice, nella contemporaneità e nel
ricordo del passato: il muro è sempre lì, la città è rimasta immota, silente e
rumorosissima. Felice Lasco, con questo nome che diventa un ossimoro rispetto
al valore del personaggio nel film – tormentatissimo, e tutt’altro che allentato rispetto ai legacci che lo avvincono
alla città e alla memoria –, si
muove in una terra incognita di cui sa tutto, e di cui si vuole riappropriare.
Ma è possibile?...
…Il
rapporto tra Felice e Oreste riemerge e scompare per poi ritornare senza mai
diventare cuore e viscere di un film in continua oscillazione e privo di
baricentro. Finale telefonatissimo, quindi depotenziato del suo pathos. Lunghe
peregrinazioni di Felice-Favino dentro e oltre Napoli senza che mai il vagare
diventi alla Antonioni geografia dell’anima. Momenti no, come quando il
protagonisgta nelle catacombe si sofferma di fronte all’affresco di “una donna
di origine nordafricana”, spiega la guida, e da parte della regia repentino
cambio di inquadratura con primo piano della moglie al Cairo. Goffaggini che si
stenta ad accettare da un regista esperto. Per non dire dell’inesplicabilità di
molti fondamentali snodi. Perché Felice torna a Napoli? Perché, se non l’ha mai
fatto per 40 anni? Cosa si aspetta dall’incontro con Oreste? Se è un cupo
abbandonarsi al proprio destino allora sarebbe dovuto essere questo, da subito
e senza troppe deviazioni (tutta la parte della comunità di Don Luigi per
capirci), il centro del film, la sua ragione d’essere. Ma non è così.
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