l'anno dopo Breakfast club un altro capolavoro di John Hughes.
è solo un giorno di vacanza da scuola, ma nelle mani di John Hughes e dei suoi ispirati attori diventa una bomba di geniale comicità.
cercatelo, nessuno resterà deluso, promesso.
buona visione di un giorno di vacanza da scuola, che avete fatto o avreste voluto fare - Ismaele
QUI si può vedere, in italiano
Here is one of the most innocent movies in a long time, a
sweet, warm-hearted comedy about a teenager who skips school so he can help his
best friend win some self-respect. The therapy he has in mind includes a day's
visit to Chicago, and after we've seen the Sears Tower, the Art Institute, the
Board of Trade, a parade down Dearborn Street, architectural landmarks, a Gold
Coast lunch and a game at Wrigley Field, we have to concede that the city and
state film offices have done their jobs: If "Ferris Bueller's Day
Off" fails on every other level, at least it works as a travelogue…
… Hughes vuelve a señalar a los adultos como los
grandes responsables de que vivamos en un mundo tan gris; de que hayan
olvidado tan fácilmente su adolescencia; de no molestarse en comprender a esas
nuevas generaciones que solo buscan un poco de atención. El director americano
los ridiculiza a través de varios personajes: los padres de Ferrys, que deciden
creerse la dudosa y repentina enfermedad de su hijo; y el director del colegio
-interpretado por un magistral y divertidísimo Jeffrey Jones-, al que se lo
hace pasar muy mal en algunas de las secuencias mas logradas del film.
John Hughes, ¿Un director que se quedó anclado en una
edad mental de 18 años, o uno de los pocos adultos que supo comprender a la
juventud americana de los 80? Para mi, un autentico visionario. ¿A
quién no le gustaría hacer «Todo en un Día»?.
…Prima di Una pazza giornata di vacanza non
è mai esistito un altro Ferris Bueller, dopo chiunque vorrà assomigliare a lui,
senza riuscirci. Hughes crea dal nulla un ragazzo che nessuno aveva mai pensato
potesse esistere, un adolescente dandy, saccente e un po’ citazionista che è il
prototipo di un’America metà liberista metà liberale, in una fase di opulenza
inevitabilmente passeggera.
Proprio queste qualità giustificano il
superamento della quarta parete, con Ferris che si rivolge direttamente alla
camera, e dunque al pubblico in sala. Quello che può apparire un vezzo o un
escamotage è il modo in cui Hughes riesce a fare incontrare la screwball comedy
(di cui in parte il film è un aggiornamento) con gli stilemi della nouvelle
vague. È un Godard giovanile cantato da John Lennon, Una pazza giornata di vacanza: la fuga senza senso
né destinazione per la città è una versione scanzonata di Fino all’ultimo respiro, e la visita all’Art
Institute of Chicago rimanda alla mente la folle corsa nel bel mezzo del Louvre
dei tre protagonisti di Band à part.
Tre anche loro, due ragazzi e una ragazza come il triangolo scaleno
Ferris/Sloane/Cameron. In un crescendo di trovate che trova il suo punto di non
ritorno nella magniloquenza del Von Steuben Day e della parata come sempre
vampirizzata da Ferris, Hughes firma un poemetto amoroso verso Chicago, lo
spirito della sua popolazione, l’architettura, la modernità che sposa l’antico
senza annientarlo. Un film che va di fretta (perché, come educa i suoi
spettatori Ferris “Life moves pretty fast. If you don’t stop and look around
once in a while, you could miss it”) ma che è impossibile scacciare dalla
mente. Così ci si ritrova a fissare i titoli di coda che scorrono sullo
schermo, fino a quando non è lo stesso Ferris a sbucare di nuovo fuori per
mandare via il pubblico. “A casa”, è l’ultima sentenza.
…Un soggetto semplice
semplice che, nelle sapienti mani di Hughes, si trasforma in un’esplosiva
giostra di situazioni che frutterà al tempo ben settanta milioni di dollari
d’incasso. Complice la fotografia solare di Tak Fujimoto, una sceneggiatura
colma di trovate geniali (scritta dal regista in una settimana), il montaggio
ad orologeria di Paul Hirsch (collaboratore storico di De Palma) ed una
soundtrack che vanta hit del calibro di Twist and shout e Oh
Yeah degli Yello, si definisce quello che può essere riconosciuto
come uno dei titoli cult della propria decade. Senza
dimenticare che il film segna la definitiva consacrazione artistica di Matthew
Broderick, all’epoca appena ventiquattrenne e già catapultato nel nuovo showbiz
hollywoodiano. Una pellicola che talvolta sfiora vette surreali impressionanti,
che nasconde dietro una facciata ludica e fancazzista uno spirito assai più
complesso, come nei momenti dedicati all’incomprensibile divario che allontana
le istituzioni dai ragazzi e la vita dei padri da quelle dei propri figli.
In definitiva un’esperienza cinematografica consigliata
a tutti, attuale e moderna, che come in tutte le opere di Hughes evita
sapientemente volgarità gratuite e cadute di stile…
…Una delle potenziali trappole nella quale poteva scivolare Una pazza di giornata di vacanza era invece
quella di rendere il personaggio di Ferris troppo “vincente” e quindi un poco
antipatico non solo agli occhi dell’invidiosa, almeno sino ad un certo punto,
sorellina Jeanie. Invece nella finzione Ferris cresce grazie anche al rapporto
con il suo amico Cameron (bravissimo nel ruolo il quasi inedito Alan Ruck), che
rappresenta il suo esatto opposto: insicuro, perdente in partenza, timido ed
impacciato con le ragazze nonché afflitto da serissimi problemi di rapporti in
ambito familiare, principalmente con il padre. E, di certo ancora una volta non
casualmente, è a lui che Hughes dedica i momenti più intensi della pellicola:
il lungo sguardo alla ricerca di qualcosa che sfugge (o è irrimediabilmente
fuggito…) nel dipinto di Georges Seurat La Grande-Jatte al
The Art Institute di Chicago oppure il monologo finale – che segna la sua
uscita di scena – a distruzione più o meno involontaria della Ferrari del padre
avvenuta. Magari qualche fan della casa di Maranello l’avrà presa male, però
assistere alla riaffermazione di quelli che dovrebbero essere gli autentici
valori affettivi a scapito della sublimazione dell’effimero e della venerazione
del lusso, è una sottolineatura – tutt’altro che didascalica nel film – che
dovremo tenere sempre ben presente, a maggior ragione nella desolante Italia
contemporanea.
Il consiglio, al tirar delle somme, è quello di vedere o rivedere
periodicamente Ferris Bueller’s Day Off anche
solo per godere degli ininterrotti momenti di culto ivi contenuti
(dimenticavamo, c’è anche – oltre ad una declinazione pressoché completa di
tutti i sottogeneri della commedia, dalla slapstick a
quella sofisticata – una deliziosa parentesi squisitamente musical). Ma soprattutto di farlo scoprire alle
nuove generazioni; perché è uno dei pochissimi film mai realizzati capaci di
farvi slogare la mascella dalle risate e contemporaneamente aprirvi davvero la
mente a nuove prospettive e orizzonti. Una cosa che solo a pochi, pochissimi
autori nel mondo del cinema è compiutamente riuscita. E John Hughes è tra loro.
…Scatenata e imprevedibile teen-comedy
diretta da uno specialista del genere,priva di mielosità e scurrilità,e dotata
di un ritmo agilissimo,che si mantiene intatto per tutta la durata del
film.Ricco di trovate surreali,offre uno spaccato della gioventù degli anni 80
inverosimile,ma la carica del film risiede nell'amplificare gli effetti comici
dell'improbabilità di certe sequenze,ed è quindi da questo punto di vista che
il pubblico dei teenager sarà soddisfatto nell'assistere alle disavventure dei
tre protagonisti,immedesimandosi volentieri nei loro personaggi.Tutti perfetti
gli attori,con una menzione speciale per Broderick e Jennifer Grey,la sorella
invidiosa che alla fine si coalizzerà con il travolgente
fratello.Indimenticabile la gag-tormentone sulle conoscenze che Ferris riesce
ad avere dappertutto.Piccola e gustosissima parte per Charlie Sheen.Attenti ai
titoli di coda.
Me lo ricordo questo film, mi ha fatta divertire un mondo ^_^
RispondiEliminaJohn Hughes era un mago, questo film e Breakfast club sono un'accoppiata potente per la comicità e non solo
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