Marco Bellocchio ritorna alla storia del sequestro di Aldo Moro dopo aver girato Buongiorno notte, nel 2003.
il giorno del sequestro di Moro, come pure il 2 agosto del 1980, sono giorni che non passano mai, che hanno bloccato la storia italiana, e siamo ancora lì.
Fabrizio Gifuni è Moro, non lo interpreta, è proprio lui, un lavoro da premio Oscar, come pure Margherita Buy, Noretta, la moglie di Aldo Moro.
il film, in sei parti, racconta alcuni aspetti della storia, da punti di vista diversi.
gli attori sono tutti bravi, e l'ipotesi di Moro vivo, come nella fine del film precedente, è l'inizio di Esterno notte.
non è un film a tesi, non è un film che dà risposte, è un film che fa domande, che rende inquieti, che mostra le facce.
la facce dei politici sono veramente quelle di bugiardi, falsi, imbarazzanti, attori sostituibili nelle mani di qualcun altro, i generali e i politici della P2, la Cia.
e fino alla fine resta la domanda, e se Moro fosse uscito vivo?
buona imperdibile visione (in autunno passerà in tv) - Ismaele
si può vedere e ascoltare qualcosa qui , qui , qui
si può leggere qualcosa qui, quiLa prima scena in esterno giorno di Esterno
notte è in una via di Roma: manifestanti e polizia si stanno scontrando violentemente, l’aria è opaca
per il fumo dei lacrimogeni, ma al centro dell’inquadratura si vede nitidamente
il manifesto di un film in quei giorni nelle sale italiane: Anima persa di
Dino Risi, dall’omonimo romanzo di Giovanni Arpino. Quando Bellocchio dissemina
allusioni intertestuali nei suoi film non lo fa mai a caso. E anche questa
volta è bene prendere molto sul serio questo indizio: Anima persa è
un film di fantasmi e di fake news, e al tempo stesso è la storia di una
reclusione. È lo stesso trinomio su cui si regge il film-serie che
Marco Bellocchio ha dedicato – ancora una volta, dopo Buongiorno, notte del
2003 – al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro: fantasmi, fake news e
reclusioni…
…Tre sono le sfide che il progetto di film e la sua
sceneggiatura affidano al montaggio: costruire e ritmare la dialettica fra
solitudini individuali e storia corale, innestare nel racconto finzionale le
immagini di repertorio e giostrare in modo credibile l’irruzione degli inserti
onirici nello sviluppo “realistico” del racconto…
Francesca Calvelli le risolve in maniera straordinaria
tutte e tre. Ecco allora che in alcuni momenti sceglie inquadrature strette o
strettissime sui volti, e insiste su primi e primissimi piani angusti e quasi
soffocanti come i muri della cella di Moro, e non stacca e resta lì quasi a
inchiodare il nostro sguardo su quei volti (come nel bellissimo piano sequenza
sul viso della Buy che parla al telefono nel disperato tentativo di smuovere
l’inerzia del potere) , mentre altre volte invece accelera il ritmo e stacca e
spezza e alterna totali e primi piani (come nella scena in cui i brigatisti si
allenano a sparare al mare dalla spiaggia), inquadrando prima il gruppo poi un
volto solo, quasi a suggerire che anche se in quel momento sembrano un gruppo
(una “brigata”…), al fondo poi sono tutti individui tragicamente soli.
Ci sono poi i momenti in cui l’onirico irrompe nel realistico: come nell’incubo dei cadaveri che galleggiano nell’acqua verdastra del fiume, o nel doppio finale prima immaginario e poi reale: e qui il montaggio di Calvelli è davvero perfetto nel rendere credibile ciò che non è mai accaduto e nel rendere incredibile ciò che purtroppo è accaduto davvero. Nel farci vedere che le cose potevano andare anche in modo diverso.
E poi c’è il lavoro raffinatissimo sull’archivio e sul repertorio: la Storia
entra ed esce di campo grazie alla cronache trasmesse da apparecchi televisivi
sempre accesi, come se Bellocchio volesse conferire alle immagini televisive
dell’epoca il compito di mantenere l’ancoraggio con l’accaduto e chiedesse a
pertanto a Calvelli di usare il volto di Bruno Vespa o di Emilio Fede, o la
voce di Pertini ai funerali degli uomini della scorta, o le immagini degli uomini
potere schierati in prima fila ai funerali di Stato senza il feretro di Moro,
per impedire che la forza dell’immaginazione che ricostruisce ciò che nessuno
ha potuto vedere perda il contatto con la irreversibilità della tragedia che
realmente si è compiuta. Ecco allora, ad esempio, le immagini televisive della
ricerca del cadavere di Moro nel lago ghiacciato della Duchessa, riproposte dal
montaggio più e più volte, quasi un leitmotiv drammaturgico e visuale, che
torna e ritorna, e che vediamo irrompere nel quotidiano di Eleonora Moro come
in quello dei brigatisti, fake news di devastante potenza che proprio nel suo
eterno ritorno nei successivi episodi della serie ci dice come le solitudini di
tutti i personaggi si agglutinino intorno a qualcosa che non c’è, che non si
trova, che non si vede, ma che sconvolge e stravolge la vita di tutti.
Non si può non vederlo, Esterno notte di Marco Bellocchio: non
solo perché è uno dei capolavori assoluti del cinema italiano delle ultime
stagioni ma anche perché ci dice e ci ricorda come il cinema e solo il cinema,
nel suo essere – come in questo caso – finzione dichiarata che dialoga con la
cronaca documentata – è in grado di farci accedere alla comprensione della
Storia e – forse – a una possibile verità. Che non necessariamente coincide con
quella che finora ci siamo raccontati.
Le questioni
di lana caprina le lascio volentieri agli altri. Poco m'interessa se Esterno Notte sia un prodotto per la
televisione oppure per il cinema, una serie tv o un film a episodi (in realtà
la risposta è semplice, per chi la vuol vedere: Bellocchio è
un regista di cinema che ha girato una serie destinata alla tv, ma è evidente
che il suo sguardo è e resta comunque cinematografico, non potrebbe essere
altrimenti). Quello che conta è il contenuto, e quello che è certo è che Esterno Notte è la "cosa" più bella
che mi sia capitato di vedere in questa stagione. Bellocchio, non
mi stancherò mai di dirlo, sebbene vada ormai per gli 83 anni (li compirà in
novembre) si conferma come l'autore più "giovane" e lucido del cinema
italiano, capace di analizzare con incredibile dovizia di spunti la storia
recente di questo paese.
Esterno Notte, lo sapete
tutti, ricostruisce la tragica vicenda del sequestro e dell'omicidio di Aldo
Moro. Lo fa alla maniera di Bellocchio, non
aspettatevi quindi nè un documentario, nè un film d'inchiesta: il regista
piacentino aveva già affrontato l'argomento già vent'anni fa con lo
splendido Buongiorno, notte (Leone
d'oro purtroppo mancato a Venezia) e questa serie pare riprenderne l'idea di
partenza: come in Buongiorno, notte, infatti,
vediamo anche qui un Moro che viene graziato dai suoi
aguzzini, stanco ma vivo, che però invece di vagare libero per una Roma
mattutina e deserta viene subito rinchiuso in ospedale e guardato a vista da
quelli che, evidentemente, sono diventati i suoi nuovi "carcerieri",
ovvero i vertici del suo partito, la Democrazia Cristiana, che
per Bellocchio sono gli evidenti
responsabili della quanto è avvenuto... una scelta di campo netta, fin dalla
primissima sequenza, ed è già un notevole pugno nello stomaco per una certa
idea di classe e di politica. Ma andiamo con ordine…
…Dalla terrorista pronta a immolarsi per la rivoluzione
proletaria, ma turbata dall'orrore dell'omicidio e dall'ipocrisia dei propri
seguaci, si passa a un altro mirabile ritratto femminile: l'Eleonora Moro
di Margherita Buy, animata dalla frustrazione di dover spartire il
marito con la ragion di Stato, ma capace di ammantarsi di una sobrietà severa e
granitica nel momento in cui tutti gli altri vorrebbero vederla indossare i
panni di moglie fragile e in preda alle lacrime. La risolutezza della signora
Moro, che non rinuncia alla razionalità laddove al contrario il Ministro
Cossiga sembra disposto a inseguire fantasmi e superstizioni, anticipa l'atto
finale di questa tragedia italiana: l'unico episodio dal taglio corale, in cui
l'ucronia di una sopravvivenza insperata, accompagnata da un durissimo j'accuse,
si infrange sulle immagini della Renault rossa parcheggiata in via Caetani e
sui filmati dell'omelia funebre pronunciata dal Pontefice in assenza di una
salma. Storia e romanzo, realtà e invenzione confluiscono così nel magnum
opus di un cineasta straordinario che, a ottantadue anni, continua a
dar prova di un talento smisurato e di un'audacia davvero senza età.
…Fabrizio Gifuni fa il camaleonte e si muove in
piena zona Volontè, il suo Aldo Moro ha le movenze giuste e una psicologia
importante, ha già avuto a che fare con il personaggio in passato e si vede.
Calibra una pacatezza assennata rotta sul finale da uno sfogo rabbioso ed
emotivamente esigente…
…
Aldo Moro fa da scudo col suo corpo per il compromesso storico; un governo Dc
con l’appoggio esterno del Pci è uno schiaffo a trent’anni di barricate
ideologiche, non fa scopa con l’aritmetica bipolare della Guerra Fredda e la
cosa ha un suo prezzo. Pagherà con la vita, c’è un mondo fuori del covo, il suo
mondo, che finge fermezza e invece lo scarica senza troppi complimenti perché è
meglio che tutto resti così com’è. Aldo Moro è un altro povero Cristo costretto
a portare il peso di peccati che solo in parte gli appartengono. Muore, lui e i
cinque della scorta, per le colpe di tutti. Esterno notte riempie
il vuoto del film precedente facendo il controcampo. Racconta la distanza, una
promessa di armonia e riconciliazione spezzata a metà. Tante lingue e nessun
dizionario comune.
Alle spalle di un’assurda guerra civile, un oceano separa
un padre dai suoi figli, un presidente dal suo partito. Distanza
all’università, nelle Brigate Rosse, distanza in Vaticano, distanza tra un film
e una serie che si cercano ma non si toccano perché raccontano di due realtà
che non vogliono incontrarsi. Se c’è denuncia, non è mai arrabbiata. È più
lucida e determinata. Marco Bellocchio non insegue
il manifesto, è troppo impegnato a ricordare.
Esterno notte dosa rigore cronachistico e spettacolarizzazione della storia
con un senso delle proporzioni che richiama alla mente il cinema politico di
Francesco Rosi. Ha un sentimento della realtà onirico, fosco e malato, degno
del miglior Petri. In realtà l’opera appartiene al suo regista ben al di là dei
nobili riferimenti. Perché gioca sempre sul crinale tra realtà e
rappresentazione, perché lega istintivamente psicologia e affresco storico. Una
storia di famiglia, anche questa. Allargata nel senso più problematico del
termine, insieme privata e pubblica, politica e terrorista, spirituale e
materialista. Fotografata sopra e sotto, dentro e fuori, nell’attimo cruciale
in cui niente cambia e insieme tutto cambia.
… Il monologo di Moro/Gifuni davanti al
prete, unico soggetto esterno che entra in dialogo con il prigioniero, è
struggente, ma non solo per il significato delle parole quanto per il senso che
trovano nei movimenti impercettibili disegnati sul volto, il suono increspato
del tono, la luce spenta degli occhi, il tatto delle sue mani. Lo sguardo della
Faranda (Daniela Marra), i suoi primi piani, lo scomposto corpo dei suoi gesti
colpiscono e non lasciano tregua attraverso un uso del colore univoco che scava
e inquieta. Diversamente Nora Moro/Margherita Buy disegna lo spazio attraverso
la ricerca di aria, di movimento, di ferma solitudine, di capacità di scelta
positiva, come se ispirata davvero da un credo cristiano superiore che non
consola, quanto potenzia la capacità di lettura amara del partito, della
chiesa, del paese, con un’umanità che si riversa internamente verso la
famiglia, il marito, i figli, la vedova di un uomo della scorta. Davanti ad una
se stessa che addirittura si scusa al telefono con il brigatista che le sta
dando la notizia definitiva di un esito atteso, quanto temuto, non può non
interrogarsi su quella sua incapacità d’odio. I funerali privati solo
intravisti, come è giusto che sia, sono però una scelta politica chiara,
lampante, un gesto carico di forza e di opposizione (il controcampo dei
funerali mostrati in Buongiorno, notte).
Molti i piani attraversati e tenuti insieme da
Bellocchio, molti i particolari su cui soffermarsi, la profondità entra come
con un laser a scandagliare ciò che è Stato. E come al solito il realismo sposa
l’immaginazione e insieme creano il senso nella sua complessità. Non è un caso
neanche il contrasto del ritmo della canzone del trailer Porque te vas di
Jeanette (1974) a segnare il distacco dalla tragedia incombente, un po’ come
avviene nelle parole del testo.
La fotografia, la musica, la scenografia, la
sceneggiatura, i costumi, il montaggio concorrono tutti alla realizzazione,
così come tutti gli altri protagonisti, compresa la città di Roma attraversata
in maniera mirabile. Difficile racchiudere Esterno notte… in un
solo finale, in una recensione.
http://effimera.org/esterno-notte-di-marco-bellocchio-riflessioni-di-gianni-giovannelli/
RispondiEliminahttps://www.adnkronos.com/esterno-notte-lex-br-persichetti-bellocchio-scrive-il-romanzo-del-potere-dc_6dzeAB1lzxAZVw80DH1jlm?refresh_ce
RispondiElimina