giovedì 2 agosto 2012

Jerichow - Christian Petzold

non sarà eccezionale, ma si vede bene.
una storia tragica, drammatica e fredda, con una sceneggiatura con diversi colpi di scena.
non mi è dispiaciuto per niente - Ismaele



L'importanza del denaro, la precarietà del lavoro, la passione e la voglia di ricostruire (Heimat), sono il fil rouge di questo piccolo film, girato con cura e amore. Amore per l'uomo, le cose che lo circondano, le passioni. I protagonisti vivono di incertezza, in un contesto violento e fragile dove la concretezza e la solidità (?) del denaro sembrano rispondere a tutte le domande…

Uno dei primi intoppi in cui inesorabilmente cade Jerichow è senza dubbio quello inerente la narrazione. Artificioso, a dir poco, questo triangolo più economico che amoroso, indeciso tra il nascondere un passato che quando affiora non ci sta proprio a galla e il mostrare un intreccio che man mano che va avanti s’intorbidisce sempre più, perdendo spontaneità e soprattutto credibilità. Peccato non veniale, soprattutto per una pellicola di questo genere (pensate a Ossessione…).
Ma più che figlio di un preciso disegno “eversivo”, tutto ciò pare semplicemente il frutto di un’ingenuità cinematografica pazzesca, ostinatamente convinta che -per esempio- utilizzare sistematicamente lo stesso tema musicale per un intero film possa connotare ambienti, situazioni e personaggi in maniera terribilmente funzionale, e magari anche originale. Quella musica, invece, è pura descrizione, perfino stanca nel suggerire o anticipare un momento o una scena che hai già bella che formata in testa ancor prima di vederla materializzarsi sullo schermo.
Eppure, dicevamo, alcune nicchie di cinema vero, di “visione” insomma, si trovano in questa pellicola, disseminate qua e là, più dal caso che dal regista. Alcuni momenti in cui il macchinoso ingranaggio della narrazione si ferma un istante e resta sospeso e allora riesce ad emergere uno sguardo puro, libero, visivamente interessante. Come quando dal buio e nel buio del bosco appare e scompare un abbraccio dei due amanti, fantasmi sottili che per un attimo sembrano poter sfuggire ad un destino avverso…

…Passioni, desideri, rapporti di dipendenza e segreti vanno autoalimentadosi l’uno con l’altro all’interno di un tessuto narrativo freddo, asettico, distaccato ed incapace di coinvolgere più di tanto lo spettatore nel destino dei protagonisti.
Unico scatto verso l’alto del film è dato dal personaggio di Alì, complesso, articolato, sofferto, violento ma verso cui al simpatia dello spettatore si rivolge, in un gioco di specchi in cui nessuno è innocente, nessuno è mai completamente colpevole.
Un film che si lascia vedere e dimenticare con la medesima facilità.

…Indugiando sulla loro marginalità, Ali è un immigrato, Laura un'ex galeotta, Thomas un soldato disonorato, il tedesco Christian Petzold relaziona i personaggi all'ambiente. Tre ritratti affannati alla ricerca di un'identità e mostrati in un microcosmo esistenziale e geografico avulso dal macrocosmo umano circostante. Due uomini e una donna di cui viviamo il quotidiano e di cui vediamo l'infelicità, la difficoltà di vivere e i desideri inappagati. Dentro un commento musicale improvviso e sospeso, Jerichow è stilisticamente scandito sulle passioni degli amanti ma tematicamente incentrato sull' Heimat: una patria (la Turchia) in cui ritornare per Ali, una casa da ricostruire per Thomas e una casa-patria da lasciare per Laura. Il mélo di Petzold somatizza allora l'eccessivo disadattamento e la smisurata tristezza dei protagonisti che, esacerbati, sfogano la loro energia fisica e psichica in un estenuante conflitto incrociato. 
Ricorrendo alle figure imposte dal melodramma, l'autore soffia sui fuochi espliciti della passione, costruendo il pathos attraverso i primi piani e un linguaggio "muto" che fa parlare gli emarginati e tacere gli emarginanti….

…Christian Petzold scrive e dirige un film che sembra un esercizio di stile. Non c’è passione nel suo racconto, né tra i personaggi né (illazione) nel modo con cui ci racconta la storia. I tanti silenzi del film (proprietà soprattutto di un Benno Furmann pronto ad un Carnevale vestito da The Rock) che non sono che uno dei tanti espedienti con cui si va a sottolinenere incomunicabilità e solitudine, ma l’unica idea per rendere questo concetto (trito e ritrito quando proposto in questi termini). L’unica idea interessante, quella del distacco dalla patria natia per quanto riguarda il marito, si perde ben presto all’interno del semplice intreccio adulterino. La composizione delle scene è tanto sfacciatamente geometrica (con il finale che ricostruisce i tre vertici del triangolo con le tre persone), quanto fredda. Un prodotto senza anima, che a luci accese in sala fa chiedere: e allora?

Sostenuto da una eccellente e luminosissima fotografia, Petzold svela la sua storia con la logica della tragedia greca, tra le migliori mai girate dal regista. I tre protagonisti, che tentano soltanto di vivere un’esistenza decente, non sono vere allegorie dell’Est o dell’Ovest o di un sistema economico, e i loro drammi personali sono, per questo, ancora più accattivanti.
Un buon film, scorrevole, intrigante con un finale per niente scontato.

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