una storia piccola, ma densa di cose, sguardi, parole, attori bravi, e Miki Manojlovic fa sempre la sua grande prova.
i cinque minuti finali sono impagabili, occorre guardarlo tutto per arrivarci, non sarà difficile - Ismaele
… En definitiva, una muy buena historia,
bien planteada y desarrollada, que se nutre de unos personajes muy bien
definidos que dan forma y credibilidad incluso a alguna de las más inesperadas
situaciones que se plantean. Un imprescindible, sin duda alguna.
Quando Lucija viene
sfrattata dalla casa dove ha vissuto per vent’anni, non sa che sta per perdere
un’intera patria, oltre alle sue quattro mura. Maestro della sineddoche
cinematografica, Tanovic dieci anni fa ha raccontato l’intero conflitto
jugoslavo nei pochi metri quadrati di una striscia di no man’s land. Ora, nel
microcosmo di un villaggio bosniaco, racconta lo spaesamento di una nazione
alle porte della guerra. È il 1991 e la Croazia si è appena proclamata
indipendente, ma alle bombe non ci si crede, la frantumazione del Paese è
ancora assurda in una comunità dove l’ex sindaco comunista conserva il busto di
Tito in casa propria («così smettono di sputargli addosso»). A portare
scompiglio, più dei bombardamenti, è l’arrivo di Divko, che dopo due decenni
torna in patria con una macchina di lusso, una montagna di marchi tedeschi e
un’appariscente fidanzata…
… La caratteristica
predominante del film è proprio la commistione di generi che diventa la
metafora delle contraddizioni tipiche della guerra: gli amici diventano nemici
nel corso di una sola notte. Come la violenza psicologica di Divko mette in
subbuglio gli altri personaggi, così il terrore dell'esercito invade le
coscienze, deturpandole di solidarietà e compassione. L'ironia con la quale
Tanovic descrive la preparazione emotiva al conflitto segna il ritorno al
cinema di No Man's Land, dove il regista coglieva il senso tragicomico
della violenza, senza renderla ridicola. L'universalità della questione in
oggetto è un pregio assicurato dalla rarità di riferimenti espliciti alla
politica locale, e da un'intelligente assemblaggio di immagini – come la
straordinaria scena finale – che sono contestualizzate ma allo stesso tempo
distanti da quella realtà. Non c'è nostalgia né rancore ma solo un grande
racconto fatto di piccole persone che, messe alle strette dalla Storia,
reagiscono con dignità. La difesa dell'amore gira come la giostra Cirkus
Columbia, come un gioco dove il moto ritorna su se stesso ma è tragicamente
bellissimo.
… Cirkus Columbia è una riflessione sul conflitto, quello
interpersonale e il suo corrispettivo, interetnico o intereligioso che sia, la
guerra. Il conflitto, sempre dettato dall’incomprensione, sempre nutrito
di risentimento, serpeggia in ogni rapporto messo in scena: in primis tra i due
coniugi Divko e Lucija, per vent’anni in attesa d’essere finalmente nemici
aperti, recriminando uno l’appropriazione indebita dei beni, l’altra una
castità inspiegabilmente autoimposta; tra l’ex sindaco titoista Leon e il nuovo
sindaco Ranko, tra il figlio di Divko, il giovane radioamatore Martin, e
l’amico gradasso Pivac e così via. Il comune denominatore resta la natura
strisciante e ambigua dello scontro, mai basato sul confronto aperto. E’
pestaggio per Leon, sfratto per Lucija, missione punitiva nei confronti di
Martin, accusato di favorire l’esercito jugoslavo, passando informazioni al
Capitano Savo.
Così descritto, nelle tematiche, parrebbe un film
particolarmente grave e cupo. L’impressione, durante la visione, è però
tutt’altra: la recitazione enfatica, il carattere sopra alle righe di molti
personaggi e la natura paradossale di alcuni episodi, come la comica ricerca
del gatto Bonny, danno al film un sapore balcanico in senso “kusturicano”, col
suo modo indiretto e surreale di parlare della guerra…
… Cirkus Columbia, diffuse ainsi une mélancolique secrète, sur le fil entre
gravité et légèreté; un équilibre parfaitement résumé par sa superbe fin
ouverte, à laquelle on peut coller plusieurs interprétations possibles
(est-elle rêvée ? réelle ?). La beau plan final réunit, en un seul
panoramique, les deux extrêmes du film : la douceur d’une parenthèse
enchantée, et l’horreur d’un massacre à ses portes. De facture plutôt mineure,
le dernier Tanovic ne restera pas dans les mémoires comme un film définitif sur
les ravages de la guerre, apte à constituer une référence du genre ; cela
dit, c’est une jolie petite bulle, pleine d’une profondeur cachée, qui fait
naître en nous une émotion gracile et précieuse. Le cinéaste bosniaque n’a pas
dit son dernier mot.
… I toni sono
inizialmente leggeri, la voglia di compiacere il pubblico cercando la risata
arriva a eccedere (la grottesca ricerca del gatto nero), il folclore rischia di
mangiarsi il film, ma gli inserti drammatici non lasciano indifferenti e il
film conferma una visione personale che diventa stile grazie alla capacità del
regista di imprimere un ritmo, anche interiore, agli eventi. Indubbio, poi, il
talento per la direzione degli attori, la composizione delle inquadrature e
l’impaginazione delle immagini…
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