giovedì 16 agosto 2012

Cirkus Columbia - Danis Tanovic

prima della guerra, come ci vuole poco a iniziare e finire è difficilissimo, se si riesce.
una storia piccola, ma densa di cose, sguardi, parole, attori bravi, e Miki Manojlovic fa sempre la sua grande prova. 
i cinque minuti finali sono impagabili, occorre guardarlo tutto per arrivarci, non sarà difficile - Ismaele



En definitiva, una muy buena historia, bien planteada y desarrollada, que se nutre de unos personajes muy bien definidos que dan forma y credibilidad incluso a alguna de las más inesperadas situaciones que se plantean. Un imprescindible, sin duda alguna.

Quando Lucija viene sfrattata dalla casa dove ha vissuto per vent’anni, non sa che sta per perdere un’intera patria, oltre alle sue quattro mura. Maestro della sineddoche cinematografica, Tanovic dieci anni fa ha raccontato l’intero conflitto jugoslavo nei pochi metri quadrati di una striscia di no man’s land. Ora, nel microcosmo di un villaggio bosniaco, racconta lo spaesamento di una nazione alle porte della guerra. È il 1991 e la Croazia si è appena proclamata indipendente, ma alle bombe non ci si crede, la frantumazione del Paese è ancora assurda in una comunità dove l’ex sindaco comunista conserva il busto di Tito in casa propria («così smettono di sputargli addosso»). A portare scompiglio, più dei bombardamenti, è l’arrivo di Divko, che dopo due decenni torna in patria con una macchina di lusso, una montagna di marchi tedeschi e un’appariscente fidanzata…

La caratteristica predominante del film è proprio la commistione di generi che diventa la metafora delle contraddizioni tipiche della guerra: gli amici diventano nemici nel corso di una sola notte. Come la violenza psicologica di Divko mette in subbuglio gli altri personaggi, così il terrore dell'esercito invade le coscienze, deturpandole di solidarietà e compassione. L'ironia con la quale Tanovic descrive la preparazione emotiva al conflitto segna il ritorno al cinema di No Man's Land, dove il regista coglieva il senso tragicomico della violenza, senza renderla ridicola. L'universalità della questione in oggetto è un pregio assicurato dalla rarità di riferimenti espliciti alla politica locale, e da un'intelligente assemblaggio di immagini – come la straordinaria scena finale – che sono contestualizzate ma allo stesso tempo distanti da quella realtà. Non c'è nostalgia né rancore ma solo un grande racconto fatto di piccole persone che, messe alle strette dalla Storia, reagiscono con dignità. La difesa dell'amore gira come la giostra Cirkus Columbia, come un gioco dove il moto ritorna su se stesso ma è tragicamente bellissimo.

… Cirkus Columbia è una riflessione sul conflitto, quello interpersonale e il suo corrispettivo, interetnico o intereligioso che sia, la guerra. Il conflitto, sempre dettato dall’incomprensione, sempre nutrito di risentimento, serpeggia in ogni rapporto messo in scena: in primis tra i due coniugi Divko e Lucija, per vent’anni in attesa d’essere finalmente nemici aperti, recriminando uno l’appropriazione indebita dei beni, l’altra una castità inspiegabilmente autoimposta; tra l’ex sindaco titoista Leon e il nuovo sindaco Ranko, tra il figlio di Divko, il giovane radioamatore Martin, e l’amico gradasso Pivac e così via. Il comune denominatore resta la natura strisciante e ambigua dello scontro, mai basato sul confronto aperto. E’ pestaggio per Leon, sfratto per Lucija, missione punitiva nei confronti di Martin, accusato di favorire l’esercito jugoslavo, passando informazioni al Capitano Savo.
Così descritto, nelle tematiche, parrebbe un film particolarmente grave e cupo. L’impressione, durante la visione, è però tutt’altra: la recitazione enfatica, il carattere sopra alle righe di molti personaggi e la natura paradossale di alcuni episodi, come la comica ricerca del gatto Bonny, danno al film un sapore balcanico in senso “kusturicano”, col suo modo indiretto e surreale di parlare della guerra…

Cirkus Columbia, diffuse ainsi une mélancolique secrète, sur le fil entre gravité et légèreté; un équilibre parfaitement résumé par sa superbe fin ouverte, à laquelle on peut coller plusieurs interprétations possibles (est-elle rêvée ? réelle ?). La beau plan final réunit, en un seul panoramique, les deux extrêmes du film : la douceur d’une parenthèse enchantée, et l’horreur d’un massacre à ses portes. De facture plutôt mineure, le dernier Tanovic ne restera pas dans les mémoires comme un film définitif sur les ravages de la guerre, apte à constituer une référence du genre ; cela dit, c’est une jolie petite bulle, pleine d’une profondeur cachée, qui fait naître en nous une émotion gracile et précieuse. Le cinéaste bosniaque n’a pas dit son dernier mot.

I toni sono inizialmente leggeri, la voglia di compiacere il pubblico cercando la risata arriva a eccedere (la grottesca ricerca del gatto nero), il folclore rischia di mangiarsi il film, ma gli inserti drammatici non lasciano indifferenti e il film conferma una visione personale che diventa stile grazie alla capacità del regista di imprimere un ritmo, anche interiore, agli eventi. Indubbio, poi, il talento per la direzione degli attori, la composizione delle inquadrature e l’impaginazione delle immagini…

Nessun commento:

Posta un commento