(intervista di Alessandro Bianchi)
Girato in un carcere dismesso in Giordania, 3000 notti è
il film che consacra a livello planetario la carriera della regista palestinese
Mai Masri. “Nel 2015, quando è stato realizzato il film, nelle
prigioni israeliane si trovavano 6000 palestinesi, uomini, donne e minori. È la
storia di una di loro”, ha dichiarato in un’intervista l’autrice per
descrivere la figura, divenuta iconica, della protagonista Layal, giovane
palestinese arrestata senza nessun valido motivo dalle autorità israeliane e
che scoprirà la sua maternità in carcere.
“Gli israeliani e la mia casa – Nablus e Shatila: Sotto le
macerie” (1983); I bambini del fuoco (1990)” fanno rivivere il
dramma delle donne e bambini sotto l’occupazione. In “Donne oltre le
frontiere, 2004”, si ascolta Kifah Afifi rievocare la brutalità del
campo di Khyam: “Sono morta cento volte ogni giorno in quella cella”,
e Soha Bechara, che ha messo in gioco la propria vita per la liberazione del
suo Paese, ripetere: “Non dimentichiamo la Palestina”. Amore e
resistenza sono i due temi che ricorrono sempre nelle opere di Mai Masri. “I
suoi film sono l’antitesi degli stereotipi che disumanizzano e
tolgono i loro diritti ai palestinesi. Lei non documenta solo ciò che viene
fatto subire ai palestinesi dal 1948, ma mostra chi sono veramente”, chiosa
alla perfezione Victoria Brittain in un bellissimo lavoro di raccordo delle
opere della regista (“Love and resistance in the films of Mai Masri”).
Le immagini nei lavori dell'artista palestinese non si soffermano
esclusivamente sulla disperazione e dolore, si ostinano a cercare, anche nella
più grande sofferenza, l’amore e la bellezza. Viene da domandarsi come sia
possibile oggi alla luce delle immagini tremende del genocidio in corso a Gaza.
In esclusiva, l’AntiDiplomatico ha avuto l’onore di rivolgere alla grande
artista palestinese alcune domande sulla mattanza in corso nella sua terra e la
nuova fase del conflitto in Palestina.
L’intervista
Da regista come vedi il ruolo del cinema rispetto allo sterminio in atto a Gaza
nelle ultime settimane?
Credo nella potenza della narrazione per la nostra lotta e nel ruolo del
cinema per cambiare la narrativa sulla Palestina. Sfortunatamente i principali
media hanno disumanizzato il popolo palestinese e la sua lotta già da molto
tempo. Il cinema può svolgere un ruolo fondamentale nel mettere in luce la
sofferenza e la resistenza del popolo di Gaza di fronte al genocidio in corso.
Il nostro ruolo come registi di tutto il mondo è concentrarci sulle vite, le
speranze e i sogni dei palestinesi. Mentre guardiamo le immagini dal vivo di
morte e distruzione provenienti da Gaza, nessuno può affermare di non sapere
cosa sta accadendo. Questo è il primo genocidio televisivo della storia. Una
continuazione della Nakba del 1948, quando centinaia di migliaia di palestinesi
furono costretti a lasciare le loro case e la loro terra. Come regista
palestinese sento la grande responsabilità non solo di testimoniare le atrocità
che si stanno consumando a Gaza, ma anche di portare al mondo le nostre storie
di umanità, speranza e resilienza.
Cosa pensi del boicottaggio su artisti e accademici israeliani che
partecipano a iniziative organizzate e patrocinate dallo stato d'Israele? A tuo
avviso la campagna BDS (Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni) era valida già
prima della posizione estremista del governo di Netanyahu?
Il boicottaggio su artisti e studiosi israeliani che partecipano ad
attività culturali sponsorizzate dallo stato d'Israele è uno strumento
legittimo e potente contro l'occupazione e l'apartheid. E' anche una forma di
resistenza civile molto efficace, modellata sul successo della campagna
mondiale di boicottaggio contro il governo razzista del Sud Africa. Il razzismo
e l'apartheid sono state parte integrante della ideologia e della struttura
dello Stato israeliano molto prima del governo estremista di Netanyahu. Durante
le recenti proiezioni dei miei film negli Stati Uniti e in Europa, ho notato un
cambiamento nell'opinione pubblica, soprattutto tra i giovani e gli studenti,
molti dei quali sono ebrei e sono in prima linea nel movimento contro
l'occupazione e l'apartheid. E' incoraggiante vedere che ci sono sempre più
artisti, studiosi e studenti ebrei in tutto il mondo che si oppongono
all'occupazione israeliana e ai crimini di guerra contro il popolo palestinese
e hanno assunto una posizione coraggiosa: “Non in nostro nome”.
L'idea di uno Stato unico laico e democratico concepita dalla Olp
(Organizzazione per la Liberazione della Palestina) prima degli accordi di
Oslo, con il senno di poi, sarebbe stata la soluzione più saggia? Abbiamo visto
che la narrazione due Stati due popoli ha portato all'avanzamento del progetto
di colonizzazione d'insediamento da parte d'Israele e un netto e tragico
peggioramento delle condizioni di vita del popolo palestinese.
Ho sempre creduto in uno Stato unico laico e democratico per palestinesi e
israeliani. Questa è l'unica soluzione praticabile ed equa per entrambi i popoli.
C'è molta ipocrisia da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati europei che
sostengono a parole la soluzione dei due Stati e non fanno nulla per attuarla.
Questo ha incoraggiato Israele a continuare la sua brutale occupazione della
Cisgiordania, a costruire centinaia di insediamenti illegali e a continuare ad
assediare Gaza in violazione del diritto internazionale. Israele ha reso
impossibile la soluzione dei due Stati. E' tempo che il mondo prenda una
posizione ferma e mantenga le promesse fatte ai palestinesi. Nonostante la
tragica situazione a Gaza, sono molto fiduciosa che la Palestina sarà libera. E
che questo accadrà mentre io sarò ancora in vita. Questa ingiustizia non può
continuare. Nessuno potrà essere libero finché la Palestina non sarà libera.
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