un film australiano nel quale Caleb Landry Jones eccelle (anche gli altri, ma è lui il protagonista).
Nitram (Martin al contrario) è un ragazzo figlio unico, con mille problemi, anche mentali, ha il cervello di un bambino di 10 anni, è manipolabile e manipolatore, con una passione (maledetta) per le armi.
lo vediamo con i genitori, due poveri diavoli che non riescono ad arginarlo, non ha amici, era bullizzato a scuola, coi genitori è come un bambino, ma con la forza di un uomo, viene "adottato" da una vecchia (ma avrebbe potuto vivere di più) e ricca cantante.
finché un giorno la testa impazzisce del tutto, ma con la lucidità di un serial killer.
un gran film, con un grandissimo attore, e un ottimo regista, in una storia che non lascia indifferenti.
buona (tasmaniana) visione - Ismaele
LA PAROLA AL REGISTA
"Da
quattro anni vivo in Tasmania, dove io e mia moglie (l'attrice Essie Davis,
ndr) abbiamo deciso di crescere i nostri figli. Abbiamo fatto questa scelta
perché non c'è posto più bello di questa regione e della sua gente. Ci sono uno
spirito e una resilienza qui che non sono secondi a nessuno. D'inverno, le
tempeste antartiche colpiscono le coste e, curiosamente, la Tasmania si anima
di un'energia tutta particolare, di curiosità, di bisogno di esplorazione e di
conoscenza del luogo stesso e del suo passato.
In effetti,
il suo passato include molti fantasmi, tante tragedie irrisolte che
perseguitano ancora la terra e fluttuano come una nebbia costante sulla sua
incommensurabile bellezza. Tale riflessione è complessa e richiede una certa
cautela perché ci sono cose di cui è meglio non parlare, un'oscurità che è
meglio evitare. Le ombre tremano ma rimangono per lo più nell'oscurità.
La
sceneggiatura di Nitram di Shaun Grant esce da questa zona grigia. È
inaspettata, onesta e rivelatrice, dettata dal desiderio di capire e di
sollevare domande su uno dei capitoli più oscuri della storia australiana, il
massacro di Port Arthur nel 1996. La metodica rivelazione del personaggio nelle
settimane che precedono il dramma è così vivida e insondabile che va ben oltre
la sua mostruosità e mi ha portato a confrontarmi con qualcuno che sentivo di
conoscere, di aver incrociato, di aver ignorato... qualcuno che avrei visto ma
poi dimenticato.
Il ritratto
che dipinge, la famiglia che ha creato e la stessa strada in cui vive, mi hanno
parlato, mi sono sembrati familiari. Questo dispiegarsi progressivo del
personaggio, questa disintegrazione e questo isolamento mi hanno spinto
inesorabilmente a considerare come una persona può trasformarsi in Leviatano.
E, una volta che ha raggiunto la sua fase più pericolosa e instabile, cos'è che
lo ribalta e lo spinge a fare la scelta peggiore che si possa immaginare?
Il momento
in cui si sente più incertezza è quando compra le sue prime armi da fuoco.
L'orrore di questa scena mi porta a sostenere maggiormente una riforma
legislativa sulle armi, più di qualsiasi discussione o statistica
sull'argomento. Cristallizza il dramma in un modo che dimostra chiaramente gli
errori del passato e come le regole sulle armi possano essere al servizio dei
più vulnerabili e pericolosi.
Sin dal mio
primo film, mi sono interessato al motivo per cui certi giovani cercano
risposte in una forma di violenza così estrema. È a causa di un vuoto
culturale, che priva questi esseri di una vera comunità, è dovuto a una
mancanza di senso di appartenenza? Quando non c'è la Chiesa a unire, nessun
attaccamento alle proprie radici, nessun legame con la terra o il proprio
paese, quali punti di riferimento si hanno? Quali sono gli elementi che
arrivano a deviarli e a spingerli verso il bisogno, insensibile e sciocco, di
uccidere?
Come
regista, cerco di affrontare le cose nel modo più delicato possibile. So bene
che questo film parla di un evento che in molti preferirebbero evitare o
dimenticare. Il dolore è profondo. Dimenticare ci aiuta a sopravvivere ma la
libertà viene dalla memoria. Ho provato a sondare l'oscurità per un po' di
verità e per capire l'inaudito. Non ci sono risposte assolute ma la strage di
Port Arthur fa parte della nostra eredità, è un fardello della nostra storia e
ci avverte dei pericoli che il nostro futuro comporta".
Il regista australiano
Justin Kurzel, dopo Macbeth, Assassin’s Creed e True History of the Kelly Gang,
abbandona le ambizioni da kolossal per ritornare a dedicarsi a storie più
intime e inquietanti come in Snowtown. Nitram, infatti, si occupa
del disagio giovanile che porta a compiere le azioni più estreme. Basato su una
storia vera, quella del massacro di Port Arthur, nel 1996, nello stato della
Tasmania, dove un ragazzo di 29 anni uccise a colpi di arma da fuoco 35
persone. Kurzel in Nitram prova
a tracciare il profilo del giovane assassino (interpretato da Caleb Landry
Jones, che si è aggiudicato la palma per la miglior interpretazione maschile),
un ragazzo sociopatico, con il quoziente intellettivo di un bambino di 10 anni,
pieno di nevrosi e ossessioni. Il rapporto con la famiglia è disastroso, il
padre è troppo accondiscendente e la madre aggressiva.
Il ragazzo scapperà di
casa quando incontrerà un’eccentrica donna, mezza pazza pure lei ma piena di
soldi. I due vanno a vivere insieme e quando lei morirà (in uno spettacolare
incidente di macchina, va detto) Nitram erediterà una fortuna. Ma cosa può fare
un demente schizzato con tutti quei soldi? Comprare armi e giocare alla guerra.
Insomma, quello che Kurzel ci vuole raccontare è semplice, chiaro e lineare, ma
a cosa serva non saprei dirlo. Nel senso che, se il tentativo era quello di
spiegare i meccanismi mentali/sociali che spingono un ragazzo ad armarsi come
Rambo e compiere una strage a scuola, allora la scelta del killer di Port
Arthur sembra un esempio un po’ troppo borderline da prendere in
considerazione. Il ragazzo, chiaramente, è un sociopatico con gravi turbe
psichiche e quindi non può essere certo considerato uno standard, ma
un’eccezione. La critica di Nitram potrebbe
essere invece rivolta alla facilità estrema con la quale ci si procurano le
armi in Australia (come in America), ma la cosa è fin troppo nota e meglio
raccontata da altre parti.
…Cada una de las escenas del film va
construyendo su camino hacia la conclusión, presentando situaciones que podrían
parecer banales y nimias a simple vista pero que van creando el rechazo en el
corazón de Nitram. El sentimiento de estar fuera de las normas de lo social, de
no encajar sin entender bien el por qué, constituye la base de esta obra
que busca la controversia, el debate y la reflexión acerca de la educación y el
trato para con el otro, además de la necesidad de poner freno a la
discriminación social y a la venta masiva de armas.
La actuación de Caleb Landry Jones ex
extraordinaria y soporta muy bien los primeros planos con una mirada extraviada
y una expresión de desorientación ante todo lo que ocurre a su alrededor,
completamente ajeno a las consecuencias de sus acciones. Kurzel logra así sacar
lo mejor de cada actor en la que es sin duda alguna su mejor película
hasta la fecha. En clave de realismo descarnado y drama trágico, Nitram recuerda
a obras como We
Need to Talk About Kevin (2011), el perturbador film de Lynne
Ramsay protagonizado por Tilda Swinton basado en la novela de la escritora
británica Lionel Shriver, Targets (1968),
la gran ópera prima de Peter Bogdanovich protagonizada por Boris Karloff y Tim
O’Kelly, y Elephant (2003),
de Gus van Sant, trabajos que promueven la discusión sobre un tema que
deja heridas que nunca sanan y que desencadenan preguntas sobre la ferocidad de
la naturaleza humana.
El film ahonda en un evento complejo y
trágico para ofrecer todas sus facetas con paciencia y sensibilidad, tomando
una posición muy clara en contra de la portación indiscriminada de armas en su
país y del maltrato y la intimidación, presentando a Nitram en toda su
dimensión de victima a victimario, de joven ultrajado psicológicamente a
asesino sanguinario y brutal en una línea muy fina sobre la que es imposible
opinar sin caer en juicios estúpidos y simplistas que reducen un debate muy
rico sobre la comunidad global que estamos creando.
…Justin Kurzel es sin duda
cruel, en cierto modo. Nos ofrece estas pequeñas ventanas de felicidad, estas
escenas que nos hacen plantearnos si la historia no podría acabar de otra
manera.
Habrá quien se pregunte qué hacía una película como Nitram es el Festival de Sitges el año pasado. Dirán que no es "una peli de miedo", que no hay monstruos, ni fantasmas, ni ningún tipo de criatura sobrenatural. Tampoco hay demasiada violencia explícita, ni una sola gota de sangre (a excepción de un accidente de coche). Entonces, ¿Dónde está el terror de Nitram? Pues bien, su terror está en lo que no enseña, en lo que se va gestando minuto a minuto. Su terror está en hacerte pensar que alguien como Martin podría cruzarse en tu camino, tal como se cruzó en el de esas 58 personas aquel soleado 28 de abril de 1996.
Cuando terminé de
verla no sentí que me había impactado en extremo. Sin embargo, a la mañana
siguiente, tomando algo tranquilamente en una cafetería, un pequeño escalofrío
me recorrió. ¿Y si un "Nitram" entrara en ese momento por la puerta
decidido a "darse a conocer"? Ese es el terror del que hablo.
Nitram no es el
clásico "true crime" al que estamos acostumbrados, si no que va más
allá. Su ritmo es lento, pero completamente desasosegante. Es como contemplar
una bomba haciendo "tic-tac", y no saber cuándo va a acabar
explotando, pero sí que estás seguro de que lo hará.
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