una navicella spaziale che sembra una casetta, un'androide che fa il corriere nello spazio, porta pacchi a umani che vivono da qualche parte (in altri pianeti?), ed è un'androide curiosa, e guarda cosa c'è nei pacchi, cosa da niente, memorie, ricordi, piccoli oggetti, niente di prezioso in senso oggettivo.
l'androide corriere non ha fretta, aspetta tutti i destinatari dei pacchi, qualcuno la ringrazia.
ormai il pianeta Terra, e forse tutti, sono come il Giappone di Fukushima, un mondo al tramonto, triste, senza colori, senza troppe speranze.
un piccolo grande film che sorprende, da non perdere.
buona visione, in una terra desolata - Ismaele
…il
regista giapponese torna a trattare con più convinzione e forza le conseguenze
del drammatico tsunami e dell’incidente nucleare che ne seguì nel 2011,
portandoci sui luoghi della tragedia, mostrandoci i sopravvissuti cui il film è
dedicato: da qui parte l’era post-apocalittica, da qui Sono immagina
un mondo frammentato nella solitudine dello spazio infinito, da qui sviscera il
tema della memoria che rimane l’ultima disperata arma per cercare la salvezza.
Tutta la pellicola, sotto le vesti di uno sci-fi minimalista
girato in un bellissimo bianco e nero, è una riflessione profonda e sentita su
questa condizione dell’uomo sull’orlo del baratro e della sua solitudine che
assumono le forme della vera ossessione per Sono,
probabilmente il regista giapponese che più di ogni altro ha saputo indagare la
portata dell’evento del 2011 e le sue devastanti conseguenze. Non che in The Whispering Star manchi
quel tocco personale che ha fatto di Sono uno
degli autori più originali del cinema contemporaneo, ma stavolta si può ben
dire che abbia voluto fare un film 'serio', sebbene ridotto all’osso dal punto
di vista del budget e dell’impegno economico, quasi una sua personale ed intima
riflessione sussurrata e non gridata come ci si aspetterebbe da lui.
Nonostante la desolazione mostrata, il pianeta popolato da esseri umani abitato
di sole ombre, efficacemente descritto in una delle scene più belle, i messaggi
dolorosi e che rimandano al passato contenuti nelle scatole che Suzuki consegna,
nel finale proprio attraverso l’androide Sono lascia
aperto uno spiraglio sulla possibilità di salvezza dell’umanità. L’impronta
della pellicola, come detto, è minimalista: voci sussurrate, musica appena
accennata, rumori ovattati, immagini di quieto abbandono, gesti misurati che
servono a descrivere lo smarrimento e la condizione di isolamento e di
prostrazione lungo uno spazio temporale compresso, perentoriamente scandito dal
trascorrere dei giorni.
Pur
mostrando qualche limite proprio nella sua asetticità e astrazione
frequenti, The Whispering Star è
opera che lascia il segno, stimola la riflessione sulle sorti dell’uomo e
soprattutto, come ha tenuto a precisare il regista stesso, è un forte rimando
alla potenza della memoria e del ricordo, forse l’unica arma rimasta per
trovare una via salvifica.
…Protagonista del film
è una androide che fa il corriere per gli uomini, viaggiando a bordo di una
nave spaziale che ha l'aspetto di una vetusta abitazione del ventesimo secolo
(tutto è vintage nel film: la cucina con i fornelli a gas e i
rubinetti che perdono, le luci al neon, i nastri magnetici...). Interpretata
dalla moglie del regista, Megumi Kagurazaka, la sola compagnia del corriere ID
722 Yoko Suzuki è il computer di bordo 67 MAH Em.
Per consegnare un pacco occorrono anni. La prima mezz'ora del film si svolge
tutta all'interno di quella "abitazione" che è la nave spaziale, con
una finestra aperta sulle stelle, a descriverci la vita di bordo e la
solitudine di Yoko, vissuta con la totale impassibilità di una macchina (la
narrazione è resa affascinante dalla nobiltà della regia, capace di parlare
quasi esclusivamente attraverso la composizione delle inquadrature, i
dettagli e il montaggio, come in un film muto). La androide non sa
spiegarsi la ragione per cui gli uomini, dispersi fra pianeti
lontanissimi, insistano a preferire la consegna manuale, anziché avvalersi
della comodità istantanea del teletrasporto. D'altra parte, Yoko è curiosa del
contenuto dei pacchi. Sbirciandovi, scoprirà che ognuna di quelle scatole
contiene un solo piccolo oggetto: una fotografia, una matita, un
(nostalgico...) frammento di pellicola.
Forse Yoko non capisce, noi sì. Gli uomini vivono in uno stato di solitudine
rassegnata, cui è persa anche la disperazione: ma i ricordi, la loro
materialità, non cessano di avere una risonanza emotiva. Tutto ciò che ci
rimane è la memoria, sembra dirci Sion Sono, in questo che è sì un film "dedicato
alle vittime di Fukushima", ma si estende a farsi metafora, universale -
inedita e splendida - della solitudine dell'era digitale. In questo scenario da
day-after, per il tramite potentissimo di Fukushima, riecheggiano le tematiche
ambientaliste - la nostalgia per la natura - di cui è intrisa la cultura
giapponese (da Ozu a Kawase, passando per Imamura e Tsukamoto, Miyazaki e
Takahata...). Tutti i pianeti sono uguali, tutti sono lo stesso: la Terra.
Abbiamo trasformato l'intero pianeta, anzi l'universo intero, nella
regione di Fukushima.
Si tratta chiaramente di fantascienza "d'autore": un po' come
"Alphaville" di Godard, o "Farenheit
451" di Truffaut, o anche "Sul
globo d'argento" di Zulawski. Film che condividono con "The
whispering star" l'ambientazione "nel futuro" di scenari, retrò
o contemporanei, in ogni caso deliberatamente incongrui con il grado di
sviluppo tecnologico che supporrebbero. Pur restando entro le coordinate
esteriori di un film di "fantascienza", Sion Sono riporta sulla Terra
il senso di solitudine panica restituito spesso dalla fantascienza dopo "2001
Odissea nello spazio". Il silenzio è pervasivo: e ossessiona a tal
punto che uno dei "superstiti", per sconfiggerlo, porta attaccata
alla suola della scarpa una lattina schiacciata, col cui rumore accompagnare il
proprio passo. Anche Yoko, imitando quell'uomo, attaccherà alla scarpa una
lattina schiacciata. Segno forse che anche la macchina non è immune al senso di
vuoto e solitudine.
Non mancano i tocchi di ironia peculiari del suo autore, di cui sono intrisi ad
esempio gli ammiccamenti a Kubrick. Non solo
"2001", con le disfunzioni del computer di bordo, che in "The whispering
star" ha preso a confondere l'interno con l'esterno dell'astronave
(scambiando per meteoriti le farfalle che si agitano dentro le plafoniere al
neon), ma anche "Shining". Il film, infatti, è, come
"Shining", contrappuntato da cartelli che segnalano incongrue
progressioni temporali, narrativamente ininfluenti, utili solo ad amplificare
la percezione di un tempo infinito e infinitamente rallentato.
A dominare è un'atmosfera di sospensione totale, un'attesa beckettiana privata
della speranza dell'attesa. Eppure, "The whispering star" non è un
film disperato. Appena messo piede sulla Terra, alla prima visita di Yoko su un
pianeta, il film si accende improvvisamente di toni elegiaci, con un tocco di
colore (solo un breve momento; il colore non tornerà più) e uno
struggente motivo in minore a fare da accompagnamento.
A differenza del colore, la musica tornerà alcune volte. Un brano suonato
al clavicembalo accompagna tutta la sequenza finale, che (anche per l'epoca
dello strumento scelto, oltre che per l'illuminazione e l'ambientazione
claustrale) strizza vagamente l'occhio, ancora una volta, a "2001"
(la stanza rococò). L'importanza dell'ultima sequenza è indicata dal titolo
(solo in essa vediamo "la stella dei sussurri"). Si tratta di un
altissimo momento di cinema: giunta per una consegna sul pianeta dove
ogni rumore sopra i 30 decibel può essere fatale, Yoko percorre un corridoio
tra sottili pareti shoji dietro cui si intravede la vita sotto
forma ormai di ombre cinesi. Ma è vita, vita vera: intensa, quotidiana, felice.
Non più solitudine: vita finalmente, come non l'avevamo sin qui ancora vista.
Vita che trionfa sul silenzio a dispetto del silenzio. Una sequenza da pelle
d'oca, cui, come di fronte ad ogni metafora ad alto tasso suggestivo, la
ragione deve ritrarsi: nessuno sforzo ermeneutico può renderle giustizia.
…In The Whispering Star si resta semplicemente
ammirati nella contemplazione, amara ma sempre solidale e partecipe, di ciò che
diventeremo allorquando perderemo, senza possibilità alcuna di ritorno
indietro, la capacità di emozionarci, di stimolare la nostra disposizione alla
conoscenza, dell’altro e dell’altrove. Solamente in quel momento saremo davvero
soli, al pari delle simboliche creature – umane o no? – che si aggirano lungo
pianeti colonizzati senza essere mai stati realmente vissuti. Un peccato
(im)mortale che prima o poi la razza umana coglierà, come sempre ha fatto nella
sua storia ormai millenaria. Perdendo l’anima.
E in quel fatidico momento non ci sarà alcun film come The Whispering Star (la stella del sussurro:
chi vedrà il film comprenderà appieno il motivo di tale titolo..) ad
esorcizzare poeticamente qualsiasi nostra paura. E forse non ci sarà nemmeno il
privilegio della paura umana. Solo un oblio privo di termine, simboleggiato dal
pacco che Yoko Suzuki spedisce a se stessa nello splendido finale di un film
assolutamente da non lasciar naufragare nelle secche della memoria.
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