in una specie di paradiso (quando non ci sono i tifoni) Kaito e Kyoko sono due tormentati fidanzatini, Kyoko è più matura, ha la mamma malata, una sciamana, Kaito ha i genitori separati e non lo sopporta.
nel film succedono poche cose, tutte quelle importanti, però, ed è una vita alla quale non siamo più abituati.
un piccolo grande film, da non perdere.
buona (tormentata e incantata) visione - Ismaele
Sull’isola di Amami-Oshima la vita segue i
ritmi della natura e le tradizioni sono ad essa strettamente collegate. In
estate, durante una notte di luna piena, allietata dalle danze tradizionali, il
Kaito trova sulla spiaggia il cadavere di un uomo con la schiena tatuata. Kaito
ha sedici anni e vive da solo con la madre (il padre, fa il tatuatore a Tokyo),
ed è innamorato della coetanea Kyoto, la cui madre, da tempo malata, sta per
morire. Entrambi, si interrogano, ognuno a suo modo, sul senso della vita,
della morte, assistendo alla nascita del loro amore.
Viene in mente Moe no Suzaku, il
film con cui nel ’97 Kawase Naomi vinse la Camera d’or per la migliore opera
prima. Da allora il suo cinema, metafisico, spirituale, pànico, femminile e
intimamente autobiografico ha visitato angoli remoti dell’animo umano e ha
messo in scena il sentire nelle sue più sottili sfumature, il rapporto
dell’uomo nell’ambiente in cui abita, l’ebbrezza malinconica dei giorni, la
levità dei sentimenti, i fili che si intrecciano per non potersi mai più sciogliere.
Lo stare nel mondo. Tutto torna anche in questo splendido Futatsume no
mado in cui Kawase si lascia sedurre dalla simbiosi dell’uomo con la
natura e racconta il ciclo della vita e la memoria racchiusa nei luoghi. Pare
che la famiglia della regista fosse originaria di quest’isola, per questo, dopo
tanti film ambientati a Nara, la decisione di cambiare paesaggio e sprofondare
in una sorta di sogno ancestrale.
Bellezza ed equilibrio sono il comun
denominatore che sottende ogni immagine di questo film dolcemente visionario,
dove gli alberi hanno più di 400 anni, sono abitati dalle divinità (e allora
come non pensare a Avatar) e ci insegnano a guardare in alto. La
madre di Kyoto è una sciamana. Vede cose che gli altri non possono vedere,
eppure, attraverso il suo sguardo, possiamo sentire e capirne la complessità.
La stessa Kyoto vive in modo più istintivo, nuota nuda o vestita, e si lascia
accarezzare dal vento come se le stesse parlando. Però non comprende la morte,
soprattutto quella imminente della madre, mentre Kaito non riesce a nuotare
nell’acqua del mare, “perché è viva”. Imparano entrambi qualcosa di importante
sul mistero dell’esistenza e sulle loro stesse paure. Crescono e scoprono
davvero il mondo, come a voler posare per la prima volta lo sguardo su qualcosa
che sta cambiando nell’istante irripetibile in cui accade. Ecco spiegata
l’irrequietezza che, pure, affiora nei movimenti di macchina, nei lunghi camera
car, nelle vibrazioni della camera a mano. In un brevissimo flashback Kyoto
rivede in cucina la madre intenta a preparare il pranzo. È un attimo di
sbandamento senza spiegazione, ma capace, da solo, di imprimere nel film un
senso di nostalgia impossibile da dimenticare.
Raramente il cinema ha saputo lambire con tale
grazia gli elementi: aria, acqua, terra vivono nel film di Kawase che, non a
caso ambienta questa storia magica in un’isola dove gli abitanti venerano la
natura come fosse una divinità. “Si dice che al di là del mare ci sia un paese
di nome Neriyakanaya, fonte di ogni abbondanza, dove si rifugia l’anima dopo la
morte” spiega Kawase, per questo la morte non può far paura e gli abitanti di
Amami la celebrano quasi festosi, con canti e ricordi da condividere insieme.
Per questo si osserva l’orizzonte sul mare come a voler cercare traccia di
quella terra misteriosa. [Grazia Paganelli]
…Naomi Kawase costruisce un fragile
micorocosmo umano incastonato all'interno di un ambiente naturale potente e
incontrollabile, raccontando con la sua consueta visione olistica una storia
minima ma di grande impatto emozionale. La descrizione intima della famiglia di
Kyoko comprende anche un padre surfer di grande profondità
filosofica, e uno zio anziano che incita Kyoko e Kaito a rivendicare la propria
giovinezza, buttandosi con coraggio nella vita confidando nella certezza che
"noi anziani vi raccoglieremo, se cadete". Da molto tempo non si
vedeva sul grande schermo un ritratto di armonia domestica così realistico e
così profondamente commovente, una testimonianza di interazione amorevole fra
genitori e figli così naturale e organica, lontana anni luce dalle innumerevoli
descrizioni di famiglie disfunzionali minate da rivalità e rancori che il
cinema occidentale dispensa a piene mani. L'intreccio affettivo (e fisico)
interno alla famiglia di Kyoko è un esempio di interdipendenza fra esseri umani
che vivono con gioia il proprio reciproco potenziamento. E anche il giovane
Kaito, che ha perduto questa fonte di energia positiva con il divorzio dei
genitori, sarà invitato a ritrovare un equilibrio all'interno della sua nuova
geografia famigliare.
Kawase affronta di petto, ma con infinita delicatezza e poesia, il tema
dell'accettazione della vita e della morte attraverso la comunione con gli
altri esseri viventi (non solo umani) e con l'ambiente. La fotografia luminosa
e trasparente di Yutaka Yamazaki, fedele D.O.P. di Hirokazu Kore-eda,
contribuisce alla nitidezza del messaggio, veicolato attraverso le immagini e i
silenzi molto più che attraverso i dialoghi. Il risultato è una sorta di
breviario consegnato agli spettatori per accompagnarci nella difficile impresa
di vivere, seguendo il flusso naturale delle cose (l'acqua è l'elemento
ricorrente in tutta la cinematografia di Kawase) e riconoscendoci come parte di
un "tutto" allo stesso tempo immanente e trascendente, con umiltà e
rispetto.
"Un viaggio alla scoperta di sé e della vita che la Kawase
racconta con un occhio sensibile al fascino della natura selvaggia - vento,
onde, piogge, neve - e con un incedere meditabondo e ondivago, attenta alla
bellezza delle cose quanto ai sentimenti delle persone."(Paolo Mereghetti,
'Corriere della sera', 21 maggio 2014) "Molti applausi (...) per 'Still
the Water' di Naomi Kawase, un'altra habituée della Croisette, che ancora una
volta sullo sfondo di una remota zona del Giappone, riflette sulla vita, la
morte, la necessità di essere in sintonia con la natura. Il film, poetico e
contemplativo, segue le vicende di due adolescenti che vedono il loro amore
sbocciare. (...) La Kawase ci invita a riscoprire l'incanto dei piccoli gesti
quotidiani, il conforto di una comunità che sottolinea con antichi riti
importanti momenti di passaggio, la bellezza di sintonizzare il proprio battito
del cuore con quello dell'ambiente che ci circonda. Anche se poi sarà
necessario un catartico tifone per sbloccare situazioni emotive che rischiavano
di sommergere come un violento tsunami i giovani protagonisti."
(Alessandra De Luca, 'Avvenire', 21 maggio 2014) "'Still the Water' è quel
che Terrence Malick avrebbe voluto intendere con 'The Tree of Life' e 'To the
Wonder', ma con una sostanziale differenza: è un film riuscito, un poema visivo
e animista che congiunge mare, cielo, terra senza santini new age,
l'iconografia massimalista e la programmaticità oleografica
dell'americano." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 21 maggio
2014) ""Still the Water", ripropone ancora gli stilemi cari alla
sua autrice (...). La giapponese Naomi Kawase insiste nel fotografare la natura
ora dolce ora selvaggia. (...) Poemetto lirico e drammatico declinato con la
sicurezza di una messa in scena che però si lascia troppo tentare dai tempi
lunghi di una narrativa e di uno sguardo estenuanti." (Natalino Bruzzone,
'Il Secolo XIX', 21 maggio 2014)
…Quest’isola nel film diventa una rappresentazione
nostalgica della natura più spirituale, arcaica ed estinta del Giappone;
un’isola nelle isole, che guarda con nostalgia a un mondo ciclico in cui è la
natura con le sue regole eterne a scandire la vita quotidiana. Siamo lontani
dalla verticalità aerea della megalopoli Tokyo in cui viveva prima Kaito,
qui la verticalità è piuttosto sottomarina, rappresenta l’ignoto, ma visto più
come terreno di scoperta, come tappa di iniziazione, che come cupa minaccia.
Il mare è un elemento decisivo per i giapponesi, in
bilico fra il senso di accerchiamento e la necessità di ritrovarsi insieme ai
propri vicini per affrontare con maggiore forza le singole insularità. Un
Giappone che però ha dimenticato le regole di convivenza con la natura, il
rispetto umile che richiede. Inutile pensare di combatterla, se si vuole
imparare a convivere con i tifoni o con gli tsunami. Kawase propone
una visione ambientalista che ci sembra anche un moto di ribellione nei
confronti di un paese ferito dalla tragedia di Fukushima,
ma che si ostina a non cambiare il suo approccio nei confronti della natura.
Still the Water è un film sui cicli di vita e morte, di crescita e
amore, con due ragazzini che conquistano, spauriti e coraggiosi, timidi e alla
ricerca della guida amorosa dei propri genitori. Un film che insegna a
cavalcare le onde che la vita ci riserva, a sfruttarne la grande energia per
superare le nostre paure affermando la nostra unicità.
…Ciñéndonos a los
tópicos sobre el cine oriental, Aguas tranquilas los
cumple en cuanto al ritmo, pero también en lo que atañe a su sensibilidad. Y
también encaja plenamente en el cine de Kawase, que otras veces ya ha explorado
esa dicotomía entre la vida y la muerte. Pero quizá la película pedía romper
emocionalmente mucho antes de lo que lo hace. Cuando acelera, convence y
conmueve. Antes de eso ofrece mucha belleza, mucha poesía si se quiere y aunque
la metáfora no siempre cale, pero que por ejemplo los mejores planos acuáticos
estén en sus minutos finales evidencia que otro ritmo era posible también en
los tramos más lentos de la historia. Quizá así la película habría llegado con
más facilidad a un público más diverso, pero los ya convencidos de antemano
saldrán más que satisfechos de la experiencia.
…Aguas
tranquilas (Futatsume no mado, 2014) es un filme sencillo a fin de cuentas, muy
en la línea de El bosque del luto, pero un poco mejor, más complejo, austero
pero sugerente. Vaporoso, discreto en gran parte, pero con sus infaltables
ratos de llanto, enfrentamiento y pérdida (sorprendente cómo se maneja
fríamente la madre ante el reproche de su mal llamada lujuria, que bien
ejemplifican las duras imágenes de cómo se matan animales para comerlos),
mientras volteamos la página, pasamos a otro nivel, aprendemos,
superamos, aceptamos, en un deambular tranquilo, donde poco parece pasar (queda
en sentir de que la autora suele repetirse en su filmografía, pero es más ser
fiel a uno, y ahondar en constantes, nuestra conceptualización), en lo que hay mucha
sensación de normalidad, de cariz clásico, aunque se enfrenten a ello. Y en el
medio la naturaleza y la sensualidad, como en sus apetitosos simbólicos
tomates, y nuestras faltas y carencias puestas a prueba.
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