un piccolo mondo antico, coi suoi ritmi e le sue regole.
Dondup vuole fare l'americano, e prova a partire, ma avvicinandosi a Thimphu (la capitale) incontra diverse persone e ascolta storie.
arrivando a Thimphu non sapremo ancora se Dondup deciderà di partire o se resterà nel paese più felice del mondo.
non sarà un campione d'incassi, ma di sicuro è cinema "altro" e si fa vedere bene.
buona (felice) visione - Ismaele
Perché sognare l'America quando si ha, letteralmente, il
mondo ai piedi? Il Bhutan, che il 99,9% di noi non sa nemmeno dove sia, è uno
stato asiatico arrampicato sull'Himalaya, e fa da sfondo alla vicenda di questo
filmetto diretto dall'autore della "Coppa", il film sui lama tibetani
che vogliono vedere i campionati del mondo di calcio.
La morale del film è più o meno qui,
nell'interrogativo citato all'inizio, ma procede per dualismi e coppie: Dondup
che parte e l'amico che resta; Dondup e il monaco; Dondup e il venditore di
mele; Dondup e il monaco contrapposti invece al contadino e a sua figlia Sonam;
i due fratelli del racconto del monaco; Sonam e Deki, le due ragazze. Alla fine
la storia è quella di un viaggio che non si compie, dove i maghi non sanno
neppure fare pozioni e i viaggiatori restano fermi. E tutto sommato, si rendono
conto, non è nemmeno un male.
"Maghi e viaggiatori" è un film
insolito, non un capolavoro, ma un buon film che, anche grazie all'ambientazione
ad altissima quota, ci fa respirare una boccata d'aria buona.
… Quello capirà che il sentimento e la bellezza possono
sbocciare anche nella terra da lui ritenuta avara di sorprese e troppo distante
dal centro della modernità per generare occasioni e indicare traguardi; questo
, risvegliatosi dalla malia prodotta dal fratellino, comprenderà con gioia che
il mero istinto di possesso e l' imperioso richiamo dei sensi costituiscono un
male giacchè quasi certamente conducono alla perdita di sè, dei propri valori
e, in definitiva, della gioia agognata e del piacere di essere vivi.
Il film, insomma, declina il concetto di
temperanza buddhista sullo sfondo di avvenimenti, reali o raccontati (e se tale
narrazione sia o meno frutto di fantasia rappresenta un particolare non
rilevante), invita a soffermarsi sulle occasioni che la vita ci propone ,
tentando di leggerle al di là dei frettolosi rifiuti o degli entusiasmi
facili.Solo così, ci viene suggerito, le occasioni più propizie ed indicate per
ciascuno di noi avranno la possibilità di disvelarsi lasciandoci liberi di
afferrarne il pregio simbolico e la forza salvifica, maturante.
Questo film , nella semplicità descrittiva,
nell' immediatezza delle immagini, nella grazia sottile con cui descrive il
potere trasformante dell' amore e l' arduo percorso delle scelte esistenziali,
resta impresso e felicemente si differenzia dalla ridda di assordanti festival
digitalizzati che sempre più spesso affliggono gli schermi e l' immaginario
coevo.
…The entire presentation
of Travellers and Magicians is beautifully executed, with
excellent use of a constant stream of meaningful closeups that convey soulful
ruminations and feeling. It is not easy to create a naturally and
intuitively progressing visual narrative when using so many (potentially distracting)
closeups, and credit must be given to
the outstanding cinematography of Alan Kozlowski and the smooth editing by John
Scott and Lisa-Anne Morris that makes the embedded narrative flow
mellifluously. Also effective is the haunting indigenous background music
that casts an atmospheric spell over all that is portrayed.What the film Travellers
and Magicians reflects on is something profound about life and the way
narrative construction guides our way through it. I often hear Buddhist
practitioners proclaim that we should meditate by ceasing to think. Turn
off your mind and enter into a samadhi of thoughtlessness they insist.
But I think the situation is not that simple – I don’t believe that one should
simply suppress his or her consciousness.
We are constantly fabricating little mini-narratives as we make our way through
life, and these mini-narratives are frequently collected into little
bundles, as was the case with Dondup. But these mini-narrative bundles
can fixate our attention and blind us to the richness of life that is going on
all around us. The world is constantly presenting us with beautiful
opportunities for heartfelt engagement, and we need to be open and alive to
these temporarily available (like the peach blossom) beautiful opportunities.
Dondup gradually found himself more engaged
with his local surroundings right in front of him, particularly in connection
with the innocent Sonam, and he gradually let loose of his narrative-bundle
fixations. I do believe that mindful meditation is one of the practices
that can help release us from these fixations. In fact it may possibly be
the case that mindful meditation, like pure love, can help us let go of the
conscious world of essences and facilitate our conscious
awareness of our existential agency. For more discussion on
the distinctions between essentialism and existentialism,
see my essay, “Phenomenology and Red
Desert” [7].
To be sure, the Tashi story was clearly a fabricated story of destruction,
a story about passion taking over one’s life and driving oneself to desperate
actions. And in that inner Tashi dream, Tashi lost himself and succumbed
to his desperate passions. In the Dondup story, though, we see
something different – a man who is on the way to finding his authentic self by
letting go of his obsessions and looking around for the constantly emerging new
opportunities that can engage his true soul (i.e. the essential, often
overlooked, loving godliness inside each of us).
Khyentse Norbu conveys these ideas effectively in this film and, to me, offers
an uplifting image for a meaningful spiritual message
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