domenica 14 agosto 2022

Maghi e viaggiatori – Khyentse Norbu

un piccolo mondo antico, coi suoi ritmi e le sue regole.

Dondup vuole fare l'americano, e prova a partire, ma avvicinandosi a Thimphu (la capitale) incontra diverse persone e ascolta storie.

arrivando a Thimphu non sapremo ancora se Dondup deciderà di partire o se resterà nel paese più felice del mondo.

non sarà un campione d'incassi, ma di sicuro è cinema "altro" e si fa vedere bene.

buona (felice) visione - Ismaele


 

 

Perché sognare l'America quando si ha, letteralmente, il mondo ai piedi? Il Bhutan, che il 99,9% di noi non sa nemmeno dove sia, è uno stato asiatico arrampicato sull'Himalaya, e fa da sfondo alla vicenda di questo filmetto diretto dall'autore della "Coppa", il film sui lama tibetani che vogliono vedere i campionati del mondo di calcio.
La morale del film è più o meno qui, nell'interrogativo citato all'inizio, ma procede per dualismi e coppie: Dondup che parte e l'amico che resta; Dondup e il monaco; Dondup e il venditore di mele; Dondup e il monaco contrapposti invece al contadino e a sua figlia Sonam; i due fratelli del racconto del monaco; Sonam e Deki, le due ragazze. Alla fine la storia è quella di un viaggio che non si compie, dove i maghi non sanno neppure fare pozioni e i viaggiatori restano fermi. E tutto sommato, si rendono conto, non è nemmeno un male.
"Maghi e viaggiatori" è un film insolito, non un capolavoro, ma un buon film che, anche grazie all'ambientazione ad altissima quota, ci fa respirare una boccata d'aria buona.

da qui

 

Quello capirà che il sentimento e la bellezza possono sbocciare anche nella terra da lui ritenuta avara di sorprese e troppo distante dal centro della modernità per generare occasioni e indicare traguardi; questo , risvegliatosi dalla malia prodotta dal fratellino, comprenderà con gioia che il mero istinto di possesso e l' imperioso richiamo dei sensi costituiscono un male giacchè quasi certamente conducono alla perdita di sè, dei propri valori e, in definitiva, della gioia agognata e del piacere di essere vivi.
Il film, insomma, declina il concetto di temperanza buddhista sullo sfondo di avvenimenti, reali o raccontati (e se tale narrazione sia o meno frutto di fantasia rappresenta un particolare non rilevante), invita a soffermarsi sulle occasioni che la vita ci propone , tentando di leggerle al di là dei frettolosi rifiuti o degli entusiasmi facili.Solo così, ci viene suggerito, le occasioni più propizie ed indicate per ciascuno di noi avranno la possibilità di disvelarsi lasciandoci liberi di afferrarne il pregio simbolico e la forza salvifica, maturante.
Questo film , nella semplicità descrittiva, nell' immediatezza delle immagini, nella grazia sottile con cui descrive il potere trasformante dell' amore e l' arduo percorso delle scelte esistenziali, resta impresso e felicemente si differenzia dalla ridda di assordanti festival digitalizzati che sempre più spesso affliggono gli schermi e l' immaginario coevo.

da qui

 

The entire presentation of Travellers and Magicians is beautifully executed, with excellent use of a constant stream of meaningful closeups that convey soulful ruminations and feeling.  It is not easy to create a naturally and intuitively progressing visual narrative when using so many (potentially distracting) closeups, and credit must be given to the outstanding cinematography of Alan Kozlowski and the smooth editing by John Scott and Lisa-Anne Morris that makes the embedded narrative flow mellifluously.  Also effective is the haunting indigenous background music that casts an atmospheric spell over all that is portrayed.What the film Travellers and Magicians reflects on is something profound about life and the way narrative construction guides our way through it.  I often hear Buddhist practitioners proclaim that we should meditate by ceasing to think.  Turn off your mind and enter into a samadhi of thoughtlessness they insist.  But I think the situation is not that simple – I don’t believe that one should simply suppress his or her consciousness. 

We are constantly fabricating little mini-narratives as we make our way through life, and these  mini-narratives are frequently collected into little bundles, as was the case with Dondup.  But these mini-narrative bundles can fixate our attention and blind us to the richness of life that is going on all around us.  The world is constantly presenting us with beautiful opportunities for heartfelt engagement, and we need to be open and alive to these temporarily available (like the peach blossom) beautiful opportunities.  Dondup gradually found himself more engaged with his local surroundings right in front of him, particularly in connection with the innocent Sonam, and he gradually let loose of his narrative-bundle fixations.  I do believe that mindful meditation is one of the practices that can help release us from these fixations.  In fact it may possibly be the case that mindful meditation, like pure love, can help us let go of the conscious world of essences and facilitate our conscious awareness of our existential agency. For more discussion on the distinctions between essentialism and existentialism, see my essay, 
“Phenomenology and Red Desert [7].

To be sure, the Tashi story was clearly a fabricated story of destruction, a story about passion taking over one’s life and driving oneself to desperate actions.  And in that inner Tashi dream, Tashi lost himself and succumbed to his desperate passions.  In the Dondup story, though, we see  something different – a man who is on the way to finding his authentic self by letting go of his obsessions and looking around for the constantly emerging new opportunities that can engage his true soul (i.e. the essential, often overlooked, loving godliness inside each of us). 

Khyentse Norbu conveys these ideas effectively in this film and, to me, offers an uplifting image for a meaningful spiritual message

da qui

 

 

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