venerdì 26 agosto 2022

Aloners - Hong Sung-eun

Jin-ah è un'ottima lavoratrice, al call center.

fa una vita solitaria, non ha rapporti con nessuno, sempre sotto il minimo necessario, al lavoro, nel palazzo dove vive, e poco altro.

mangia sola, vive sola, con computer o tv sempre accesi.

l'incarico di fare una minima formazione a una ragazzina la mette in difficoltà, lo fa controvoglia, e si vede.

piccoli movimenti nella sua vita, la ragazzina, un vicino sconosciuto morto, segnali che scalfiscono la sua corazza.

a decide di cambiare vita, con moderazione.

ottima opera prima, merita molto.

buona visione - Ismaele



 

 

Come in un quadro di Edward Hopper, in Aloners la giovane regista coreana crea dei piccoli scorci urbani, dove a regnare è la staticità e anche un certo senso di inadeguatezza. Jina si sente inadeguata nel momento in cui deve uscire dal suo guscio, preferisce mettere una videocamera per controllare suo padre (per poterlo così osservare in solitudine tramite il suo telefonino) al parlarci direttamente. Dopo l’incontro scontro con Suijin e due morti nella sua vita, quella di sua madre e quella del suo vicino di casa, morto schiacciato da una pila di materiali porno che aveva collezionato in casa sua (altro grande Aloner, la cui morte, oltre a sortire un’inevitabile effetto comico, dovrebbe essere di monito a Jina), la giovane inizierà delle riflessioni su questa sua solitudine. Quanto in realtà questo suo sentirsi a suo agio da sola è dovuto soltanto ad una sua inclinazione caratteriale e quanto invece (come sottolinea il meraviglioso personaggio del “matto” che cerca di tornare indietro nel tempo) è la società attorno a lei a portarla a questa condizione?

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La solitudine di Jin-ah, innescata da un padre che aveva abbandonato la propria famiglia e costruita con la propria indipendenza, trova terreno fertile nel suo lavoro. Non è un caso che Jin-ah sia l’operatrice più performante, al pari di un’intelligenza artificiale più consona alla mansione svolta, ad alto livello di alienazione. Tanto è schiva nei rapporti con i conoscenti, quanto è impeccabile nella gestione di clienti disumanizzanti (al limite del patologico) e disumanizzati, che sente ma non vede. Tramite finte scuse, frasi di cortesia e condiscendenza si estranea da conversazioni che potrebbero coinvolgerla emotivamente e renderla empatica. Così come invece accade a Soo-jin, giustamente turbata dal doversi scusare per non aver fatto niente, ma capace anche di instaurare un vero dialogo con chi è dall’atra parte della cornetta.

Il metodo di lavoro di Jin-ah si riflette nella sua vita (a)sociale, mediata da supporti tecnologici che le fanno ordinare il pranzo senza interagire con un cassiere o le consentono di spiare il padre. Inoltre, abita in una casa vuota, in cui concentra tutta la sua vita in un’unica stanza. Cucina, mangia e dorme in una camera da letto in cui la televisione è sempre accesa per distrarla dalla solitudine…

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Aloners descrive un microcosmo claustrofobico ma anche la sua uscita, la fuga di Jina che passa per tante piccole cose, senza che ci sia stato un unico motivo scatenante. Prima di tutto quella sua nuova giovane collega che le viene assegnata come tirocinante, e che comincia così a invadere e condividere il suo spazio vitale, la sua postazione dell’ufficio. Una ragazza un po’ pasticciona, non inquadrata, tant’è che la sua professionalità si rileverà fallimentare. Jina darà un calcio a quella vita, rassegnerà le dimissioni alla capa incredula che riconoscerà che i ritmi di lavoro avrebbero potuto essere allentati. L’accettazione della morte della madre e la riconciliazione col padre passano attraverso la rivelazione al genitore di averlo spiato, e ancora con una modifica tecnologia: la sostituzione del none mamma con padre nella rubrica telefonica del cellulare. Ma la cesura tra le due parti del film, la prigione e la ribellione, avviene con un’immagine apparentemente normalissima ma che, in quel contesto diventa dirompente: la passeggiata di Jina in una strada viva, piena di gente. Una scena collettiva, all’aperto come ancora non si era vista nell’atmosfera asfissiante che aveva, fino a quel momento, governato il film.

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Sung-eun hace un excelente uso de los elementos técnicos para acentuar la soledad de su protagonista. La cámara de Choi Young-ki siempre retrata a Jina de frente a partir de abundantes planos medios y primeros planos, permitiéndonos observar a detalle su rostro y lenguaje corporal, mismos que una fenomenal Gong Seung-yeon controla con precisión para comunicar en momentos clave los cambios en su estado de ánimo. Jina comienza a mostrar cada vez con mayor desesperación ganas de salir de su miseria y Seung-yeon lo plasma con excelencia en pantalla.

Los movimientos de cámara en mano gradualmente aumentan su fuerza para representar la creciente ansiedad que experimenta Jina, mientras que la abundancia de azules en la paleta de colores añade frialdad a su vida. Una astuta mezcla de sonido es utilizada para  exacerbar el forcejeo de Jina con la creciente soledad, además de destacar la paradoja de no tener conexiones reales a pesar de estar en constante comunicación con personas en el call center. Y a esto le agregamos un hermoso y sutil score musical de Lim Min-ju que aparece en los momentos perfectos para brindar un elegante toque de emotividad.

“Aloners” es un filme solemne y emocionalmente poderoso que comprende a la soledad y la manera en cómo la utilizamos para intentar protegernos del dolor. Hong Sung-eun entrega un trabajo sobresaliente que desteje las complejas redes del fenómeno del aislamiento a través de un inteligente estudio de los hilos que las conforman.

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Hong Sung-eun’s remarkable debut feature exposes with extraordinary subtlety what Jina is feeling (she is not the only lonely one in the story), in front of that game of mirrors that speak to her of her present and perhaps of her future and those interactions who lives as intrusions in his world dominated by efficient and dispassionate work and permanent connection to screens. The story is not content with sticking to the drama, but rather adds some disturbing elements and few but accurate touches of humor, creating a climate that captures the viewer. And always with what I call the «elegance» of South Korean fiction.

All of this could not work without the extraordinary performance of Gong Seung-yeon as Jina, who owns a mask of infinite shades that perfectly describe what she expresses and suggest what she hides.

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