mercoledì 24 agosto 2022

Il tocco del peccato - Zhangke Jia

della Cina non sappiamo quasi niente.

per esempio che 18 delle prime 50 città più popolate del pianeta stanno in Cina, e i loro nomi sono quasi tutti ignoti alle nostre orecchie eurocentriche.

il film si compone di quattro episodi, comune denominatore è la violenza, senza freni, definitiva.

un mondo che si trasforma alla velocità del fulmine e nel film troviamo la registrazione del cambiamento, non troppo condiviso da tutti.

Zhangke Jia è una sicurezza.

buona (spietata) visione - Ismaele

 

 

 

 

Jia Zhangke racconta di una Cina lacerata dall’avvento di un capitalismo spietato ed esasperato, basato su corruzione, sfruttamento e sopraffazione, eppure ancora legata a un passato complesso, variegato la cui identità culturale pesa ancora come un macigno che produce scintille e dissociazione con il nuovo. E lo fa con uno stile esemplare, coerente e multiforme, attento alla grande tradizione del cinema marziale nelle esplosioni della violenza ma anche al naturalismo documentaristico della sua produzione recente, viaggiando attraverso lo spazio e il tempo, sfruttando i gradi di separazione tra gli angosciati protagonisti delle quattro vicende principali.

A Touch of Sin, carico di simbolismi eppure essenziale e rigoroso, della Cina e dei cinesi di oggi cattura la vastità geografica e la multiformità etica, senza sforzi apparenti; rifuggendo da ogni strumentalizzazione estetica o morale del dolore e dell’ira che racconta e che mantiene come filo rosso, cullando lo spettatore in una narrazione fluida e incessante come lo scorrere del grande fiume che fa da sfondo ad una delle storie. Quella di Zhangke, elegante ed austera al tempo stesso, è una dolenza sconsolata che entra sottopelle, che cattura e accompagna, che pesa dentro senza annichilire ma sollecitando riflessioni e reazioni.

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Le quattro storie che Jia, con impeccabile maestria e bravura tecnica, tratteggia sono prototipi di un malessere che in Cina, ma estrapolando si potrebbe dire ovunque, serpeggia pericoloso: l'economia selvaggia che chiude le miniere e arricchisce pochi furbetti descritta nel primo segmento, il malessere per una vita ai margini delle luci della ribalta nel secondo, la protervia e la violenza che porta il denaro col quale si crede di poter comprare tutto nella terza storia e il disagio giovanile per una società che destabilizza sia economicamente che sentimentalmente nella tragica quarta parte.

Vagando dall'innevata natale regione dello Shanxi al clima quasi equatoriale del Guandong, dalla selva di grattacieli della metropoli più popolosa del pianeta Chongqing all'Hubei, Jia racconta quasi fosse un unico corpo narrativo le storie di ingiustizia , di soprusi e di prevaricazione ; spazia tra i minatori senza lavoro alle prostitute siano esse in servizio in squallide saune o in lussuosi bordelli travestiti da club esclusivi, tutte situazioni nelle quali pian piano emerge quella che per Jia è una porzione oscura della natura umana: la violenza che esplode come colpo di fucile a pallettoni o come coltellata o ancora come insulto alla propria vita…

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Il film è in realtà un’operazione cinematografica molto astuta. Jia Zhangke traveste con il genere – “un wuxia contemporaneo”, ripete in più e più interviste – questo apologo contro la deriva umana del Paese, narrando 4 storie liberamente ispirate a fatti di cronaca nera occorsi in differenti regioni della Cina. La vendetta, Kitano docet, è il filo rosso del film: contro la privatizzazione selvaggia di una miniera, contro una sconosciuta coppia neoborghese, contro laidi businessman in cerca di sesso mercenario, contro se stessi in quanto amanti non corrisposti. Fossimo in Giappone, la vendetta sarebbe esibita nella sua essenza più profonda, percorso iniziatico di un novello Prometeo che cerca il sé e ciò che gli appartiene. Qui siamo in Cina, la vendetta è un paravento, il deus ex machina di tutta l’opera è il denaro nella sua più cartacea materialità: rotoli di banconote usati, branditi (come in Still Life per farsi vento) per picchiare donne non compiacenti. Sbagliato pensare che l’adorazione materica del denaro sia fenomeno di recente importazione, la ricchezza è sempre stata onorata nella tradizione taoista cinese come favore degli/agli Dei. L’attacco al denaro, per il tramite di esso l’attacco alla ricchezza e alla brama di potere, significa attacco alle radici culturali e religiose della Cina, alla gerarchia delle classi sociali di presunta origine divina, e la scelta di location sperdute e di ancor più sperduti protagonisti rende il messaggio più radicale, rivoluzionario quasi…

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Nel movimento circolare che fa incrociare le quattro storie in cui il film si divide, a prevalere è la condanna ad una sofferenza e a un dolore primigenio che si trasmette agli uomini attraverso un peccato originale che Zhang-Ke sembra attribuire alle colpe di un sistema dominato da egoismo e sopraffazione a cui i personaggi del minatore e quello della receptionist di una sauna rispondono in egual misura e con la medesima violenza; il primo pareggiando i conti con i notabili del villaggio che si sono arricchiti affamando la gente e professando il malaffare, la seconda vendicandosi di chi ha tentato di approfittarsi di lei. Ma non solo, perché nel film del regista cinese non tutto è giustificato da un rapporto di causa-effetto derivato da ragioni sociali, ed alcuni comportamenti rimangono celati da un malessere oscuro (per esempio quello dell’uomo che percuote senza motivo il suo cavallo), difficilmente prevedibile, come accade negli inserti dedicati all’operaio in cerca di lavoro ed all’immigrato tornato a casa, mossi da pulsioni che rimangono ignote ma che producono lo stesso male…

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