sabato 13 agosto 2022

Il mio nome è Khan - Karan Johar

Bollywood fanno anche film che vanno benissimo anche per il pubblico "occidentale". 

Rizvan Khan, a metà fra Forrest Gump e Raymond (protagonista di Rain Man), gira gli Usa per incontrare il presidente e dirgli che anche i musulmani possono essere brave persone.

un'ottima sceneggiatura sostiene il film, denso di storie e personaggi.

Rizvan è un autistico che ce la fa, l'aveva promesso alla mamma, in India, e riesce a trovare una sua strada, e l'amore, contro tutte le convenzioni e i pregiudizi.

non sarà un capolavoro, ma è un gran bel film che non delude.

buona visione - Ismaele



 

 

Uscito fuori da Bollywood, questa parabola su un "candido" che arriva in America e diventa simbolo della volontà di uguaglianza e democrazia possiede la furbizia giusta per convincere. Prodotto ideato e diretto con buon senso del cinema, Il mio nome è Khan strizza l’occhio al cinema mainstream occidentale ed insieme ne ripropone le coordinate principali. Uno spettacolo intelligente e sapientemente assemblato per avere successo in ogni mercato.

Direttamente da Bollywood il regista Karan Johar e la stella del cinema indiano 
Shahrukh Khan hanno realizzato in simbiosi un prodotto che in tutto e per tutto appare specificamente costruito per funzionare non soltanto nel mercato interno, ma anche in quello occidentale. La parabola è quella di un giovane musulmano di Bombay che, affetto da sindrome di Asperger (una forma di autismo piuttosto accentuata) attraversa l'Oceano e si stabilisce a San Francisco, dove mette su famiglia e vive in armonia fino al fatidico 11 settembre 2001, momento in cui lo sguardo dell’America sull’”altro” cambia radicalmente. Khan allora diventa un perseguitato, perde ogni cosa e, ostinato a rincorrere il Presidente degli Stati Uniti per dirgli che lui non è un terrorista, diventa simbolo innocente della volontà di integrazione…

da qui

 

Rizvan Khan soffre sin dalla nascita di una particolare forma di autismo, la Sindrome di Asperger che gli consente di comunicare meglio in forma scritta che orale e che gli impedisce di intuire le reazioni altrui. Cresciuto con la madre e un fratello geloso delle attenzioni che gli venivano dedicate ha sviluppato una particolare abilità nel riparare guasti meccanici. Dopo la morte della genitrice il fratello, emigrato e in carriera da tempo, gli trova un lavoro come rappresentante di prodotti cosmetici negli Stati Uniti. Qui Khan conosce Mandira Rathore, madre single di un ragazzino a cui l'uomo si affeziona e che prenderà il suo cognome. Proprio dal cognome musulmano (Mandira è Hindu) inizieranno i problemi per il ragazzino dopo l'11 settembre 2001. La tragedia è in agguato.
"Il mio cognome è Khan ma non sono un terrorista". Questa è la frase che Rizvan Khan (novello Forrest Gump concepito a Bollywood) 'deve' dire al Presidente degli Stati Uniti dopo che il senso di colpa di essere musulmano è stato scaricato sulle sue spalle con forza. Il cinema indiano ha ormai saputo trovare in se stesso quella forza narrativa che alle latitudini italiche si vorrebbe avere ma che troppo raramente si riesce a concentrare. Riuscire a produrre e girare dei film che coniughino la spettacolarità sotto forma di grande mélo con la volontà di affrontare importanti temi della contemporaneità non è sempre impresa facile.
Karan Johar riesce a sviluppare i molteplici argomenti della diversità senza mai assumere toni predicatori e andando a toccare tutte le corde di un pubblico semplice ma non stupido. L'handicap mentale, la separazione all'interno dell'universo religioso del subcontinente asiatico, l'irrazionale caccia al musulmano scatenatasi dopo l'attentato alle Twin Towers entrano come temi forti in un film che non disdegna la scena strappalacrime così come, nella migliore delle tradizioni, la sequenza con tanto di canzone e di danza. In un film oversize come durata ma che scorre senza mai annoiare
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da qui

 

Il problema di fondo di My Name is Khan è che Bollywood non è in grado di rappresentare la realtà. La Mecca del cinema indiano è interamente votata a una produzione d'intrattenimento puro, dove una rappresentazione estetizzante e patinata del mondo si accompagna necessariamente a intrecci semplici, facilmente comprensibili da tutte le fasce della popolazione locale. Qualunque tentativo di inoculare germi politici e militanti in simili produzioni finisce solo per essere controproducente: la complessità di cui necessitano certi temi per essere affrontati finisce per originare solo stereotipi imbarazzanti e populismo spinto. Eppure il film è stato enormemente apprezzato dalla critica indiana. Segno che la cinematografia più imponente del mondo (in termini di ampiezza di pubblico e di film prodotti) rimane ancora troppo "aliena" agli occhi delle nostre consuetudini da spettatori occidentali.

da qui

 

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