venerdì 13 agosto 2021

L'ultimo uomo della Terra – Ubaldo Ragona

prima di tutti gli altri c'è questo film, tratto di un romanzo del grande Richard Matheson, Io sono leggenda.

cosa manca in questo film? niente.

una Roma mai vista, che non c'è più, senza traffico e senza gente in giro.

guardatelo come se fosse la prima volta, e lo è.

attori non male, Vincent Price superlativo.

buona, imperdibile, visione - Ismaele


 

 

QUI il film completo, in inglese, con sottotitoli in spagnolo

 

 

Fedele adattamento del libro di Matheson, L'ultimo uomo della Terra è uno di quei film a lungo dimenticati, sottovalutati e riscoperti solo di recente. Se oggi le critiche sono positive, al tempo della sua uscita il film venne ignorato o al più liquidato per una evidente povertà di mezzi (malattia endemica per il cinema italiano di genere) e per lo strabordante Vincent Price. Classificato come film dell'orrore, in bianco e nero, e per di più italiano, il film sembrò non dovere meritare attenzione da parte degli esperti di cultura cinematografica…

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L’ultimo uomo della Terra compie un passo ben oltre l’orlo dell’abisso. L’umanità non c’è più. Ha perso, spazzata via da un virus. Certo, lo scienziato interpretato da Vincent Price non ha alcuna intenzione di demordere nella sua ricerca di altri sopravvissuti, e sintonizza di continuo la sua radio, ma il dato di partenza è inoppugnabile: l’uomo è il passato, oramai è lui il virus che minaccia le creature che chiamiamo “mostri”. In un gioco di totale rovesciamento del senso, non poi così dissimile ad altre sortite del cinema nei territori del fantastico (si pensi a un’opera stratificata come Radiazioni BX: distruzione uomo di Jack Arnold, scritto sempre da Richard Matheson partendo da una sua novella), L’ultimo uomo della Terra dichiara la propria inesauribile modernità; superando anche nello sviluppo narrativo qualsiasi ancoraggio agli appigli concessi dal “reale” – con una guerra (contro un virus) non in corso ma finita – dopo averlo fatto già nell’apparato scenografico, sfruttando le geometrie razionaliste e metafisiche dell’Eur…

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L’ultimo uomo della terra è calato in un’atmosfera cupa e inquietante che anticipa il genere postatomico. Siamo in una terra del futuro, dove lo scenario di vite umane è composto da un giustiziere che si muove tra cadaveri e corpi di assurdi ritornanti. L’ambientazione vorrebbe essere americana (Los Angeles), ma è evidente che ci troviamo a Roma, sia per la tipologia di auto, che per le strade e i quartieri della capitale. A un certo punto riconosciamo la scalinata dell’Eur coperta di cadaveri, ma pure la periferia romana tra pini e campagna. Il film è girato a basso budget nel quartiere dell’Eur e rappresenta un prototipo importante per le successive atmosfere horror. La pellicola realizza un quadro apocalittico e realistico di un mondo futuro, contaminando fantascienza e horror, dispensando in piccole dosi momenti romantici e drammatici che rendono la storia più vera. La cosa più riuscita è l’atmosfera livida e spettrale, tra vento e desolazione, il quadro di un mondo senza speranza, vuoto e silenzioso, popolato da zombi che si muovono di notte e cadaveri da bruciare…

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L’ultimo uomo della terra, che in Italia è firmato dall’ex operatore siciliano poi passato alla regia Ubaldo Ragona, mentre le fonti americane accreditano alla regia Sidney Salkow (che aveva diretto Vincent Price l’anno precedente in Twice-Told Tales, in italiano L’esperimento del dott. Zagros), nasce da un romanzo, I Am a Legend, di Richard Matheson (pubblicato in Italia da Fanucci), il quale viene contattato dalla inglese Hammer (la casa di produzione nota per i suoi film horror gotici) per stendere una sceneggiatura per il film. Insoddisfatta dal risultato, la Hammer abbandona il progetto e lo cede all’americana Associated Producers Inc. (API), che lo coproduce con l’italiana Produzioni La Regina (da qui il cast italiano ad affiancare Vincent Price). Se dalle fonti appare difficile attribuire la regia a Ragona o Salkow, è più che probabile che la verità stia nel mezzo e che il passaggio di testimone (o l’affiancamento del regista americano a quello italiano) sia dovuto all’insoddisfazione, questa sì certificata dalle fonti, di Vincent Price in merito alla produzione italiana. È altrettanto certa l’insoddisfazione di Richard Matheson che, innanzitutto, chiede di non firmarlo ma poi, scoperto che perderebbe i diritti d’autore, sceglie di firmarlo con lo pseudonimo Logan Swanson (formato dai cognomi da nubili di sua suocera e sua madre)…

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Autentica gemma della cinematografia italiana di (/de-)genere e caso tutto sommato isolato, se si esclude l’opera straordinaria e irripetibile dei maestri Freda, Bava e, in qualche misura, Margheriti, di cinema horror di altissimo livello estetico, in quel 1964 che stava consacrando una felicissima e fecondissima decade di cinematografia fantastica siglata dal mestiere, ma soprattutto dalla passione, dei Mastrocinque, dei Caiano, dei Polselli, dei Maiano, dei Regnoli etc. L’ultimo uomo della Terra, riscoperto e rivalutato solo 30 anni dopo la sua sfortunatissima uscita nelle sale (episodio che meriterebbe da solo un lungo approfondimento), si annuncia come rivisitazione fascinosa e convincente della mitologia vampiresca, col suo intrigante innesto dell’argomento fantapolitico su un impianto narrativo tipicamente d’orrore: il vampiro non è la solita creatura stockeriana bella e dannata ma un essere contagiato da una sconosciuta quanto devastante epidemia. Va detto da subito che la robustezza dell’intreccio e della sceneggiatura, realizzata a quattro mani da Mario Monetti e Ubaldo Ragona stesso, su un soggetto basato sul racconto I am Legend di Richard Matheson che già godeva di una certa notorietà, contribuisce a fornire solidità a una pellicola che potrebbe vivere già solo per le splendide soluzioni visive e visionarie adottate da Ragona. Film sorprendentemente romeriano 4 anni prima di La notte dei morti viventi che affida il discorso estetico alla costruzione in crescendo della tensione contrassegnata già dall’inquietante teleologia preannunciata dal titolo, la magnifica escatologia del carattere di “ultimità” che prefigura ab initio la tragicità dell’epilogo. Ragona si dimostra cineasta estremamente dotato nel mettere in scena la drammaturgia dello scienziato che, condannato alla solitudine e all’inesorabilità del suo destino, deve compiere la sua missione soteriologica nei confronti della tragica prospettiva di estinzione del genere umano, ma ciò che non finisce di affascinare è la cura delle immagini che contribuisce a creare un’atmosfera cupa, inquietantemente notturna, cadaverica e claustrofobica anche negli esterni asfittici del quartiere Eur trasfigurato dalle livide luci usate dalla fotografia di Franco Delli Colli in chiave decisamente espressionista, apocalittica e desolata come lo spazio desertico  attraversato da figure spettrali, corpi affannosamente deambulanti, deflagranti che ingombrano deliziosamente le nerissime campiture, e gli sguardi allucinati del protagonista, il leggendario, cormaniano e non solo, Vincent Price, valore aggiunto di un piccolo capolavoro.

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Un tempo sapevamo fare il cinema. Non e’ una novita’, non invento nulla, sapevamo fare anche ottima fantascienza e questo e’ gia’ piu’ strano. Non tragga in inganno il titolo "L’ultimo uomo della Terra" perche’ stiamo parlando della trasposizione cinematografica di "Io sono leggenda", uno dei romanzi di fantascienza e non solo, tra i piu’ straordinari di tutti i tempi, a dir poco una pietra miliare del genere, uno di quei libri che passassero cento vite, non si dimenticano…

…Ragona invece resta sul pezzo con le ovvie diversita’, specie sul finale irriproducibile al cinema per via della carica emotiva e concettuale che non puo’ passare dalla carta stampata alla celluloide, eppure la tragedia di un uomo, il protagonista, resta immutata, palpabile, dolorosamente potente anche grazie al grande Vincent Price che regala una prova da grandissimo attore, oltre il genere col quale siamo abituati a pensarlo. Forse un po’ troppo avanti con gli anni ma l’esperienza serve eccome, a trasmettere il dramma di chi sopravvive suo malgrado anche a se stesso. Regia essenziale, quasi minimale, regala una Roma straordinaria col quartiere EUR perfetto teatro di un luogo magico e senza tempo, sospeso tra antico e moderno, perfetto per rendere la visione del film ancora oggi attualissima. Poi la luce dell’alba, evidentemente per limitare ogni presenza estranea, regala un’incredibile atmosfera che sa di magico e drammatico nel contempo. Senza dimenticare che per stessa ammissione di Romero, il film e’ il vero genitore dell’iconografia zombie da lui usate sin dal primo "La notte dei morti viventi"
Un gioiello imperdibile, cinema italiano davvero inimitabile.

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