lunedì 9 agosto 2021

Acciaio – Stefano Mordini

le due ragazzine sembrano prese da Bellas Mariposas (di Salvatore Mereu), amiche per la pelle.

una storia dove anche gli operai fanno la loro (rara) comparsa al cinema, in un posto di fronte all'isola d'Elba, dove si va a fare vacanza, loro, a Piombino, vivono tutto l'anno, senza vacanza e senza fughe (il sogno di molti), come lo schiavo che vuole liberarsi dalle catene.

c'è poco da ridere, ma così va il mondo, per troppi.

a me è piaciuto.

buona visione - Ismaele



 

…L'acciaieria è protagonista indiscussa del film, presente in quasi tutte le splendide inquadrature del compianto Marco Onorato, già direttore della fotografia di Dieci Inverni di Valerio Mieli e di quasi tutti i lungometraggi di Matteo Garrone; il contrasto tra il bellissimo mare su cui si affaccia Piombino e le fumanti ciminiere che deturpano il paesaggio è fondamentale per comprendere la quotidianità dei protagonisti della pellicola, divisi tra la dimensione onirica dell'Isola d'Elba e la realtà del lavoro in fabbrica. Ed è il personaggio di Alessio, il fratello di Anna, ad incarnare questa realtà: il ragazzo, infatti, lavora come operaio nell'acciaieria, svolgendo un lavoro massacrante, che gli permette però di tornare a casa con uno stipendio pulito, necessario per il mantenimento della famiglia; il padre ha lasciato il suo lavoro in fabbrica, per seguire un sogno che lo tiene lontano dalla famiglia e lo arricchisce saltuariamente in modo poco legale.

Alessio – interpretato da Michele Riondino - è il personaggio positivo del film: consapevole dell'onestà del suo lavoro, svolge con serenità la sua attività in fabbrica, impegnandosi e aiutando volenterosamente i colleghi; vive nella costante attesa del ritorno del suo grande amore Elena, la quale torna improvvisamente a Piombino. La ragazza - interpretata da Vittoria Puccini – ha visto infrangersi il sogno di lavorare in una realtà diversa da quella di Piombino, dove è vissuta, nel momento in cui, dopo innumerevoli richieste di assunzione senza risultato, è stata selezionata proprio dagli uffici dell'acciaieria. La storia di Elena suscita un'amara riflessione sul mondo del lavoro di oggi, sulla difficoltà di evadere da una realtà che non soddisfa, ma che sembra essere l'unico modo per andare avanti.

Le difficoltà dei personaggi e la voglia di lasciare tutto non sono dettate da uno spirito di avventura: sono una dolorosa conseguenza del fatto che l'unica possibilità di lavoro è la Lucchini, un futuro diverso non è possibile. Emblematica è l'ultima battuta del film, in cui Anna dice “Mi chiedo sempre perchè il futuro dev'essere altrove, da un'altra parte”.

da qui

 

Nella storia, ambientata a Piombino dove l'acciaieria domina il territorio e il tessuto sociale, s'intrecciano due temi molto forti: gli smarrimenti adolescenziali e le problematiche legate al mondo del lavoro operaio.
Due realtà molto difficili, quasi inesplicabili.
Di qua l'acciaieria che lavora ventiquattro ore al giorno e non si ferma mai, di là Anna e Francesca, piccole ma già grandi, un'amicizia potente ed esclusiva quanto l'amore. L'acciaieria, una fabbrica che lavora a ritmo incessante, e un lavoro logorante in cui ogni piccola distrazione può costare una vita.
Lavorare in questo contesto, fatto di turni, ritmi, percorsi, in mezzo al calore, alla polvere, ai vapori difficili da respirare, comporta un logorio fisico e mentale che rende la vita dell'operaio sempre più stressante e a rischio e si ripercuote sulla collettività con costi sociali altissimi, spesso insostenibili. Eppure è un orgoglio per la città: l'ha fatta crescere, l'ha arricchita, l'ha vista accogliere gente di altre città e di altri paesi. Un orgoglio che però si è concesso qualcosa di troppo nelle vite e sulla pelle delle persone, di chi in quella città vive e di quel lavoro si nutre.

Anche se le due realtà sono molto diverse, tutto ciò riporta inevitabilmente alla mente un altro acciaio, quello dell'ILVA di Taranto, la fabbrica che con le sue emissioni di diossina e polveri, abusa del territorio e mette a rischio la vita dei lavoratori e di un'intera città.
Il film però non racconta solo di ciminiere e lavoro, ma è anche un racconto di marginalità e di formazione adolescenziale, quell'età di passaggio in cui si prova ad essere libere illudendosi di essere donne. Quell'età in cui si conserva ancora la speranza di ribellarsi al sistema, magari partendo proprio dalla solidarietà reciproca. Quell'età in cui si avverte forte l'urgenza di crescere, pur non sapendo bene come farlo.

Tre sono i luoghi che Mordini racconta visivamente con estrema cura, coadiuvato in ciò dalle splendide immagini del compianto Marco Onorato.
Innanzi tutto c'è lo stabilimento siderurgico, un tempo simbolo di progresso e orgoglio di antica potenza e oggi ridotto a carcassa fatiscente; un mostro industriale le cui ciminiere deturpano il bellissimo paesaggio della costa toscana, ma che conserva ancora tutto intero il fascino del magma incandescente delle sue colate, pur avendo perso il suo alone di sacralità.
Poi c'è l'ambiente esterno, volutamente cupo, polveroso, assolato, lunghe distese di sabbia e sterpaglie rischiarate da un sole accecante ma mai vivido.
Infine ci sono i grigi casermoni proletari di via Stalingrado, in cui si consumano le vite di mamme che portano i segni di un lavoro sfiancante, di padri che il fuoco degli altiforni ha liquefatto, di operai lasciati troppo soli e di adolescenti disorientati, tra la voglia di scoprire il mondo e l'impossibilità di farlo.

Pur tra qualche discrepanza narrativa, il film di Mordini ha il grande merito di riportare in primo piano la classe operaia e i suoi problemi da lungo tempo ormai entrambi usciti dagli interessi dei media e dalle decisioni politiche, miopi e distruttrici…

da qui

 

Piombino è una città la cui economia ha da circa un secolo ruotato intorno a quella acciaieria che un tempo si chiamava Ilva (il nome etrusco dell'isola d'Elba) e ora, passata di proprietà, è divenuta Lucchini: Tutto il film rinvia a quel fuoco che tempra il minerale destinato a divenire acciaio. Ma le vite delle persone sono molto più fragili. Si corrodono e si possono anche liquefare (vedi le due figure paterne) di fronte a quel calore. Ciò che riesce a resistere è l'amicizia tra Anna e Francesca che conserva una sua intima purezza che va al di là delle contingenze e che costituisce il cuore pulsante (sul piano narrativo) del film che su di loro concentra la propria attenzione.
Per due non attrici è un peso non da poco che viene sostenuto con una naturalezza che ha in sé tutti i fremiti e le contraddizioni di un'adolescenza che gli adulti spesso non riescono a comprendere.

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La classe operaia, sebbene a partire dagli anni 60 abbia avuto un ruolo da protagonista nei  corsi e ricorsi della storia, così non è stato nel cinema e sono rare le pellicole che l'hanno raccontata ("La classe operaia va in paradiso", "I compagni") riuscendo a trasporre sia il determinismo di esistenze svuotate che i primi moti di ribellione al dispotismo del padrone. Il teen movie, al contrario, fin dagli anni 80 ha vissuto una continua proliferazione. Due anime, l'una sociale e l'altra sentimental-sensuale si incontrano in "Acciaio" come le panoramiche sulla fabbrica e la città industriale con i primi i piani insistiti sui volti e corpi.

Il regista decide di lavorare di sottrazione ma senza riuscire a trovare un canale comunicativo alternativo attraverso cui innalzare la sua opera sopra la soglia della superficialità. Limite, questo, in cui cadono quegli autori che decidono di utilizzare un registro arduo da mettere in scena senza saperlo maneggiare con la dovuta cautela. Come si fa con l'acciaio ardente.

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l’opera di Mordini appare a volte un’indagine sull’instabile età adolescenziale, mentre altre situazioni suggeriscono che sia prontamente incentrata sul tema lavorativo. Due temi che si fondono e proseguono di pari passo su un binario che mantiene fino all’ultima sequenza una tensione drammatica ragguardevole. Dopotutto, per l’intera durata delle pellicola, si respira aria di tragedia e quando questo accade, normalmente, le attese non vengono disilluse. Una prevedibilità scioccante, ma non del tutto necessaria.

Inoltre il regista pone in risalto un’interessante fotografia naturalistica e un cast all’altezza delle aspettative: le due giovani Anna Bellezza e Matilde Giannini, che con naturalezza rendono credibile e intimamente puro un rapporto morboso, e Michele Riondino, un fratello maggiore e allo stesso tempo un operaio, una figura secondaria, che appare e scompare con energica compostezza. Un attore che, in modo compiuto, non fa pesare sulla pellicola il suo status di “primadonna”.

Acciaio ci ricorda che la classe operaia esiste ancora. Non è una pellicola memorabile, ma un interessante spaccato provinciale, nel quale l’acciaio salda i rapporti. Indissolubilmente…

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Ma quanti anni hanno queste ragazzine? Possibile che a quattordici anni facciano sesso, si fidanzino con ragazzi di almeno dieci anni più grandi e una di loro finisca addirittura a fare la spogliarellista in un night club del posto? Va bene il contesto sociale problematico, ma non siamo nel degrado: si tratta di famiglie operaie più che dignitose, non ci sono tossicodipendenti, caso mai qualche piccola illegalità, ma niente di miserevole.

Le acciaierie di Piombino sono state là per decenni, ma hanno cominciato a interessare il cinema soltanto quando hanno iniziato ad essere smantellate: si pensa a La bella vita (1994) di Virzì e a questo Acciaio che presenta grossi problemi fin dal copione. Lucchini è l'ultima incarnazione delle acciaierie di Piombino: nei quindici anni in cui ci ha lavorato mio padre, aveva cambiato diverse volte, da Italsider a Deltasider, dall'Ilva alla Lucchini, che pretese una drastica riduzione di personale, con la conseguenza di qualche centinaio di prepensionati messi a carico delle casse INPS.

Che lavorare come operaio in un'acciaieria non sia l'aspirazione di nessuno è un fatto incontestabile, ma che rappresenti necessariamente una condanna a morte è un'idea sbagliata e peraltro Piombino è una cittadina storica con una vita culturale tutt'altro che disprezzabile, con spiagge e calette tra le più belle di tutta la Toscana, non solo quelle incorniciate dagli impianti industriali.

In questo senso - ma magari l'originario romanzo di Silvia Avallone è di tutt'altra pasta - il film di Mordini gira veramente nel vuoto. Da salvare c'è la bella prestazione di Michele Riondino, che in quanto tarantino proviene da una città davvero devastata da un'acciaieria e ci mette tutto sé stesso. Per il resto, meglio lasciar perdere.

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