la lista incalcolabile di chi è stato in fuga (e però non è riuscito a superare la frontiera, morendo nel 1940) comprende anche Walter Benjamin, che cercava, come tanti, di salvarsi.
il film ne racconta l'ultimo giorno, la fatica, la paura, l'ansia, il terrore, la disperazione, la rassegnazione, lo sforzo, il pensiero, la gentilezza, l'altruismo.
Euplemio Macri è perfetto per la parte di Walter Benjamin.
buona visione - Ismaele
allora le frontiere erano fra uno stato europeo e l'altro, tutti potevano/dovevano emigrare, sia pure con difficoltà, anche in altri continenti, erano bianchi, buone teste e buoni muscoli, servivano tutti, poi sono nati muri e fortezze, per i latinoamericani, gli africani e asiatici, dopo i siriani toccano agli afgani i titoli dei (tele)giornali, in Europa.
QUI il film completo, su Raiplay
…Film particolare Gli
indesiderati d’Europa, frutto di una scelta formale e narrativa
radicale, caratterizzata, anzitutto, dalla quasi assenza di dialoghi, dal suono
del silenzio interrotto soltanto dai respiri affannosi dei protagonisti e dalle
profonde riflessioni di Benjamin sulla Storia e sull’uomo.
Anche l’uso della macchina da presa risulta
originale: Ferraro preferisce riprendere i suoi personaggi in lunghi
piani-sequenza affiancandoli, nel loro andare sulla Route, con carrelli
laterali e, soprattutto, seguendoli a distanza molto ravvicinata con carrelli
in avanti.
A volte la stessa camera si ferma
improvvisamente, piantandosi in un punto e lasciando che gli altri proseguano
da soli, come se fosse lo stesso operatore di ripresa ad essere stanco ed
estenuato.
È questo – unitamente all’uso del sonoro teso
alla sottolineatura dei rumori di fondo – il modo scelto dall’autore per
produrre nello spettatore l’effetto immedesimazione, per immergerlo nella scena
e ottenerne la partecipazione quasi fisica…
… Gli indesiderati d’Europa è un racconto difficile da giudicare. Complicato ed
estenuante, offre una visione coraggiosa del cinema che rifugge
programmaticamente da ogni vellicazione commerciale, non concedendo nulla al
diletto dello spettatore, qui chiamato a “fare” il film piuttosto che a
guardarlo.
Lodevole, dunque, per il suo voler essere diverso, per la ricerca di una nuova
estetica cinematografica, il film presenta, nondimeno, eccessi difficili da
metabolizzare, risultando oltremodo ermetico e scarsamente fruibile. Ne risente
il messaggio di fondo, che rischia di giungere debole a chi osserva/partecipa,
fiaccato dalla lentezza eccessiva e da un’ombra di intellettualismo che forse
si poteva risparmiare.
Immersivo e sfidante.
… En esos senderos camina Walter Benjamin (Euplemio Macri de
un impresionante parecido) y en esa línea de fuga, en ese paisaje, el
filósofo desaparecerá. Los últimos y
extremos pasos de Benjamin, al lado de Lisa Fittko (la Catarina Wallenstein
de Singularidades de uma Rapariga Loura, de Manoel de
Oliveira), son precisamente oídos y observados por Ferraro en una línea doble,
próxima y lejana, en el momento presente del avance en dos direcciones en las
que el “va y viene” de las imágenes, su “fuga”, movimiento benjaminiano por
excelencia, se cruza con el acto concreto y político de filmar, que abre la
duración, el despositarse de un tiempo del pensamiento. ¿Qué pasado o qué
paisaje se vuelve actual y se inscribe en el blanco y negro material y al mismo
tiempo nebuloso del film? Un paisaje que se encarna en el pasaje, que dilucida
un trabajo extenuante, lúcido y persistente de la cámara que, como ocurre a
menudo en el cine de Ferraro, asume la valencia y la corporeidad
paradójicamente fantasmática de las líneas espaciales y del sentir físico de los actores-presencia que
parecen empujados por la cámara (3).
Pero no sólo el paisaje es central en el film. La
traducción en términos fílmicos del pensamiento mismo de Benjamin en el momento
más trágico de su existencia es el objetivo profundo del trabajo de Ferraro.
Cine y pensamiento se cruzan de un modo muy particular en la película. El
esfuerzo de caminar, que en Ferraro es tangible por medio de las largas tomas en
los senderos de la montaña (encuadres con cámara en mano, en los que el sonido
permite percibir la respiración afanosa, el rumor de los pasos y de las
mochilas, la fatiga, la duración), es un gesto casi herzogiano, incluso con el
sentido invertido…
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