lunedì 23 agosto 2021

Gli indesiderati d'Europa - Fabrizio Ferraro

la lista incalcolabile di chi è stato in fuga (e però non è riuscito a superare la frontiera, morendo nel 1940) comprende anche Walter Benjamin, che cercava, come tanti, di salvarsi.

il film ne racconta l'ultimo giorno, la fatica, la paura, l'ansia, il terrore, la disperazione, la rassegnazione, lo sforzo, il pensiero, la gentilezza, l'altruismo.

Euplemio Macri è perfetto per la parte di Walter Benjamin.

buona visione - Ismaele


allora le frontiere erano fra uno stato europeo e l'altro, tutti potevano/dovevano emigrare, sia pure con difficoltà, anche in altri continenti, erano bianchi, buone teste e buoni muscoli, servivano tutti, poi sono nati muri e fortezze, per i latinoamericani, gli africani e asiatici, dopo i siriani toccano agli afgani i titoli dei (tele)giornali, in Europa.


 

QUI  il film completo, su Raiplay

 

 

Film particolare Gli indesiderati d’Europa, frutto di una scelta formale e narrativa radicale, caratterizzata, anzitutto, dalla quasi assenza di dialoghi, dal suono del silenzio interrotto soltanto dai respiri affannosi dei protagonisti e dalle profonde riflessioni di Benjamin sulla Storia e sull’uomo.
Anche l’uso della macchina da presa risulta originale: Ferraro preferisce riprendere i suoi personaggi in lunghi piani-sequenza affiancandoli, nel loro andare sulla Route, con carrelli laterali e, soprattutto, seguendoli a distanza molto ravvicinata con carrelli in avanti.
A volte la stessa camera si ferma improvvisamente, piantandosi in un punto e lasciando che gli altri proseguano da soli, come se fosse lo stesso operatore di ripresa ad essere stanco ed estenuato.
È questo – unitamente all’uso del sonoro teso alla sottolineatura dei rumori di fondo – il modo scelto dall’autore per produrre nello spettatore l’effetto immedesimazione, per immergerlo nella scena e ottenerne la partecipazione quasi fisica…

Gli indesiderati d’Europa è un racconto difficile da giudicare. Complicato ed estenuante, offre una visione coraggiosa del cinema che rifugge programmaticamente da ogni vellicazione commerciale, non concedendo nulla al diletto dello spettatore, qui chiamato a “fare” il film piuttosto che a guardarlo.
Lodevole, dunque, per il suo voler essere diverso, per la ricerca di una nuova estetica cinematografica, il film presenta, nondimeno, eccessi difficili da metabolizzare, risultando oltremodo ermetico e scarsamente fruibile. Ne risente il messaggio di fondo, che rischia di giungere debole a chi osserva/partecipa, fiaccato dalla lentezza eccessiva e da un’ombra di intellettualismo che forse si poteva risparmiare.

Immersivo e sfidante.

da qui

 

En esos senderos camina Walter Benjamin (Euplemio Macri de un impresionante parecido) y en esa línea de fuga, en ese paisaje, el filósofo desaparecerá. Los últimos y extremos pasos de Benjamin, al lado de Lisa Fittko (la Catarina Wallenstein de Singularidades de uma Rapariga Loura, de Manoel de Oliveira), son precisamente oídos y observados por Ferraro en una línea doble, próxima y lejana, en el momento presente del avance en dos direcciones en las que el “va y viene” de las imágenes, su “fuga”, movimiento benjaminiano por excelencia, se cruza con el acto concreto y político de filmar, que abre la duración, el despositarse de un tiempo del pensamiento. ¿Qué pasado o qué paisaje se vuelve actual y se inscribe en el blanco y negro material y al mismo tiempo nebuloso del film? Un paisaje que se encarna en el pasaje, que dilucida un trabajo extenuante, lúcido y persistente de la cámara que, como ocurre a menudo en el cine de Ferraro, asume la valencia y la corporeidad paradójicamente fantasmática de las líneas espaciales y del sentir físico de los actores-presencia que parecen empujados por la cámara (3).

Pero no sólo el paisaje es central en el film. La traducción en términos fílmicos del pensamiento mismo de Benjamin en el momento más trágico de su existencia es el objetivo profundo del trabajo de Ferraro. Cine y pensamiento se cruzan de un modo muy particular en la película. El esfuerzo de caminar, que en Ferraro es tangible por medio de las largas tomas en los senderos de la montaña (encuadres con cámara en mano, en los que el sonido permite percibir la respiración afanosa, el rumor de los pasos y de las mochilas, la fatiga, la duración), es un gesto casi herzogiano, incluso con el sentido invertido…

da qui

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