Mario (Renato Salvatori) è il collante delle storie che si susseguono, prima una casa di ricchi, con tanti problemi e avvenimenti, poi sembra che il film stacchi e si entra in un secondo tempo, nel mondo dei poveri e degli strani personaggi che stanno lì.
l'unica comunicazione dei due mondi è che ai ricchi servono i poveri da sfruttare e ai poveri servono le briciole che i ricchi lasciano cadere.
non esiste lotta (di classe), i poveri sono rassegnati, il mondo va così.
sembra un film confuso, disordinato, in realtà sono la vita e il mondo disordinati.
nella prima parte ci sono le pene dei ricchi, nella seconda le pene dei poveri, che sono molto diverse.
inquietante il personaggio del prete/non prete, nella sua smania di salvare il mondo e ciascuno, fallendo miseramente.
un gioiellino da riscoprire.
buona visione - Ismaele
“Ho
l’impressione che tutti noi siamo alla ricerca di qualche cosa nella vita, che
esiste perfetta e intangibile altrove, e di cui viviamo soltanto una pallida
copia. Ecco per me l’incanto della vita è quel qualcosa che mi sfugge” - Franco Brusati
…bisogna guardare a Il disordine senza
quelle lenti ingannatrici, per quello che vale, per quello che è, per quello
che voleva essere, non certo il calco di un altro film, o almeno per come ci
appare oggi. Allora se ne possono apprezzare le finezze narrative, la capacità
rara nel cinema italiano di consegnarci un ritratto della nostra borghesia al
di là dei cliché caricaturali di tanta commedia del e sul boom…
…Siamo, nel Disordine, più che
dalle parti di Fellini in zona Antonioni, con quella villa aristocratica fuori
Milano (è la Borromeo di Arcore: no, non casa Berlusconi) fotografata in bianco
e nero con dentro i suoi padroni, i servi, con gli ospiti di una festa notturna
che non può non ricordarci quella della Notte. Film corale,
film affresco, di storie e persone che si intersecano, si incontrano e si
riperdono, e a fare da pivot il giovane uomo Mario (lo interpreta Renato
Salvatori, allora all’apice della carriera) che, in cerca di un lavoro per
mantenere se stesso e la madre malata e non più autonoma, finisce nelle cucine
dei ricchi…
…Brusati resta lontano da ogni cinema di indignazione,
rivendicazione, denuncia civile (quel covo di reietti intorno al prete è
alquanto ambiguo, niente a che fare con le figurine edificanti della
propaganda proletaria), a lui interessano solo i complicati arabeschi tracciati
dalle esistenze, le delusioni, le illusioni, gli inganni, la felicità sempre
perseguita e mai raggiunta. E la penombra più che la piena luce…
Brusati è un Visconti in micro (la decadenza della villa) che
immerge la sua piccola Dolce vita milanese
in un'atmosfera fosca, plumbea, algida e notturna. Cinico, all'occorrenza
spietato, morbosetto, sonda il lato perverso della borghesia e dei reietti
(omosessualità, travestismo, ragazzette raccolte per strada di notte, preti
spretati dai chiaroscuri inquietanti). Inizio noiosetto, ma poi il film avvolge
nel suo angusto livore, con immagini di gran bellezza estetica (quasi pre-greenawayana la portata del suino) e dolorosa la parte all'ospizio
che anticipa quella dell'Esorcista.
…
Il disordine lascia lo spettatore con una sensazione di spaesamento, di
mancanza. E’ mancata la storia, sono mancati i protagonisti; e quello che
succede appare perlopiù fuori luogo e anche ingiusto, forse anche senza una
ragione (che Brusati non si premura certo di chiarire). E’ un problema se la
coppia di giovani eterosessuali non si ricompone, ma lo fa quella omo? E’
giusto che il prete dia tutti i soldi alla vecchia madre di Mario, lasciando le
altre povere donne nella miseria? E lo stesso falso prete non sembrava certo un
modello di rettitudine, visto che permetteva la prostituzione nella sua casa:
ma quando vediamo le ruspe abbattergliela, possiamo dirci soddisfatti?
Questi interrogativi lasciati sospesi, se è vero che le domande sono spesso più
interessanti delle risposte, sono una testimonianza del valore de Il disordine.
da qui
Particolarissimo, non rivolto a un solo ceto sociale perché li
abbraccia davvero tutti ed eccezionale per simbologia. Si parte dall'aristocrazia
come unica classe, che può scialacquare intere fortune accumulate da un
capostipite, ma da lì si dipartono schegge minori, che con bugie o mezze verità
cercan sempre qualcuno su cui appoggiarsi o da fregare; salta fuori perfino il
tabù dell'omosessualità. Alla fine un buon samaritano si priva di tutto pur di
mantenere le promesse, ma a quel punto il passo successivo di questo disordine
è la distruzione...
…brusati racconta la crisi di un paese che sembra lanciato verso un
futuro luminoso, nel suo momento di maggior successo a nemmeno vent'anni dalla
fine della seconda guerra, con uno stile altalenante tra l'enfasi e il
meditativo.
ricchi o poveri che siano stanno tutti male dentro, anche se poi i
ricchi cadono su di un comodo cuscino, mentre invece i poveracci non sono
ancora riusciti a risollevarsi dalle macerie del conflitto, che si accorgono
che vi sono ancora in mezzo e ne vengono travolti, nel vorticoso e tremendo
finale.
brusati usa eleganti movimenti di macchina per inquadrare i suoi
protagonisti, come nella scena allo specchio di alida valli, o il fluido
camminare di antonella lualdi alla festa dell'amico tom, e poi li lancia in
scatenate scene forsennate e disperate, dove la disperazione dell'individuo si
sfoga sull'amico che non la sarà mai più, e forse non lo è mai stato…
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