Kiko è un ragazzo con una madre filippina che cerca di crescerlo, dopo che è morto il padre.
Kiko va a scuola, in un liceo, è bravo, curioso, ma spesso si assenta, deve andare a lavorare, con il nuovo compagno della madre.
Kiko ha un rifugio segreto, cove sta solo, e coltiva la memoria del padre, si amavano moltissimo.
poi appare uno, strano, un po' benefattore, un po' amico, un po' maestro, misterioso, vuole prendersi cura di Kiko.
il resto lo scoprite da soli, mica posso dirvi tutto io.
a me è piaciuto.
buona visione - Ismaele
Da
un’intervista a Vittorio Moroni:
…D: A
livello di sceneggiatura colpisce il costante riferimento alla filosofia, a determinati
maestri del pensiero, come anche il ritratto di un’adolescenza inquieta, in
bilico tra i ricordi malinconici di un padre naturale scomparso troppo presto e
qualche nuovo modello paterno destinato magari a rivelare, strada facendo, la
propria intima fragilità. Ci sembra che questi due temi siano in qualche modo
correlati, pensi anche tu che sia così? E sono quindi discorsi che ti stanno
particolarmente a cuore?
Vittorio Moroni: Kiko, il
protagonista del mio film, è un adolescente che non scorge vie d’uscita alle
tenebre in cui si è perso il suo presente.
Non riesce a sognare un futuro perché nessuna delle persone che
gli stanno intorno sembra capace di sognare con lui.
Però ha vissuto un passato indimenticabile, con suo padre. Per
questo Kiko crede che la felicità stia nel passato, non nel futuro.
E per questo cerca disperatamente, tra le leggi dell’universo,
l’autorizzazione a sperare che il tempo non sia lineare, ma ciclico.
Che quel che è stato non sia perduto per sempre, ma possa tornare,
infinite volte.
Quando Ettore, il suo strano amico-maestro, irrompe nella sua
vita, cerca di aiutarlo proprio in questo: a ripensare la forma dello spazio e
del tempo.
E gli presenta degli “amici” che hanno percorso queste strade.
Sono due grandi filosofi: Nietzsche e Leopardi. Anche loro, come Kiko, sono
tormentati dalle stesse domande.
Ettore è convinto che il pensiero filosofico insegnerà a Kiko a
sopravvivere e ad avere il coraggio di amare il proprio destino.
Perché il pensiero filosofico è il pensiero che pensa tutti gli
altri pensieri, anche l’impensabile.
E a fare i conti con il grande tema dell’umanità: il mio nemico,
prima di essere mio nemico, è un uomo, proprio come me.
Nell’infanzia di Kiko il padre, appassionato di astronomia, gli
consegna un tesoro prezioso: un piccolo meteorite. Un sasso attraverso cui la
vita è arrivata sulla Terra.
Anche Ettore e Kiko sentiranno il bisogno di fissare le loro
domande su qualcosa di fisico, dei sassi bianchi. E di poter un giorno
riconsegnare queste pietre e le domande che contengono all’acqua del fiume.
D: Si
conferma nel tuo cinema un interesse particolare per i temi dell’immigrazione,
della diversità, dell’integrazione, mai declinati però in maniera banale o
subalterna a certi dettami del cinema d’impegno civile. Come percepisci tu
questa diversità d’approccio, umano e narrativo, che a noi sembra di
riscontrare nei tuoi film?
Vittorio Moroni: Dire
immigrazione è dire un tema troppo vasto. Per me si tratta sempre di raccontare
personaggi singoli, irriducibili a categorie, e storie speciali, uniche. E’
l’unica strada per sperare di afferrare temi universali. Kiko è un adolescente
che vive in un luogo isolato del nordest. Prima di avere origini filippine è un
essere umano che vive i suoi 16 anni nell’Italia di oggi, disperata, in un
sobborgo del nord est, tra l’inverno e la primavera. I suoi problemi sono in
gran parte gli stessi che hanno i suoi coetanei: un futuro che sembra essere
stato cancellato, un presente che non lascia il tempo di conoscere se stesso e
il mondo e già pretende sacrificio, investimento, tempo dedicato alla
produzione. Certo, Kiko ha anche una madre filippina e conosce una lingua, il
tagalog, che i suoi compagni di classe non comprendono e del suo Paese
d’origine conserva il mito e relazioni a distanza con nonni e parenti che hanno
aspettative su di lui e nostalgie. Kiko appartiene alla cosiddetta seconda
generazione, è una persona che non può fare a meno di fare i conti con i sogni
propri e della generazione precedente, che deve decidere cosa prendere e cosa
lasciare nei propri bagagli. Questa complessa questione che riguarda il grande
negoziato culturale delle seconde, terze generazioni, è una declinazione del
cosiddetto tema migratorio che mi affascina e mi interroga moltissimo. E che
deciderà molto del futuro del nostro Paese.
…È la storia di un'adolescenza
tremante quella raccontata da Vittorio Moroni, la cronaca sincera e diretta di
un'esistenza incerta, dispersa nella periferia friulana tra cantieri, scuola e
una bar-stazione di benzina in cui, insieme all'anomala famiglia di Kiko, vive
un gruppo di immigrati clandestini. Lavoro di accensioni e di inganni, di
incontri e scontri, Se chiudo gli occhi non sono più qui si
interroga su temi abnormi quali la solitudine dell'uomo di fronte all'universo
(apertamente citato il Giacomo Leopardi di "Canto notturno di un pastore
errante dell'Asia"), il bisogno di redenzione insito nel carattere umano,
l'importanza di avere una guida nel momento cruciale della crescita. Anche a
livello più basico il tiro rimane alto, perché ogni nuova circostanza narrativa
nasconde in realtà una problematica più o meno centrale della contemporaneità:
si va dall'integrazione degli adolescenti di seconda generazione allo
sfruttamento dell'immigrazione clandestina, dall'importanza della cultura alla
dispersione scolastica. Nonostante un tale spettro tematico, il film gode
comunque di una buona fluidità, di una distensione di racconto che è diretta
conseguenza di una sceneggiatura (del regista e di Marco Piccarreda) ben
costruita e sufficientemente credibile in tutta la progressione…
…Ci lasciano più perplessi, in un film
che ha comunque tanti pregi, gli aspetti filosofi e poetici che accompagnano il
realismo della messinscena e nascono da quella commistione di generi di cui
scrivevamo prima. E’ bella la metafora dei sassi levigati dal fiume su cui
fermare le cose importanti da tenere presenti nella vita, anche se dobbiamo
imparare da soli a scrivere il nostro destino. Ma a tratti il copione sembra compiaciuto
della sua stessa intelligenza e sono proprio quei momenti, scritti in bella
calligrafia, che non riescono a toccarci veramente l'anima.
…Alter-ego della figura paterna, Colangeli porta nel film – dispiace
dirlo per un attore quasi sempre apprezzabile – una dinamica educativa
semplicistica e letteralmente didattica che irretisce senza difficoltà il
protagonista, facendogli accettare tutto (dal rispetto per il prossimo ai
grandi insegnamenti culturali e filosofici). Una dinamica forzata e artefatta
che – al di là del colpo di scena finale – appare più il segno di un ingenuo
ecumenismo (il mondo può essere buono, ogni tassello è importante, ecc.) che
vera necessità narrativo-simbolica.
Tanto più che risulta quasi inaccettabile la supineria di un adolescente come
quello descritto nel film, incapace sia di lasciarsi trascinare dalle
contraddizioni del suo essere al mondo (perché nel nostro cinema gli immigrati
debbono essere sempre buoni e non possono ribellarsi?) sia di intraprendere una
qualsivoglia cattiva strada, elemento che da sempre contraddistingue ogni racconto
di formazione che si rispetti (in fin dei conti, si cresce solo se si sbaglia e
solo se ci si decide ad accettare di prendersi in carico le proprie colpe e
responsabilità).
Moroni, che pure in passato ha dimostrato di essere un regista in
grado di “vedere” con gli occhi dell’Altro (Le ferie di Licu,
ad esempio) si accontenta stavolta di una piana e piatta educazione
a-sentimentale, in cui a infiocchettare il tutto sopravviene un superficiale
guardare alle stelle e alla luna, secondo una scolastica riproposizione del
Leopardi. Il paternalismo, purtroppo, è sempre dietro l’angolo e Se chiudo gli occhi non sono più qui non ne è
esente.
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