lunedì 16 agosto 2021

Se chiudo gli occhi non sono più qui - Vittorio Moroni

Kiko è un ragazzo con una madre filippina che cerca di crescerlo, dopo che è morto il padre.

Kiko va a scuola, in un liceo, è bravo, curioso, ma spesso si assenta, deve andare a lavorare, con il nuovo compagno della madre.

Kiko ha un rifugio segreto, cove sta solo, e coltiva la memoria del padre, si amavano moltissimo.

poi appare uno, strano, un po' benefattore, un po' amico, un po' maestro, misterioso, vuole prendersi cura di Kiko.

il resto lo scoprite da soli, mica posso dirvi tutto io.

a me è piaciuto.

buona visione - Ismaele

 

 

 

 

Da un’intervista a Vittorio Moroni:

…D: A livello di sceneggiatura colpisce il costante riferimento alla filosofia, a determinati maestri del pensiero, come anche il ritratto di un’adolescenza inquieta, in bilico tra i ricordi malinconici di un padre naturale scomparso troppo presto e qualche nuovo modello paterno destinato magari a rivelare, strada facendo, la propria intima fragilità. Ci sembra che questi due temi siano in qualche modo correlati, pensi anche tu che sia così? E sono quindi discorsi che ti stanno particolarmente a cuore?

Vittorio MoroniKiko, il protagonista del mio film, è un adolescente che non scorge vie d’uscita alle tenebre in cui si è perso il suo presente.
Non riesce a sognare un futuro perché nessuna delle persone che gli stanno intorno sembra capace di sognare con lui.
Però ha vissuto un passato indimenticabile, con suo padre. Per questo Kiko crede che la felicità stia nel passato, non nel futuro.
E per questo cerca disperatamente, tra le leggi dell’universo, l’autorizzazione a sperare che il tempo non sia lineare, ma ciclico.
Che quel che è stato non sia perduto per sempre, ma possa tornare, infinite volte.
Quando Ettore, il suo strano amico-maestro, irrompe nella sua vita, cerca di aiutarlo proprio in questo: a ripensare la forma dello spazio e del tempo.
E gli presenta degli “amici” che hanno percorso queste strade. Sono due grandi filosofi: Nietzsche e Leopardi. Anche loro, come Kiko, sono tormentati dalle stesse domande.
Ettore è convinto che il pensiero filosofico insegnerà a Kiko a sopravvivere e ad avere il coraggio di amare il proprio destino.
Perché il pensiero filosofico è il pensiero che pensa tutti gli altri pensieri, anche l’impensabile.
E a fare i conti con il grande tema dell’umanità: il mio nemico, prima di essere mio nemico, è un uomo, proprio come me.
Nell’infanzia di Kiko il padre, appassionato di astronomia, gli consegna un tesoro prezioso: un piccolo meteorite. Un sasso attraverso cui la vita è arrivata sulla Terra.
Anche Ettore e Kiko sentiranno il bisogno di fissare le loro domande su qualcosa di fisico, dei sassi bianchi. E di poter un giorno riconsegnare queste pietre e le domande che contengono all’acqua del fiume.

D: Si conferma nel tuo cinema un interesse particolare per i temi dell’immigrazione, della diversità, dell’integrazione, mai declinati però in maniera banale o subalterna a certi dettami del cinema d’impegno civile. Come percepisci tu questa diversità d’approccio, umano e narrativo, che a noi sembra di riscontrare nei tuoi film?

Vittorio MoroniDire immigrazione è dire un tema troppo vasto. Per me si tratta sempre di raccontare personaggi singoli, irriducibili a categorie, e storie speciali, uniche. E’ l’unica strada per sperare di afferrare temi universali. Kiko è un adolescente che vive in un luogo isolato del nordest. Prima di avere origini filippine è un essere umano che vive i suoi 16 anni nell’Italia di oggi, disperata, in un sobborgo del nord est, tra l’inverno e la primavera. I suoi problemi sono in gran parte gli stessi che hanno i suoi coetanei: un futuro che sembra essere stato cancellato, un presente che non lascia il tempo di conoscere se stesso e il mondo e già pretende sacrificio, investimento, tempo dedicato alla produzione. Certo, Kiko ha anche una madre filippina e conosce una lingua, il tagalog, che i suoi compagni di classe non comprendono e del suo Paese d’origine conserva il mito e relazioni a distanza con nonni e parenti che hanno aspettative su di lui e nostalgie. Kiko appartiene alla cosiddetta seconda generazione, è una persona che non può fare a meno di fare i conti con i sogni propri e della generazione precedente, che deve decidere cosa prendere e cosa lasciare nei propri bagagli. Questa complessa questione che riguarda il grande negoziato culturale delle seconde, terze generazioni, è una declinazione del cosiddetto tema migratorio che mi affascina e mi interroga moltissimo. E che deciderà molto del futuro del nostro Paese.

da qui

 

È la storia di un'adolescenza tremante quella raccontata da Vittorio Moroni, la cronaca sincera e diretta di un'esistenza incerta, dispersa nella periferia friulana tra cantieri, scuola e una bar-stazione di benzina in cui, insieme all'anomala famiglia di Kiko, vive un gruppo di immigrati clandestini. Lavoro di accensioni e di inganni, di incontri e scontri, Se chiudo gli occhi non sono più qui si interroga su temi abnormi quali la solitudine dell'uomo di fronte all'universo (apertamente citato il Giacomo Leopardi di "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia"), il bisogno di redenzione insito nel carattere umano, l'importanza di avere una guida nel momento cruciale della crescita. Anche a livello più basico il tiro rimane alto, perché ogni nuova circostanza narrativa nasconde in realtà una problematica più o meno centrale della contemporaneità: si va dall'integrazione degli adolescenti di seconda generazione allo sfruttamento dell'immigrazione clandestina, dall'importanza della cultura alla dispersione scolastica. Nonostante un tale spettro tematico, il film gode comunque di una buona fluidità, di una distensione di racconto che è diretta conseguenza di una sceneggiatura (del regista e di Marco Piccarreda) ben costruita e sufficientemente credibile in tutta la progressione…

da qui

 

Ci lasciano più perplessi, in un film che ha comunque tanti pregi, gli aspetti filosofi e poetici che accompagnano il realismo della messinscena e nascono da quella commistione di generi di cui scrivevamo prima. E’ bella la metafora dei sassi levigati dal fiume su cui fermare le cose importanti da tenere presenti nella vita, anche se dobbiamo imparare da soli a scrivere il nostro destino. Ma a tratti il copione sembra compiaciuto della sua stessa intelligenza e sono proprio quei momenti, scritti in bella calligrafia, che non riescono a toccarci veramente l'anima.

da qui

 

…Alter-ego della figura paterna, Colangeli porta nel film – dispiace dirlo per un attore quasi sempre apprezzabile – una dinamica educativa semplicistica e letteralmente didattica che irretisce senza difficoltà il protagonista, facendogli accettare tutto (dal rispetto per il prossimo ai grandi insegnamenti culturali e filosofici). Una dinamica forzata e artefatta che – al di là del colpo di scena finale – appare più il segno di un ingenuo ecumenismo (il mondo può essere buono, ogni tassello è importante, ecc.) che vera necessità narrativo-simbolica.
Tanto più che risulta quasi inaccettabile la supineria di un adolescente come quello descritto nel film, incapace sia di lasciarsi trascinare dalle contraddizioni del suo essere al mondo (perché nel nostro cinema gli immigrati debbono essere sempre buoni e non possono ribellarsi?) sia di intraprendere una qualsivoglia cattiva strada, elemento che da sempre contraddistingue ogni racconto di formazione che si rispetti (in fin dei conti, si cresce solo se si sbaglia e solo se ci si decide ad accettare di prendersi in carico le proprie colpe e responsabilità).

Moroni, che pure in passato ha dimostrato di essere un regista in grado di “vedere” con gli occhi dell’Altro (Le ferie di Licu, ad esempio) si accontenta stavolta di una piana e piatta educazione a-sentimentale, in cui a infiocchettare il tutto sopravviene un superficiale guardare alle stelle e alla luna, secondo una scolastica riproposizione del Leopardi. Il paternalismo, purtroppo, è sempre dietro l’angolo e Se chiudo gli occhi non sono più qui non ne è esente.

da qui




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