un film geometrico, visto che l'architettura è una protagonista.
Nina è una ragazza che attende, è indecisa, tutto può succedere, la spaventa l'amore, il futuro è un'incognita, la persona con cui si diverte di più ed è più sincera è un ragazzino di una decina d'anni, c'è anche un cane, ma lui parla poco.
un'opera prima interlocutoria, ma c'è stile.
buona visione - Ismaele
…Le giornate di Nina sono cariche di
desideri e di domande al cielo, e vuote di punti di riferimento stabili: non ha
un lavoro e non sa che cosa vuole diventare da grande, prova tutto il giorno a
fare qualcosa senza mai riuscirci fino in fondo. La sua condizione di vita
sospesa trova il palcoscenico perfetto nelle quinte metafisiche del quartiere
Eur, il tono surreale delle sue giornate è riecheggiato all'infinito dalle
ambientazioni alla De Chirico e punteggiato da occasionali evocazioni
felliniane, vedi la coppia di suore che scivola via senza lasciare traccia.
Purtroppo anche il lungometraggio di esordio di Elisa Fuksas, figlia
dell'architetto Massimiliano (doveroso specificarlo, visto quanto l'impianto
visivo del film è influenzato dalla costruzione urbanistica), scivola in
superficie senza andare in profondità, collezionando immagini di grande cura
compositiva ma di scarsa risonanza interiore.
L'originalità della regia consiste soprattutto nella temerarietà che spinge i
personaggi di Nina a confrontarsi con i margini
dell'inquadratura, rapportandosi allo spazio orizzontale come ai confini di una
scatola magica. Anche nell'uso consapevole delle luci (mai scontato nel cinema
contemporaneo italiano) Fuksas rivela una ricerca espressiva non causale. Ma
l'eccessiva attenzione alle forme, alle linee, all'edificazione di ogni
singolo frame si trasforma presto in un'ossessione
estetizzante sempre più desaturata di significato…
Il film fallisce in ogni suo tentativo di
astrarsi, di farsi racconto visivo, poema rarefatto e geometrico dell’animo. Un
oggetto per forza di cose senza amore, che non si strugge nemmeno del suo non
riuscire a farsi racconto dolente, ma anzi un po’ ne gioisce quasi: il suo
fallimento sta proprio nel non voler affrontare mai sul serio questa distanza
autodisciplinata, preferendo tentare invece di darle una forma asettica e il
più possibile minimale…
…Si parte dalla realtà per raccontare i desideri, le
fantasie, la poesia. Delle cose e delle persone. Per scoprire che in un’estate
divisa tra chi parte e chi resta, c’è chi non parte e non resta. Quelli come
Nina, che vede la realtà per trasformarla in immaginazione. Il mondo di una
storia che ha una geografia fantastica, fatta di cose piccole e semplici, di
sudore, di ideogrammi, di determinazione e di indeterminatezza. Di buio denso e
sole abbagliante. Ogni contrasto e contraddizione è un’opportunità di futuro in
questo agosto. Dove tutto è davvero possibile, anche capire che l’unica cosa
che davvero conta è quella a cui prima non avevamo mai pensato…
…Nina
è la storia di una solitudine, quella della giovane del titolo che, in una Roma
agostana mai così vuota – la capitale da alcuni anni a questa parte non vive
più l’esodo estivo di un tempo – deve prendersi cura degli animali di un amico
partito per le ferie e si ritrova così a gironzolare per l’EUR, il quartiere
dove si trova l’appartamento. Questo suo viaggio in una Roma a lei sconosciuta
le permetterà non solo di fare la conoscenza con un’umanità bizzarra almeno
quanto le sue abitudini, ma anche di riscoprire qualcosa di se stessa che aveva
smarrito con il passare degli anni.
Su questa trama quantomai basica, la Fuksas avrebbe potuto costruire
miriadi di film, l’uno diverso dall’altro: la strada che intraprende, quella
del congelamento della narrazione a favore di un accumulo di sequenze
stralunate, esemplifica con una certa precisione l’indole della regista e le
proprie pretese autoriali. Nina non ha trama (o per lo meno la riduce all’osso,
asciugandola di ogni possibile approfondimento sottotraccia) perché, secondo la
Fuksas, questa dovrebbe scaturire in maniera pressoché inevitabile dalla messa
in scena e, in seconda battuta, dalla maestosità architettonica dell’Eur…
… Al contrario di Nina,
che compie un percorso interiore per affacciarsi alla vita, Elisa
Fuksas resta ingabbiata nelle sue splendide inquadrature. Attenta
a fare di ogni scena un'opera d'arte, se non un contraltare o una replica delle
emozioni della sua protagonista, la regista non si sporca le mani, non respira
l'odore del sangue come un lottatore nell'arena. Tradendo la sua matrice di
studentessa di architettura passata al cinema, fatica un po' a imporre i suoi
contenuti, raccontando la favola senza soffermarsi più di tanto sulla sua
morale.
E allora il film arriva soprattutto grazie
a Diane Fleri, fortemente in parte forse in virtù di
una grande somiglianza con il personaggio.
Anche l'umanità sfiorata da Nina ha
un fascino particolare: poche e semplici pennellate rese vivide dalla simpatia
di Ernesto Mahieux e dalla verve di un Luca Marinelli che è sempre piacevolissimo
rincontrare. Altalenante e sospeso come la ragazza dai capelli corti che tutto
lo attraversa, Nina è comunque qualcosa di diverso e
di nuovo: una rottura degli schemi narrativi e delle regole che sovente fanno
dei nostri film prodotti fin troppo prevedibili e riconoscibili.
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