finita la guerra Napoli era una rovina, un prete missionario, un giovane e magro Adolfo Celi, di passaggio per prendere un traghetto per l'Africa capisce che Napoli è l'Africa, e si ferma.
decide di creare la città dei ragazzi, levarli dalla strada, dargli da mangiare e dormire, e anche un po' di scuola.
il film racconta le avventure del prete e dei bambini, quando ancora si pensava in grande e per gli altri, nonostante tutto.
gran bel film, uno dei primi di Luigi Comencini.
buona visione - Ismaele
QUI il film completo, in
italiano
Nella Napoli
del primo dopoguerra un padre missionario veneto, in procinto d'imbarcarsi per
il Kenya, si accorge che è meglio portare il Vangelo tra gli scugnizzi
napoletani che tra gli africani, e fonda una piccola Città dei ragazzi. Primo
film di L. Comencini, buon esempio di neorealismo minore in rosa. Vivace
descrizione di una Napoli alla Marotta, sagace equilibrio tra toni drammatici e
sorridente ottimismo, qualche concessione al folclore, un bel crescendo nella
seconda parte. Primo ruolo importante per il giovane A. Celi. Scritto dal
regista con Suso Cecchi D'Amico esordiente.
Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Nel cinema
c'è sempre una regola di cui non si riesce a liberarsi: si è sempre schiavi di
quello che si è fatto, e i produttori tendono a farlo ripetere. Aveva riscosso
grande successo un film americano con Spencer Tracy e Mickey Rooney, La città
dei ragazzi, prodotto prima ma distribuito da noi dopo la guerra, e con il mio
documentario Bambini in città ero stato individuato come regista che amava i
bambini. Mi convoca l'ingegner Gatti della Lux e mi offre di fare una
"città dei ragazzi" all'italiana. Naturalmente ho agito poi secondo
le mie idee; il film americano era ottimista e positivo, la mia "città"
al contrario (era a Napoli) finisce a gambe all'aria. Era la storia di un prete
idealista; arrivava a Napoli col suo barbone da missionario per andare
oltremare; gli rubano la valigia, penetra nei vicoli e, venuto dal nord, scopre
una realtà che non immaginava esistesse. Chiede di restare lì, convinto ormai
che è inutile evangelizzare i paesi lontani, e la sua semplice mentalità di
contadino veneto si scontra con la sottigliezza degli scugnizzi napoletani. La
situazione di Napoli era tragica, quella dei bambini in particolare. Gli
scugnizzi fingono di accettare la sua idea di "repubblica dei
ragazzi", ma in realtà lo fanno per nascondervi quello che rubano. Il film
aveva naturalmente i limiti dell'opera prima. Voleva essere comico-satirico, con
momenti patetici.
La lavorazione di quel film fu veramente una tragedia perché Comencini volle e
trovò dodici scugnizzi veri. Be', la produzione li alloggiò tutti e dodici
dalle Suore di Santa Chiara, tanto per non perderli. Questi, invece, erano
abituati a vivere di furtarelli e a dormire sulle grate di una tipografia che
da sotto mandava loro un po' di calore. Quindi, messi nei letti regolari,
invece di trovarsi comodi fecero l'inferno, urlando a tutto fiato contro le
"cape ‘e pezza" - ossia le suore, come le evevano battezzate - e
sfasciando tutto. I più delinquenti del gruppo erano i due protagonisti.
Difatti, finito il film, vennero arrestati perchè non so cosa avessero
combinato. Noi dovevamo ancora fare dei rifacimenti. Allora fummo costretti a
prendere un avvocato per farli uscire di galera in fretta e furia. Ma in galera
gli avevano rapato a zero i capelli, quindi dovemmo fargli confezionare al gran
galoppo delle parrucche. Che però si toglievano di testa ogni due minuti, se le
palleggiavano, le lanciavano in aria .. Insomma, del cinema non gliene fregava
niente, e neppure del guadagno. Se per ipotesi uno del gruppo sbagliava una
battuta o un movimento ed eravamo costretti a ripetere la scena, nasceva subito
una zuffa tra loro a base di calci, pugni, graffi e sputi, e ci toccava pure
precipitarci a dividerli perché se no si massacravano. L'unico che sopportava
tutto con filosofia, come se niente fosse, era Comencini.
Aldo Tonti
Luigi Comencini, autore popolare, a cura di Tullio Masoni e Paolo Vecchi (1982)
Terzo film
del giovane Luigi Comencini, che prosegue la strada del precedente, Bambini in
città (1946), con al centro del suo interesse il mondo minorile. Un mondo mai
molto esplorato dal cinema, sino ad allora ed anche in seguito, che il bravo
regista milanese cerca di mettere in luce in tutti i suoi aspetti. Un mondo
minorile che ha sempre contrassegnato il suo cinema ed è sempre stato al centro
del suo interesse filmico. Un cinema apparentemente semplice... apparentemente
facile a tutti ma con più chiavi di lettura, che partono, in una sorta di scala
piramidale, dalla base sino ad avere dei piani di lettura molto più profondi ed
intensi di denuncia di una malessere diffuso e di un problema sociale molto
sentito ed intenso. Un malessere per questi (e quei) bambini che non hanno
genitori, e che all'indomani della II Guerra Mondiale dovevano arrangiarsi a
vivere come potevano, e ai quali non era sufficiente l'ala protettiva di uno
"zi prete" caritatevole e "cristiano", ma di sentirsi importanti
e autosufficienti. Ovvero crescere in fretta ed emulare gli adulti nei loro
comportamenti peggiori ed insani. Napoli, ma come tante altre città, ma lei in
particolare, vedeva in strada molti bambini, molti teen, alla ricerca di una
loro identità, alla ricerca della sopravvivenza quotidiana, senza sapere se ci
sarebbe stato un domani, neanche un futuro. Una vita che al massimo poteva
vedere oltre le 24 ore successive e null'altro.
Proibito rubare ci racconta questo, questo malessere che come il colera si era
diffuso in tutta la città, in tutte le città distrutte dalla guerra e che aveva
lasciato vedove ed orfani in ogni angolo delle strade. Bambini che non sapevano
cosa fare e che condotti da adulti privi di scrupoli si davano al furto.
Bambini svegli, bambini attenti, ma ancora "macchiati ed impregnati"
di quell'innocenza che li faceva credere nei valori dell'amicizia e del
rispetto del gruppo, pieni di quel senso di appartenenza a qualcosa, anche se
di malaffare. E Comencini indaga in modo serrato e profondo in questo "altro
mondo" senza però sprofondare mai nel lacrimevole, forse giusto nel finale
viene qualche groppo alla gola per uno sciorinare facili sentimenti. Ma a parte
questa "leggera scivolata" il film ha quel giusto piglio autoriale e
deciso di chi sa cosa vuole mostrare, e questo maestro del mondo infantile
riesce a cogliere ogni sfumatura, ogni più piccolo dettaglio per dare un senso
compiuto e "vero" alla storia di questo gruppo di sbandati che
vengono riuniti dal prete in questa grande utopia della "Città per
ragazzi"... un utopia che pero poco alla volta diventa realtà, anche se
non del tutto onestamente, ma con grande partecipazione di quei malandrini
cresciuti troppo in fretta, ma che alla fine tornano a fare i bambini. Quindi
un ritorno ai ruoli prefissati che Comencini decide di restituire ad ognuno
lanciando un segnale di speranza in quell'Italia che stava tentando lentamente
di ricostruirsi... E lui, da bravo demiurgo del cinema riesce a lanciare un
piccolo grido di allarme e di aiuto...
Mauro Conciatori
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