martedì 17 agosto 2021

Proibito rubare - Luigi Comencini

finita la guerra Napoli era una rovina, un prete missionario, un giovane e magro Adolfo Celi, di passaggio per prendere un traghetto per l'Africa capisce che Napoli è l'Africa, e si ferma.

decide di creare la città dei ragazzi, levarli dalla strada, dargli da mangiare e dormire, e anche un po' di scuola.

il film racconta le avventure del prete e dei bambini, quando ancora si pensava in grande e per gli altri, nonostante tutto.

gran bel film, uno dei primi di Luigi Comencini.

buona visione - Ismaele


 

 

 

QUI il film completo, in italiano

 

 

Nella Napoli del primo dopoguerra un padre missionario veneto, in procinto d'imbarcarsi per il Kenya, si accorge che è meglio portare il Vangelo tra gli scugnizzi napoletani che tra gli africani, e fonda una piccola Città dei ragazzi. Primo film di L. Comencini, buon esempio di neorealismo minore in rosa. Vivace descrizione di una Napoli alla Marotta, sagace equilibrio tra toni drammatici e sorridente ottimismo, qualche concessione al folclore, un bel crescendo nella seconda parte. Primo ruolo importante per il giovane A. Celi. Scritto dal regista con Suso Cecchi D'Amico esordiente.
Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli

 

Nel cinema c'è sempre una regola di cui non si riesce a liberarsi: si è sempre schiavi di quello che si è fatto, e i produttori tendono a farlo ripetere. Aveva riscosso grande successo un film americano con Spencer Tracy e Mickey Rooney, La città dei ragazzi, prodotto prima ma distribuito da noi dopo la guerra, e con il mio documentario Bambini in città ero stato individuato come regista che amava i bambini. Mi convoca l'ingegner Gatti della Lux e mi offre di fare una "città dei ragazzi" all'italiana. Naturalmente ho agito poi secondo le mie idee; il film americano era ottimista e positivo, la mia "città" al contrario (era a Napoli) finisce a gambe all'aria. Era la storia di un prete idealista; arrivava a Napoli col suo barbone da missionario per andare oltremare; gli rubano la valigia, penetra nei vicoli e, venuto dal nord, scopre una realtà che non immaginava esistesse. Chiede di restare lì, convinto ormai che è inutile evangelizzare i paesi lontani, e la sua semplice mentalità di contadino veneto si scontra con la sottigliezza degli scugnizzi napoletani. La situazione di Napoli era tragica, quella dei bambini in particolare. Gli scugnizzi fingono di accettare la sua idea di "repubblica dei ragazzi", ma in realtà lo fanno per nascondervi quello che rubano. Il film aveva naturalmente i limiti dell'opera prima. Voleva essere comico-satirico, con momenti patetici.
La lavorazione di quel film fu veramente una tragedia perché Comencini volle e trovò dodici scugnizzi veri. Be', la produzione li alloggiò tutti e dodici dalle Suore di Santa Chiara, tanto per non perderli. Questi, invece, erano abituati a vivere di furtarelli e a dormire sulle grate di una tipografia che da sotto mandava loro un po' di calore. Quindi, messi nei letti regolari, invece di trovarsi comodi fecero l'inferno, urlando a tutto fiato contro le "cape ‘e pezza" - ossia le suore, come le evevano battezzate - e sfasciando tutto. I più delinquenti del gruppo erano i due protagonisti. Difatti, finito il film, vennero arrestati perchè non so cosa avessero combinato. Noi dovevamo ancora fare dei rifacimenti. Allora fummo costretti a prendere un avvocato per farli uscire di galera in fretta e furia. Ma in galera gli avevano rapato a zero i capelli, quindi dovemmo fargli confezionare al gran galoppo delle parrucche. Che però si toglievano di testa ogni due minuti, se le palleggiavano, le lanciavano in aria .. Insomma, del cinema non gliene fregava niente, e neppure del guadagno. Se per ipotesi uno del gruppo sbagliava una battuta o un movimento ed eravamo costretti a ripetere la scena, nasceva subito una zuffa tra loro a base di calci, pugni, graffi e sputi, e ci toccava pure precipitarci a dividerli perché se no si massacravano. L'unico che sopportava tutto con filosofia, come se niente fosse, era Comencini.
Aldo Tonti
Luigi Comencini, autore popolare, a cura di Tullio Masoni e Paolo Vecchi (1982)
 

da qui

 

 

Terzo film del giovane Luigi Comencini, che prosegue la strada del precedente, Bambini in città (1946), con al centro del suo interesse il mondo minorile. Un mondo mai molto esplorato dal cinema, sino ad allora ed anche in seguito, che il bravo regista milanese cerca di mettere in luce in tutti i suoi aspetti. Un mondo minorile che ha sempre contrassegnato il suo cinema ed è sempre stato al centro del suo interesse filmico. Un cinema apparentemente semplice... apparentemente facile a tutti ma con più chiavi di lettura, che partono, in una sorta di scala piramidale, dalla base sino ad avere dei piani di lettura molto più profondi ed intensi di denuncia di una malessere diffuso e di un problema sociale molto sentito ed intenso. Un malessere per questi (e quei) bambini che non hanno genitori, e che all'indomani della II Guerra Mondiale dovevano arrangiarsi a vivere come potevano, e ai quali non era sufficiente l'ala protettiva di uno "zi prete" caritatevole e "cristiano", ma di sentirsi importanti e autosufficienti. Ovvero crescere in fretta ed emulare gli adulti nei loro comportamenti peggiori ed insani. Napoli, ma come tante altre città, ma lei in particolare, vedeva in strada molti bambini, molti teen, alla ricerca di una loro identità, alla ricerca della sopravvivenza quotidiana, senza sapere se ci sarebbe stato un domani, neanche un futuro. Una vita che al massimo poteva vedere oltre le 24 ore successive e null'altro.
Proibito rubare ci racconta questo, questo malessere che come il colera si era diffuso in tutta la città, in tutte le città distrutte dalla guerra e che aveva lasciato vedove ed orfani in ogni angolo delle strade. Bambini che non sapevano cosa fare e che condotti da adulti privi di scrupoli si davano al furto. Bambini svegli, bambini attenti, ma ancora "macchiati ed impregnati" di quell'innocenza che li faceva credere nei valori dell'amicizia e del rispetto del gruppo, pieni di quel senso di appartenenza a qualcosa, anche se di malaffare. E Comencini indaga in modo serrato e profondo in questo "altro mondo" senza però sprofondare mai nel lacrimevole, forse giusto nel finale viene qualche groppo alla gola per uno sciorinare facili sentimenti. Ma a parte questa "leggera scivolata" il film ha quel giusto piglio autoriale e deciso di chi sa cosa vuole mostrare, e questo maestro del mondo infantile riesce a cogliere ogni sfumatura, ogni più piccolo dettaglio per dare un senso compiuto e "vero" alla storia di questo gruppo di sbandati che vengono riuniti dal prete in questa grande utopia della "Città per ragazzi"... un utopia che pero poco alla volta diventa realtà, anche se non del tutto onestamente, ma con grande partecipazione di quei malandrini cresciuti troppo in fretta, ma che alla fine tornano a fare i bambini. Quindi un ritorno ai ruoli prefissati che Comencini decide di restituire ad ognuno lanciando un segnale di speranza in quell'Italia che stava tentando lentamente di ricostruirsi... E lui, da bravo demiurgo del cinema riesce a lanciare un piccolo grido di allarme e di aiuto...
Mauro Conciatori

da qui

 

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